Namibia 2011: all’ombra della Via Lattea
di Massimiliano Di Giuseppe
Era da tempo che si voleva organizzare un viaggio in Namibia per fare osservazioni del cielo australe. Era infatti noto il suo clima estremamente secco tale da renderlo uno dei luoghi migliori della Terra in cui compiere osservazioni astronomiche.
L’occasione era capitata nel Dicembre del 2002 in coincidenza con un’eclisse totale di Sole, ma ahimè non si era raggiunto il numero minimo di partecipanti e il viaggio era sfumato. Nel frattempo svariati astrofili che alla spicciolata nel corso di questi anni avevano sostato in alcune farm Namibiane, riportavano resoconti entusiastici di quel cielo, tranquillamente paragonabile al miglior Cile.
Finalmente quest’anno il sogno si realizza e Coelum viaggi in collaborazione con Coop Camelot, Lunar Society Italia e CTM Robintur raccoglie 18 temerari che il 22 Giugno sono pronti a partire per l’Africa australe.
Ma non è così semplice, mentre sono ancora in autostrada mi arriva la telefonata di un allarmato Ferruccio Zanotti che in aeroporto scopre che il nostro volo per Francoforte è stato annullato a causa di una forte grandinata sulla città tedesca. Cerchiamo quindi di capire con la Lufthansa, la compagnia aerea che ci deve portare anche a Johannesburg, come risolvere la questione e nel frattempo arrivano gli altri partecipanti che partono da Bologna, ovvero Gian Paolo Lucci, Andrea Belli, Marta D’Eramo, Silvana Laffi, Simona Musiani, Paola Maccanti e la vecchia conoscenza Alberto Palazzi.
Dopo varie peripezie e spese per riuscire a imbarcare il Dobson siamo riprogrammati su Madrid con l’Hiberia e da lì a Johannesburg mantendo più o meno gli orari iniziali, mentre Paolo Minafra e Rosaria Colalaeo, freschi sposini che partono da Roma ed Esther Dembitzer, la veterana che parte da Trieste manterranno i voli Lufthansa anche se arriveranno a Francoforte con un po’ di ritardo.
Diverso è il discorso per Enrico Castiglia ed il suo gruppo che parte da Torino: Alberto Marcalli, Chiara Toselli, Pier Franco Bollati, Maria Maffei e Francesco Cavallino, che purtroppo perderanno la coincidenza per Johannesburg e saranno costretti a rimanere un giorno a Francoforte.
Il 23 Giugno, dopo il volo notturno, il nostro gruppo eccetto i Torinesi si ricompatta nella capitale sudafricana e per un pelo riesce a prendere il volo della British Airwais per Windhoek in Namibia.
Sotto di noi si estende un territorio desertico e fa impressione la trasparenza dell’aria, che da 10.000 metri, ci consente di vedere i più minimi particolari sul terreno sottostante . All’arrivo però mancano un po’ di bagagli, quelli di Rosaria e di Andrea e Marta, speriamo di recuperarli strada facendo.
All’aeroporto di Windhoek veniamo accolti da Betta, la nostra guida che è già stata avvisata da Graffiti, il tour operator, circa i vari disguidi ed è pronta con un piano alternativo: si rinuncerà alla prevista visita dell’osservatorio astronomico di Itting Enke rimandandolo alla fine del viaggio e si partirà per il Parco Etosha l’indomani pomeriggio anziché al mattino attendendo quindi il gruppo Castiglia che se tutto và bene dovrebbe presentarsi all’aeroporto della capitale namibiana l’indomani alle 13.00.
Betta si mostra subito estremamente efficiente, aiutandoci con bagagli e cambio degli Euro in dollari Namibiani;è italiana di Padova e vive in Namibia da diversi anni e con sorpresa impariamo che sarà lei stessa a guidare il pullman per tutta la durata del viaggio! In tutti gli altri viaggi la guida era ben distinta dal driver.
Sulla strada che dall’aeroporto conduce in città, abbiamo il primo impatto con l’Africa scorgendo un gruppo di babbuini che attraversa la strada e arriviamo quindi al nostro Kalahari Sands Hotel, un buon 4 stelle in cui ceniamo a base di Kudu e Orice. Monto il fedele Dobson da 25 cm e finalmente mi riposo dopo questo rocambolesco inizio di viaggio.
L’indomani, 24 Giugno ci si sveglia con calma e dopo colazione veniamo accompagnati da Betta in una vicina piazza, la Post St Mall, una passerella pedonale fiancheggiata da numerosi venditori di souvenir, che ospita diversi esemplari di meteoriti ferrosi raccolti su grossi piedistalli, si tratta di 33 frammenti per un totale di 21 tonnellate di peso, provenienti dalla pioggia meteoritica che investì la zona di Gibeon, nella Namibia meridionale, 91 km a sud di Mariental. Parte la prima foto di gruppo.
Il cielo è limpidissimo, non una nuvola, la temperatura è fresca ci troviamo infatti all’inizio dell’inverno australe e siamo a 1500 m di quota. Poi ci spostiamo al Namibia Crafts Centre, uno spaccio in cui sono raccolti svariati oggetti in vendita ispirati alla tradizione namibiana, articoli di cuoio, ceramiche, tessuti dipinti a mano e altri oggetti artistici, e qui il nostro gruppo inizia i primi acquisti.
