SVALBARD 2015: un’eclisse artica!
di Massimiliano Di Giuseppe
Video di Lauro Giovanetti
video e timelapse di Ferruccio Zanotti
“Dove?… Alle Svalbard?… e dove sono le Svalbard?”…
Queste le domande più ricorrenti di parenti e amici alla vigilia della partenza della spedizione di Coelum per queste lontane isole norvegesi a due passi dal Polo Nord, a caccia dell’eclisse totale di Sole del 20 Marzo 2015.
“Fate attenzione! Chissà che freddo! Ci sono anche gli orsi polari, vero? Sono pericolosi?”
Si cerca di minimizzare, ma siamo tuttavia consapevoli che di tutti i viaggi finora organizzati in giro per il mondo,per seguire i più svariati fenomeni astronomici, si tratta forse di quello più avventuroso e con più incognite: difficili saranno le comunicazioni col resto del mondo, difficili le strade da percorrere, estreme le condizioni ambientali… staremo a vedere.
Come di consueto ci si avvale della collaborazione dell’agenzia viaggi CTM Robintur, che organizza la complicata logistica e ci prenota un volo il 17 Marzo dall’aeroporto di Malpensa, con destinazione Oslo via Copenhagen.
Siamo in 9, oltre a me e Ferruccio Zanotti, ci sono grandi esperti e veterani di viaggi astronomici come Davide Andreani, Alessandro Bartoli, Esther Dembitzer, Lauro Giovanetti, Gabriella Borghetto e Stefano Ottani ed un nuovo adepto, Matteo Rovinetti da sempre affascinato da questo lontano arcipelago congelato.
Un manipolo di avventurieri dunque, che si affida alla sorte: riusciremo a vedere l’eclisse?
Nel primo pomeriggio giungiamo al nostro bell’ Hotel Radisson Blu Plaza, un edificio piuttosto alto che identifichiamo già dalla stazione dei treni, dove il veloce Express Train ci ha appena condotto, dopo un breve tragitto di mezz’ora dall’aeroporto.
In camera, Ferruccio, armeggiando con il suo smartphone sobbalza incredulo,sta controllando la app dell’”Aurora Alert” con la previsione dell’indice kp delle aurore per queste sere e si accorge di una tempesta geomagnetica in arrivo con valori mai visti dal 2003, addirittura superiori a kp 8!!!
Ricontrolliamo diverse volte pensando ad un qualche errore, ma è tutto vero, ci troviamo incredibilmente al posto giusto al momento giusto, la latitudine di Oslo è più che sufficiente per avvistare aurore di questo calibro, tra l’altro scostando la tenda della camera notiamo che il cielo è sereno, anche se con un po’ di foschia.
Unico dubbio, l’inquinamento luminoso della capitale che forse renderà difficile vedere il fenomeno, d’altra parte è troppo complesso organizzare all’ultimo momento un’uscita sufficientemente lontani dalla città, dobbiamo accontentarci e sperare. Avvertiamo gli altri di questo possibile super storm e ci incamminiamo per un giro in centro, mentre il cielo lentamente si avvia al crepuscolo.
Oslo è una bella città e siamo colti di sorpresa da una lunghissima fila di ragazze in attesa davanti ad un teatro a poca distanza dall’hotel, saranno migliaia, naturalmente quasi tutte bionde e alte. Al buon Alessandro luccicano gli occhi. Chiediamo il motivo di tale assembramento e con delusione impariamo che non stanno aspettando un gruppo di astrofili italiani in partenza per le isole Svalbard per l’imminente eclisse, bensì stanno per assistere ad un concerto della cantante Nicki Minaj.
E va’ be’, superiamo la coda e ammiriamo la cattedrale di Oslo, ovvero la Chiesa del Nostro Salvatore, del 1697, molto suggestiva nella luce del tramonto. Cominciamo a controllare il cielo ora divenuto buio, mentre avanziamo verso il Palazzo Reale e ogni tanto Lauro scatta qualche fotografia con la sua Sony A7 S, dotata di una sensibilità che può arrivare all’incredibile valore di 409.600 ISO, inquadrando l’orizzonte nord fra un edificio e l’altro, per cercare l’eventuale colore verde, indice di un’aurora in corso.
Niente da fare, ad occhio nudo si vede appena Giove e qualche stella luminosa e non c’è traccia di aurora, nemmeno in fotografia. Sono appena le 20.30, è probabile che il fenomeno si manifesti più tardi, meglio intanto andare a cercare un ristorante per la cena. Individuiamo il Monalisa, che ci pare interessante ed effettivamente ci sazia con bistecca di salmone e gelato alle more norvegesi.