Ci rilassiamo quindi con un tè nell’adiacente snack bar prima di passeggiare nello Zoo Park, un verdeggiante parco che fino al ’62 è stato lo zoo cittadino e che oggi si offre come punto migliore della città in cui consumare il nostro pic-nic stesi sull’erba. Dopo pranzo, mentre ci dirigiamo alla chiesa Luterana di Christuskirche, posta alla fine della Fidel Castro street, notiamo sul ciglio della strada un gruppo di donne Himba seminude e ricoperte dalla caratteristica terra rossa intente nelle loro faccende. In cambio di qualche spicciolo si fanno volentieri fotografare e posiamo insieme a loro per qualche suggestivo scatto.
Alla chiesa luterana abbiamo appuntamento con il gruppo Castiglia che ci saluta festoso, sono distrutti ma felici di averci raggiunto dopo tante traversie. Siamo quindi al completo e pronti per l’avventura, la nostra rotta è verso nord, ci attendono 500 km prima di arrivare al Parco Etosha, che raggiungeremo quando ormai è buio, dandoci quindi la possibilità di una prima ricognizione dal pullman del cielo australe.
Io e Ferruccio ci alterniamo al microfono descrivendo ai neofiti l’ombra della Terra e la Cinta di Venere che si oppongono ad uno sgargiante tramonto, Sirio e Canopo bassi sull’orizzonte Ovest, lo sfuggente Mercurio ancora più basso e poi la Croce del sud che si accende accanto ad alfa e beta Centauri. Quando il cielo diventa più scuro la Via Lattea non tarda a comparire così come la Grande Nube di Magellano e ben presto diventa impressionante il Sacco di Carbone al centro della Croce.
Il cancello del nostro Etosha Safari Lodge ci viene aperto da un sonnolento guardiano e una volta scesi dal pullman e aver verificato che il trolley con i bagagli è ancora attaccato, veniamo sopraffatti dalla magnificenza del cielo australe, nerissimo con una via Lattea quasi tridimensionale, siamo scesi di quota ma siamo pur sempre a 900m.
Betta ci consegna le chiavi dei nostri bungalows confortevoli, con letto a baldacchino con zanzariera e ci troviamo tutti assieme per la cena. Poi il momento tanto atteso arriva ci ritroviamo dietro al nostro Bungalow al riparo dai piccoli faretti del vialetto che più tardi verranno spenti e ha luogo il battesimo del Dobson in terra namibiana : quale migliore oggetto per iniziare il nostro viaggio fra le stelle dell’ammasso globulare più bello in assoluto, ovvero Omega Centauri?
Il vecchio Dobson fa ancora egregiamente il suo dovere nonostante gli sconquassi dei viaggi a cui l’ho sottoposto in questi anni e Omega esplode letteralmente nell’oculare da 20 mm completamente risolto in stelle. La meraviglia di chi non ha mai messo l’occhio all’oculare di un telescopio si alterna a quella di chi ha passato una vita sotto le stelle, non ci si abitua mai a vedere tali magnificenze!
Ci raggiungono Alberto con il suo cannocchiale Leica 80 ed Esther con il suo Pentax 75 . Passiamo in rassegna gli oggetti più appariscenti come lo Scrigno dei gioielli nella Croce, la splendida nebulosa Eta Carinae o la nebulosa Laguna e Trifida nel Saggittario allo zenit, poi dopo uno sguardo all’evidentissimo M7 nello Scorpione visibile come una larga chiazza diffusa anche ad occhio nudo e ai bassissimi in Italia H12 e NGC 6231, decido di inquadrare alcuni ammassi aperti sempre in questa costellazione mai visti prima, sotto alla coda ed impossibili alle nostre latitudini ovvero NGC 6192 di forma circolare dimensioni medio-piccole, non molto fitto la magnitudine è 8,5 e poi nelle vicinanze il 6178 simile al precedente, 6259 di ottava magnitudine più vasto con stelle della stessa luminosità e il piccolo 6222 poco concentrato con stelle spaziate.
Ora il centro della galassia è proprio sopra la testa e la visione del rigonfiamento centrale anche se già vista in passato in Cile e in Sudafrica, lascia senza fiato, è tutto un alternarsi di nebulose chiare e scure tra cui spicca la Pipe Nebula in Ofiuco come in una foto.
Mi dirigo quindi nell’Altare e qui individuo un altro ammasso aperto l’NGC 6250, di forma triangolare, piuttosto piccolo con stelle spaziate. Gian Paolo, Simona e Paola, che sono rimasti con noi sfidando il freddo assistono al sorgere della Piccola Nube di Magellano con annesso lo splendido ammasso globulare 47 Tucanae, il secondo globulare del cielo, che al Dobson appare concentratissimo e impossibile da risolvere nelle sue parti centrali.
Ora la stanchezza si fa sentire, meglio ritirarsi in stanza il viaggio è ancora lungo e abbiamo ancora molte notti osservative. Il 25 Giugno la sveglia suona alle 5.30 e il cielo è ancora buio, soltanto un tenue albeggiare metallico verso Est ci accompagna verso la colazione nella lunga stradina che dai bungalows conduce al locale principale.
Arrivati notiamo di fianco uno splendido pontile panoramico che si sporge in bilico sull’immenso bush in cui siamo immersi e decidiamo di attendere il sorgere del Sole che illumina un paesaggio degno del “Mondo Perduto” di A:Conan Doyle.
Ancora sopraffatti da tale bellezza primordiale siamo chiamati all’ordine da Betta che ci attende sul pullman per il safari, pronta a darci esaurienti spiegazioni sul Parco Etosha, che in lingua locale significa acque secche ed è caratterizzato da un ambiente particolarissimo con un lago alcalino asciutto che ne costituisce la parte centrale chiamata “pan”. Si estende per 20.000 Kmq ed è una depressione che geologicamente si fa risalire al pre Cambriano con rocce datate fino ad 1 miliardo di anni fa.
Non facciamo fatica a scovare i primi animali: oltre alle numerosissime antilopi Springbok e alle zebre avvistiamo anche struzzi, giraffe, orici, qualche rapace Astore ed un’Otarda gigante, che si aggira circospetta nella bassa savana. I componenti della spedizione presi dall’entusiasmo stanno per scendere dal pullman ma vengono immediatamente redarguiti da Betta, a poca distanza ecco infatti un branco di leoni in attesa della preda. Facciamo una breve sosta all’Okakuejo Rest Camp che oltre ad una pozza d’acqua in cui è possibile avvistare diversi animali che si abbeverano, possiede anche una torre osservativa dalla cui sommità Albertofi si improvvisa Muezzìn tra le risate generali.
Riprendiamo il safari e rimaniamo stupiti quando sulle acacie compaiono i giganteschi nidi dell’uccello tessitore sociale, che possono contenere fino a 400 individui e sono resistenti come il cemento. Avvistiamo quindi uno sciacallo, gnu, scoiattoli di terra, manguste, faraone,termitai, facoceri, il curioso uccello Serpentario, a caccia di qualche rettile tra i cespugli,l’albero della Mirra, poi ritorniamo al nostro Lodge per il pranzo.
Ci hanno apparecchiato un tavolo sulla veranda accanto allo scenografico pontile e assieme a Ferruccio ed Albertofi decidiamo di rilassarci con questa vista incantevole rinunciando al successivo safari pomeridiano, meglio conservare le energie per la serata che si promette uguale alla precedente visto che anche oggi il cielo si è mantenuto perfetto.
Ci gustiamo uno splendido tramonto dal pontile e ben presto ci raggiungono anche gli altri raccontandoci di aver visto nel corso del safari gli elefanti e leoni più da vicino. Una cena a base di Orice e poi ci diamo appuntamento tutti quanti al nostro bungalow, compreso il gruppo Castiglia, che la sera prima aveva dato forfait per stanchezza.
Il freddo si fa sentire, si passa dai 30 gradi durante il giorno ai 2° della notte, un’escursione termica fra le più notevoli sperimentate. Ma stoicamente siamo tutti pronti con i nostri strumenti.
Dopo aver ammirato le magnificenze delle nebulose M16 e M17 e del gigantesco globulare M22 nel Sagittario, mi addentro nella Corona Australe in cui confermo la vecchia osservazione delle piccole nebulose diffuse NGC 6726-7-9, qui molto più evidenti e del grande globulare 6723, poi osservo per la prima volta il globulare NGC 6541, piccolo concentratissimo e ben visibile. Poi l’osservazione più bella della serata la compio con il binocolo stabilizzato Canon 10X43 di Enrico che mi rivela immagini straordinarie della Via Lattea, una miriade di ammassi nebulose chiare e oscure con una definizione spettacolare, delle vere e proprie foto in bianco e nero. Impressionanti la regione di Antares e Rho Ophiuchi e le Impronte di gatto nello Scorpione.
Sembra di vedere qualcosa anche in corrispondenza del cosiddetto “Campo dei miracoli” nel Sagittario, accanto alla nebulosa Laguna. Si tratta di un complesso sistema di nebulose ad emissione e a riflessione quasi in corrispondenza del centro galattico. Passo al Dobson e confermo ancora una volta una vecchia osservazione fatta in Cile di NGC 6559 e IC 1274-5, le parti più luminose di questo complesso nebulare ed anche in questo caso la visione mi appare nettamente più nitida, anche senza l’ausilio di filtri nebulari. Gian Paolo e Andrea, astrofili di vecchia data sono entusiasti, ma anche Simona, Marta e Paola apprezzano i vari oggetti sfornati dagli strumenti, anche i più elusivi.
Il gruppo Castiglia si raccoglie prima al telescopio di Alberto per ammirare Eta Carinae ed i luminosi ammassi limitrofi, a quello di Esther per una bella visione di Saturno ed infine al Dobson, per un ripasso di omega centauri e degli oggetti della sera precedente. A quel punto la stanchezza ed il freddo prendono il sopravvento, quasi tutti si ritirano in stanza, rimaniamo solo in pochi, quando strani versi in avvicinamento dalla savana ci segnalano forse qualche sciacallo. C’è ancora il tempo per un ultimo ammasso globulare nello Scorpione l’NGC 6496, appena visibile ma pur sempre suggestivo, poi è meglio ritirarsi.
Ho tuttavia sottovalutato il freddo e l’indomani non sarò molto in forma e mi perderò l’ulteriore safari previsto in mattinata, ma vengo rimesso in sesto rapidamente grazie alle amorevoli cure dei due medici della spedizione Albertofi e Paola.
Lasciamo quindi il Parco Etosha diretti a Sud Est verso la selvaggia regione del Damaraland, ci attendono 300km di sterrato, interrotti da una breve sosta spuntino a Outjo e ad un successivo lodge sulla strada nei pressi di Khorixas. I paesaggi sono magnifici con montagne brulle e arrotondate dai milioni di anni ed altrettanto spettacolare è il nostro Twyfelfontein lodge, incastrato nelle rupi rosse di arenaria,
simili a quelle dell’Arizona, in cui zampettano piccoli roditori chiamati Procavie del Capo.
Decido per precauzione di riposarmi e saltare la cena e le osservazioni astronomiche previste subito dopo, ma imparerò che neppure gli altri riusciranno a farle a causa di un branco di elefanti pericolosamente in transito nei pressi del nostro lodge.
Nota positiva sono stati ritrovati i bagagli persi da Rosaria Andrea e Marta e sono stati consegnati direttamente al Lodge.
L’indomani, 27 Giugno sto decisamente meglio e a colazione rimango incantato dallo stupendo panorama che si può ammirare dalla balconata della sala ristorante da cui con il binocolo rintraccio i pericolosi elefanti della sera prima.
Veniamo condotti da Betta ad ammirare da vicino uno dei misteriosi “cerchi delle fate”in cui la vegetazione improvvisamente cessa di crescere, una sorta di cerchi del grano meno elaborati a cui ancora oggi non è stata data una spiegazione scientifica convincente.
Poi è la volta della Burt Montain o montagna bruciata, una distesa di scorie vulcaniche, (metamorfismo termico di contatto) che sembra in effetti letteralmente devastata dalle fiamme, un panorama di arcana desolazione, in cui vediamo aggirarsi Albertofi a petto nudo, con turbante ed uno strano melone in mano…
Non poteva mancare poi una visita delle incisioni rupestri di Twyfelfontein in cui i Boscimani hanno lasciato traccia della loro memoria con scene di caccia e rappresentazioni di animali di tutti i tipi. La maggior parte delle incisioni risale ad un periodo antecedente a 6000 anni fa, quando la sorgente perenne di Twifelfontein attirava un gran numero di animali e di conseguenza di cacciatori.
Prima di tornare per il pranzo al nostro lodge rimane da visitare il cosiddetto “Organo a canne”, una piccola gola in cui si innalzano alcune inconsuete colonne di dolerite ( basalto a grana grossa ), che testimoniano un raro episodio di vulcanismo intrusivo, simile al più famoso Giant Causway in Irlanda del nord visitato dal sottoscritto nel lontano 1994.
Proprio mentre passeggio in questa gola tra una foto ed una ripresa, mi passa sopra i piedi un serpente che si nasconde veloce tra le pietre. Avviso il resto della truppa e interrogo Betta sull’effettiva pericolosità di questo rettile di colore bianco-rosato. Mi dice che non c’è da preoccuparsi, ma diverso è il discorso se ci capiterà di incontrare i velenosissimi mamba verdi o neri tipici della Namibia…
Dopo pranzo un po’ di relax e poi verso le 17.00 andiamo ad ammirare il tramonto alla vicina pista di atterraggio dei piccoli velivoli che portano i rifornimenti al lodge e che diventano fondamentali in caso di problemi medici di una certa rilevanza per il trasporto dei malati in luoghi più attrezzati. Il cielo naturalmente è ancora una volta superbo e ci consente la visione di un bellissimo blue flash, visto col binocolo e ripreso con le telecamere.
Dopo la cena a base di facocero veniamo condotti da un Astrogazer del lodge, che possiede qualche strumento astronomico tra cui un dobson da 20 cm, lontani dalle luci a circa 6 km, per ammirare il cielo assieme a lui. E’ molto simile a Bud Spencer e guida una grossa jeep aperta in cui ci accomodiamo alla meglio ( io tengo il mio Dobson in braccio ) e tra uno scossone, una buca e sferzate di aria gelida arriviamo sul posto.
Tra l’altro durante il tragitto siamo caldamente invitati a scandagliare la savana con due fari per non rischiare qualche brutto incontro, sopratutto con gli elefanti! Ci troviamo a 500 m di quota e per essere pignoli il cielo è leggermente inferiore alle sere precedenti, forse meno inciso…ma naturalmente ben al di sopra degli standard a cui siamo abituati in Italia.
La nostra guida inizia a spiegare in inglese il cielo australe visibile e noi gli diamo una mano con i nostri laser poi predispone il suo Dobson non eccezionale da un punto di vista ottico ( le immagini sono un po’ sdoppiate ) e ben presto il pubblico affluisce di nuovo ai nostri strumenti. Abbiamo tuttavia poco tempo a disposizione prima del ritorno al Lodge e riesco ad individuare solamente due nuovi oggetti: il primo è l’ammasso aperto H7 nella Croce del Sud, medio piccolo, con stelle abbastanza luminose e forma rettangolare, il secondo invece è piuttosto significativo, si tratta della galassia NGC 7049 piccola e debole nella sfuggente costellazione dell’Indiano, in cui prima di allora non avevo visto nulla, un ottimo risultato visto che si tratta di un oggetto di dodicesima magnitudine e di piccole dimensioni ( 0,8′ X 0,6′ ).
A quel punto, mentre ci ristoriamo con un po’ di caffe’ e rhum, i versi inconfondibili di almeno tre iene che ci circondano inducono il nostro Bud a smontare il Dobson e a fare un veloce ritorno al lodge, ma all’atto di accendere il motore questo inesorabilmente rimane muto e siamo costretti a scendere e a spingere il grosso veicolo guardandoci le spalle dalle iene. Fortunatamente la cosa si risolve e facciamo ritorno sani e salvi alle nostre stanze.
Il mattino del 28 Giugno festeggiamo il compleanno di Paola e siamo pronti per effettuare una nuova escursione mentre abbandoniamo la regione del Damaraland, e cioè la foresta pietrificata, con tronchi lunghi fino a 34 metri risalenti a 260 milioni di anni fa, perfettamente pietrificati nella silice con tanto di corteccia e di anelli. Considerata l’assenza di radici o di frammenti di rami, si suppone che i tronchi siano giunti sul posto in seguito ad un’inondazione.
Altra curiosità della zona la presenza della rara Welvitschia mirabilis, una pianta che può vivere fino a 2000 anni e le cui uniche due foglie crescono rasoterra con un ritmo lentissimo. A questo proposito Betta ci racconta una curiosità, i popoli dell’Angola hanno distrutto quasi tutti gli esemplari di questa pianta poiché in quel paese vige la superstizione che la pianta si cibi di uomini!
Ci attendono quindi 420 km di sterrato durante i quali ci fermiamo per fotografare un gruppo di donne Herero, con i loro sgargianti costumi e curiosi copricapo. Una di loro cuce con professionalità un’enorme buco presente nei pantaloni di Ferruccio.
Poi è doverosa una sosta per una foto di gruppo sullo sfondo del Brandberg o “montagna di fuoco”, che deve il proprio nome al colore che assume il suo granito ricco di ametista illuminato dal sole al tramonto, ma tutta la zona è ricca di giacimenti di pietre preziose, dall’acquamarina alla tormalina, mentre nel sud del paese ci sono giacimenti di diamanti e addirittura di uranio. Il suo punto più elevato, il Konigstein (2573m) è il picco più alto della Namibia.
In lontananza, prima di arrivare sulla costa Atlantica avvistiamo anche lo Spitzkoppe, chiamato il Cervino d’Africa. Ora il paesaggio è diventato decisamente desertico e sabbioso, siamo nei pressi della Skeleton Coast, famosa per i suoi relitti di navi arenate sulla sabbia e proprio la sabbia, quando stiamo per arrivare alla nostra meta per il pranzo, Swakopmund, ci gioca un brutto scherzo: Betta tenta un’inversione con il pullman ma finisce purtroppo insabbiata.
Non ci perdiamo d’animo ed iniziamo a scavare e a mettere pietre sotto alle ruote per fare un po’ di aderenza quando arriva un Afrikaner, un bianco trapiantato in africa, che prende in mano la situazione e ci insabbia ancora di più e poi se ne va’ tra le imprecazioni di tutti i partecipanti.
Poi si fa vivo per caso un certo Ruggero, amico di Betta che ci toglie dall’impiccio con una fune legata alla sua jeep e con la spinta delle nostre braccia. Fatto sta che abbiamo perso un bel po’ di tempo ed arriviamo al ristorante al Faro di Silvio a Swakopmund, quando sono ormai le 15.30. Silvio ci accoglie calorosamente e ci prepara un pranzo a base di pesce.
Normalmente questa zona è caratterizzata un clima umido e nebbioso ma stranamente ci dice Silvio, oggi il cielo è limpidissimo. Questo fatto ci consente di vedere il secondo blue flash di questa permanenza in Namibia, direttamente sull’Oceano. Ricuperiamo Paolo e Rosaria che si erano allontanati romanticamente dal gruppo ( per loro questo in Namibia è il viaggio di nozze ) e arriviamo al nostro Protea Hotel situato nella cittadina di Walvis Bay.
Il mattino del 29 Giugno ci attende l’escursione in barca nella Laguna di Walvis bay, Walter, il capitano dell’imbarcazione ci fa accomodare e iniziamo subito un avvistamento di pellicani che planano vicino a noi, poi è la volta dei cormorani e dell’attrazione principale della giornata: le Otarie, che addirittura salgono sulla barca facendosi accarezzare, filmare e fotografare in cambio di qualche pesce. In particolare rimarrà con noi per quasi tutto il tragitto una simpatica otaria di nome Popeye.
Quando siamo vicini al mare aperto e dopo aver assaggiato un bicchierino di Cherry offerto dal buon Walter avvistiamo un gruppo di piccoli delfini del Benguela che nuotano e saltano vicino alla barca. Prendono il nome dalla fredda corrente che passa vicino alla costa Namibiana e che crea questo particolare clima desertico.
Poi notiamo sulla vicina spiaggia, accanto ad un’enorme colonia di Otarie, un tendone bianco, è lì che il tour operator ci ha preparato un pranzo a base di pesce, addirittura preceduto da un antipasto con ostriche e champagne. I componenti della spedizione sono entusiasti e dopo pranzo si mettono a prendere il sole di quest’ennesima limpida giornata.
Poi tutti i partecipanti ad esclusione di Albertofi e Ferruccio aderiscono al tour facoltativo in jeep sulle dune di Sandwich Harbour che sprofondano nell’Atlantico. Gli autisti ci vengono a prendere e ci conducono ad ammirare lungo la strada un gruppo di fenicotteri rosa con le zampe a mollo in una laguna azzurra.
Facciamo due passi per vederli da vicino sperimentando l’effetto delle sabbie mobili sotto i nostri piedi, se si rimane fermi si sprofonda nella sottile sabbia fangosa! Riprendiamo quindi le jeep correndo su una spiaggia rosata ricca di microrubini, poi eccoci sulle dune, il nostro autista, simile ad Hemingway è veramente abile e ci sembra di essere sulle montagne russe mentre si arrampica a tutta velocità su pendenze impossibili fin sulla cresta, per poi discendere sfidando il ribaltamento della jeep in un vero e proprio tuffo nel vuoto al cardiopalma.
La jeep sulle dune l’avevo già sperimentata, sopratutto in Libia, ma mai era stata così emozionante come questa volta. Ogni tanto ci fermiamo per ammirare gli straordinari panorami della sabbia bianca del deserto che sprofonda nell’azzurro-verde dell’Atlantico.
Dalla sommità di una duna assistiamo anche al maldestro tentativo di alcuni turisti, tra cui il nostro Paolo di scendere dalla duna con una sorta di snow-board, ma l’aderenza è eccessiva e rimangono piantati nella sabbia. Il vento freddo solleva mulinelli ed in lontanza è possibile osservare diversi fenomeni di miraggio superiore meglio noti come fata morgana. Avvistiamo anche uno sciacallo e diversi cormorani che prendono il volo sulle onde al nostro arrivo.
Ora le jeep corrono parallelamente al bagnasciuga e ci fermiamo per il consueto green flash, oggi un po’ più pallido dei giorni precedenti. Quando inizia a far buio e il tramonto diventa rosso, sulla strada per Walvis bay passiamo accanto ad una salina e siamo investiti da una vera e propria nevicata di schiuma del mare sollevata dal forte vento. Raccontiamo a chi era rimasto che questa gita meritava assolutamente e Betta soddisfatta ci riaccompagna in Hotel.
Il mattino dopo 30 Giugno, il nostro pullman non parte e solo grazie all’intervento di un meccanico locale e dei nostri Pier Franco e Francesco, incalzati da Betta, risolviamo il problema. L’atmosfera è nebbiosa e raggiungiamo Swakopmund, che avevamo visto solo di sfuggita due giorni fa. La cittadina, sopratutto nella parte dell’isola pedonale, ricorda con le sue case in legno e gli edifici di epoca coloniale,una tipica cittadina tedesca. Non bisogna infatti dimenticare che la Namibia è stata una ex colonia tedesca ed ancora oggi la presenza della Germania si fa sentire.
Ci aspettano 380 km di sterrato verso sud-ovest, prima di arrivare al deserto del Namib e come nel corso degli altri lunghi spostamenti, per ingannare il tempo, Betta cede il microfono ora ad Albertofi, una vera e propria enciclopedia vivente, per sviscerare i temi più disparati, dalla religione alla medicina agli usi e costumi delle poplazioni locali, ora ad Esther o Enrico e di tanto in tanto, quando ci si comincia ad assopire per la stanchezza accumulata, parte un suo grido:”Ferruccioooo! Non dormireee!”
Chiede anche un aiuto per trovare il titolo ad un suo libro che sta scrivendo sulla Namibia e sopratutto si accorge che nel libro manca un capitolo dedicato al cielo e all’astronomia e naturalmente ci offriamo di coprire questa lacuna.
Nel frattempo il paesaggio cambia di nuovo, abbandonata la costa sabbiosa, ora tornano le montagne, ci arrampichiamo su un passo chiamato Valle della Luna e costeggiamo il Kuiseb canyon , poi il paesaggio si apre e comincia a comparire una bassa vegetazione verde e stepposa fin sulle pendici delle aride montagne, sembra di essere tornati in Mongolia!
Ci fermiamo per osservare da vicino un piccolo “albero faretra”, la cui corteccia viene infatti usata dai boscimani per costruire la faretra per le loro frecce e quindi attraversiamo il tropico del Capricorno con tanto di cartello come in Cile.
Veniamo condotti da Betta a pranzo in un posto esclusivo, chiamato Rostock Ritz, una sorta di lodge di lusso, con tutti i comfort, piscina compresa, immerso letteralmente nel nulla. Siamo al centro di in un paesaggio primordiale e selvaggio e devo dire che l’architettura del lodge e delle stanze ricavate in basse cupole bianche in pietra, si integrano piuttosto bene con l’ambiente. L’atmosfera di pace è totale.
Consumiamo il pranzo in religioso silenzio sotto le volte del piccolo locale ristorante e quindi arriviamo al Sossusvlei lodge, in pieno deserto del Namib. Anche in questo caso si tratta di una delle migliori sistemazioni della zona e prendiamo posto nei nostri confortevoli bungalows che si affacciano sulle silenziose pianure desertiche al tramonto.
Anche qui si può cogliere l’essenza dell’Africa, qualche struzzo pascola a poca distanza da noi e la gialla savana si estende a perdita dì’occhio fino alle lontane montagne.
Dopo una cena a base di Zebra e di Elan, una sorta di Impala, siamo pronti per le osservazioni astronomiche. La luce zodiacale si leva imponente ad ovest e dopo aver provveduto a rendere innocui alcuni piccoli faretti del vialetto che conduce al nostro bungalow, il più lontano e quindi il più buio,
il cielo diventa paragonabile a quello del parco Etosha e viene presa subito di mira la piccola costellazione del Microscopio, nella quale non ho mai visto nulla e qui individuo la piccola galassia NGC 6925, una spirale di magnitudine 12 e di 3′ di dimensioni, si presenta come una nuvoletta debolmente allungata , piuttosto difficile.
Poi è la volta del notevole globulare NGC 6397 nell’Altare, di mag.7 e 18′ di dimensioni, è probabilmente il globulare più vicino a noi ( 7500 anni luce ) ed il più vecchio Poi sempre nella stessa costellazione compaiono nel campo dell’oculare le due piccole galassie a spirale NGC 6215 e 6221 di mag.10,5, che si proiettano accanto alla stella Eta, che ne attenua la luminosità. La prima appare piccola tondeggiante e debole, la seconda un debole ovale più grande della precedente. L’ultima la NGC 6300 un poco più a sud, una spirale barrata che se anche della stessa luminosità delle precedenti appare più bella e contrastata, molto granulosa, per il fatto che si proietta su di un fondo cielo più scuro.
Come nelle precedenti serate il cenacolo di osservatori via via si dilegua e rimane il solo Ferruccio che continua inesorabile a far foto fino a tarda notte.
1 Giugno la sveglia suona alle 5.30. Dopo una veloce colazione siamo condotti da Betta ad ammirare all’alba le spettacolari dune rosse di Sossusvlei, alcune delle quali, con la luce del sole radente assumono addirittura tonalità color pesca e albicocca.
Le dune, modellate dal vento assumono forme sinuose e delicate e possono raggiungere un’altezza di 300m.
Tutta la sabbia del Namib Naukluft Park si è originata probabilmente nel Kalahari tra i 3 e i 5 milioni di anni fa. Fu trasportata dal fiume Orange fino al mare e qui fu trascinata verso nord dalla corrente del Benguela per poi depositarsi lungo la costa.
Abbandoniamo il nostro fedele pullman e saliamo su due jeep che ci conducono fino alla base di un sistema di dune che ben presto scaliamo scoprendo di tanto in tanto vistose chiazze bianche di sale sulla sabbia rossa, cio’ che resta dell’evaporazione di antiche pozze d’acqua. Una di queste chiazze bianche, più grande delle altre e piena di alberi neri rinsecchiti, ci appare dalla sommità di una duna rossa in un paesaggio apocalittico da fine del mondo.
Scendo la duna e poco dopo passeggio tra quei vecchi tronchi nodosi, in una luce abbacinante, qualche raro corvo è l’unica forma di vita. Dall’altra parte della duna c’è invece un piccolo laghetto che contiene ancora acqua, un vero e proprio miracolo della natura, quest’anno ci dicono, la stagione delle piogge è stata particolarmente intensa.
Ritorniamo da Betta che ci ha preparato un tè sotto alcune acacie e poi posiamo accanto alla duna 45, la più fotografata della Namibia, così chiamata perchè si trova a 45 km da Sesriem ed è alta 130 m. Un rapidissimo pranzo e ci ritroviamo seduti su un piccolo aereo da turismo pilotato da un giovane pilota che ci porta ad ammirare le dune dall’alto.
L’aereo può contenere al massimo 5 passeggeri ed il primo equipaggio è composto oltre che dal sottoscritto, da Ferruccio, Esther, Enrico e Francesco. C’è sempre un po’ di apprensione quando si vola su questi velivoli, tuttavia la bellezza dei panorami sottostanti ci distrae ben presto dai nostri timori e procediamo con filmati e foto memorabili. Passiamo anche sopra al Sessriem Canyon, ma ancora più impressionanti ci appaiono le dune rosse ricoperte da una vegetazione verde chiara, ( il cosiddetto deserto fiorito dovuto alle abbondanti piogge, una vera e propria rarità ) e i numerosissimi cerchi delle fate nei pressi del nostro lodge.
Atterriamo tutti interi ed Enrico bacia la terra.
Ci rilassiamo un po’ e ci ritroviamo tutti per la cena raccogliendo i commenti entusiastici degli altri equipaggi ed eccoci arrivati purtroppo all’ultima serata osservativa. Il cielo è sicuramente il migliore sperimentato finora in Namibia, la percentuale di umidità bassissima, la magnitudine limite allo zenit, superiore alla 7. Guardo il Dobson, questa sera ci attende un bel po’di lavoro.
Prendo di mira ancora una volta l’Altare e qui faccio l’interessante osservazione della nebulosa diffusa NGC 6188 ( 20′ X 10′ ), nei pressi del già visto ammasso aperto NGC 6193, le cui stelle danno luce alla nebulosa che appare di una forma ovale allungata con un bordo più luminoso.
Poi mi dirigo nella Carena e osservo il gruppo di nebulose diffuse NGC 3584- 79-81-82-76-86, a Est della più famosa Eta, sono piuttosto ben visibili anche se di piccole dimensioni, tenui nuvolette irregolari sul velluto nerissimo del cielo.
Passo poi al Pavone dove ammiro la bellissima spirale barrata con molte braccia viasta di fronte NGC 6744 ( mag.9,1 dim 20′ X 12′ ), che appare larga e luminosa con diversi chiaroscuri nella zona centrale. Nelle vicinanze anche la NGC 6684, piccola nuvoletta comunque ben risaltabile e la IC 4662, altra nuvoletta proprio accanto alla stella Eta Pavonis.
Uno sguardo al cielo, mi rivela sopra la testa il bulge centrale della via lattea che si assottiglia ai lati, come una gigantesca foto di una galassia vista di taglio. Mi accorgo che è possibile leggere le cartine quasi senza ausilio della torcia grazie alla luce della nostra immensa isola cosmica e dei suoi 100 miliardi di stelle.
Mi dirigo quindi nella piccola Mosca e qui ecco l’ammasso globulare NGC 4833 ( mag. 7 e dim 5′ ), luminoso e condensato, molto granuloso e successivamente nella Norma con la peculiare osservazione della planetaria bipolare NGC 6164-5 ( 6,3′ X 3,6′ ) in cui con l’oculare da 17 mm riesco a evidenziare due piccoli e sfuggenti rettangolini nebulosi simmetrici rispetto alla stella centrale, quello più a sud più evidente.
Dopo aver inquadrato col Dobson la Rho Ophiuchi che appare decisamente nebbiosa, saluto lo splendido cielo della Namibia con la Piccola Nube di Magellano e tre sue condensazioni corrispondenti ai due ammassi aperti NGC 265 e 290 e alla nebulosa diffusa NGC 346.
Andrea e Ferruccio rimangono ancora una volta a far foto mentre il resto del gruppo si ritira nelle proprie stanze.
2 Giugno,è il giorno del ritorno a Windhoek, ma prima Betta ci consiglia una tappa all’Hammerstein Lodge in cui è possibile ammirare da vicino il leopardo Lisa, e addirittura entrare nel recinto dei Caracal, grosse linci e dei ghepardi. Devo dire che fa un certo effetto trovarsi a tu per tu con questi grandi felini, ma il direttore del lodge, un farmer illuminato che rispetto ad altri suoi ottusi colleghi cerca di salvare dall’estinzione questi ormai rari animali, ci ha spiegato che basta non accucciarsi alla loro altezza e non mettersi a correre improvvisamente e tutto andrà bene.
Effettivamente ha ragione, sembrano dei grossi gatti, uno disteso fa addirittura le fusa, un altro invece si avvicina con decisione a Gian Paolo, che batte in ritirata sfidando la sorte. Abbiamo modo di vedere da vicino anche un orice e prendere in mano un serpente e un camaleonte.
Sulla strada del ritorno ci dirigiamo al Sesriem canyon, lungo 1 km e profondo 30m, qui il fiume Tsauchab ha scavato una gola intaccando un conglomerato di depositi sabbiosi e ghiaiosi risalente a 15 milioni di anni fa. E’ piuttosto scenografico e ci fermiamo a fare le doverose foto.
La sosta pranzo avviene all’oasi di Solitaire e ci accampiamo in un chiosco di un benzinaio che espone semidistrutte alcune vecchie auto risalenti agli anni’20.
Affrontiamo come di consueto 350 km di sterrato e tutto fila liscio fino a quando ci accorgiamo di avere bucato nei pressi della cittadina di Rehoboth. Betta scende e non riesce ad aprire lo scomparto con la ruota di scorta, facciamo quindi alcuni km ed entriamo nella cittadina dove chiediamo aiuto ad alcuni locali benzinai che si mettono di buona lena dandoci un altro assaggio di Africa vera in cui l’arte dell’arrangiarsi la fa da padrone.
E tra improvvisati cric con utilizzo di pietre e leve arcaiche per togliere i bulloni e schiamazzi provenienti dal vicino bar dopo un’ora abbondante e dopo aver radunato un bel po’ di curiosi attorno al nostro pullman, riusciamo a ripartire ma dobbiamo rinunciare ancora una volta alla visita dell’osservatorio di Itting Encke, era destino…
Il cielo della Namibia ci dà comunque un ultimo saluto con Mercurio al tramonto, la Luna a “barchetta di un giorno”ed il passaggio del telescopio spaziale Hubble, che alle nostre latitudini non è mai visibile, un puntino luminoso che attraversa tutto il cielo.
L’indomani un ultima visita al negozio dei diamanti, il diamond works, in cui è possibile ammirare anche rare e preziosissime gemme di Tanzanite i diamanti blu e quindi salutiamo Betta all’aeroporto ringraziandola per tutto quello che ha fatto per noi, per la sua energia, simpatia e professionalità e per tutto quello che ci ha raccontato della Namibia, dalle sue bellezze ai suoi purtroppo grossi problemi.
Il ritorno avviene tranquillamente senza disguidi ed in serata ci ritroviamo sul gigantesco arero a 2 piani Airbus 380 della Lufthansa che può contenere fino a 500 passeggeri. Ma il pensiero, nelle lunghe ore di volo, torna inevitabilmente all’avventura appena vissuta in Namibia, ai fantastici panorami che abbiamo avuto la fortuna di ammirare e a quel cielo terso in cui per 12 giorni non si è mai vista una nuvola!
Che esperienza meravigliosa! Spero di poterla vivere anche io un giorno!!