Una volta usciti il cielo è sempre inquinato e giallastro ed è ormai mezzanotte quando rientriamo in albergo senza purtroppo aver avvistato nulla, neanche dal bellissimo ascensore panoramico che conduce sulla sommità dell’Hotel.
L’indomani, la prima cosa che facciamo è quella di controllare su internet il comportamento della tempesta magnetica, che effettivamente c’è stata ed ha creato aurore notevolissime, visibili addirittura dalle Alpi Austriache. Qualcuno poi, ha avvistato una splendida corona zenitale anche dall’aeroporto di Oslo, facilitato da un cielo senz’altro più buio del nostro.
Niente paura, avvisa Ferruccio, la macchia solare che ha generato questa tempesta, stando alle previsioni, continuerà ad essere molto attiva anche i prossimi giorni e alle Svalbard, se la fortuna ci assiste, vedremo bellissime aurore!
Torniamo in aeroporto dove ci attende Il volo con destinazione Longyearbyen, la principale cittadina dell’isola di Spitsbergen, la più grande dell’arcipelago, tappa obbligata per astrofili che arrivano da tutto il mondo e che cominciano a radunarsi al gate, primi fra tutti gli immancabili americani e giapponesi.
Non è stato facile trovare posto sull’isola, vista la scarsa ricettività e l’invasione del popolo astrofilo che ha letteralmente preso d’assedio ogni alloggio possibile. Noi, una volta atterrati, dovremo raggiungere in motoslitta la cittadina di Barentsburg, percorrendo ci dicono più o meno 50km, tanti, considerando che la strada non sarà certo diritta e semplice…Mah!
Dopo 3 ore di volo ecco che dal finestrino abbiamo il primo impatto emozionante con queste isole artiche: montagne innevate che si affacciano direttamente su un mare per lunghi tratti congelato: il Mar Glaciale Artico, un ambiente ostile ma incredibilmente affascinante.
Per alcuni, come Lauro, Gabriella e Matteo è un sogno che finalmente si realizza…
Piombiamo nelle nuvole e in un freddo grigiore, mentre atterriamo a Longyearbyen al piccolo aeroporto di questo sperduto avamposto, un paesino di poco più di 2000 abitanti, che rappresenta il centro amministrativo più a nord del mondo!
Veniamo accolti da Esther, la referente di Poli Arctici, che a sua volta si rifà a Giver, il tour operator locale e mentre attendiamo i nostri bagagli sul nastro trasportatore, con tanto di pupazzo di orso bianco in cima, veniamo informati che con un pullman raggiungeremo la loro sede per indossare l’attrezzatura artica.
La temperatura esterna è di -10, il vento sferzante e gelido la abbassa ulteriormente e noi, ibernati e vestiti ancora da città, cerchiamo di evitare di scivolare sul ghiaccio, mentre avanziamo con le ingombranti valigie. Ci soffermiamo accanto a un cartello di “pericolo orsi” in cui sono indicate le distanze di Longyearbyen da varie località del mondo, c’è pure l’indicazione North Pole: 1338 km.
Dal finestrino del pullman il paesaggio è in bianco e nero, varie tonalità di grigio e di bianco: montagne incombenti e cupe, neve e ghiaccio e qualche insediamento umano che cerca di sopravvivere con l’estrazione di materie prime, ultimamente anche col turismo. C’è pure un elicottero pronto al decollo, chissà, forse per le emergenze mediche penso tra me e me…
Veniamo depositati all’interno di un piccolo e freddo garage e accolti senza tanti fronzoli da Stefano, colui che ci farà da guida i prossimi giorni. “ Avete 15 minuti per trasbordare le cose veramente necessarie dalle vostre valigie in zaini o valigie più piccole e vestirvi adeguatamente, tutto il superfluo rimarrà qui!” L’ordine è perentorio e non ammette repliche.
Io, Ferruccio e Davide siamo gli unici in deroga, visto che trasportiamo telescopi e un’imponente attrezzatura fotografica, portata appositamente per l’eclisse.
“Forza signori, il tempo passa e abbiamo molti km da fare in motoslitta, volete forse rimanere qui fino a mezzanotte?”
Siamo sorpresi dal benvenuto un pò spartano e seguiamo il burbero personaggio, con un carattere forgiato dall’ambiente severo in cui vive da una ventina d’anni, in uno stanzino finalmente riscaldato e procediamo con la vestizione, lenta e laboriosa, che naturalmente suscita i rimproveri della nostra guida.
Si passa poi ad un breve briefing di guida delle motoslitte e via, si parte!
Siamo in tanti, a noi sono aggregati anche un gruppo di francesi e un gruppo di italiani che lavora al Cern, più una coppia, Carlo Cardellino e Ida Ambrosetti, con cui faremo amicizia nel corso del viaggio.
All’inizio la strada sembra abbastanza semplice, in piano e senza troppe curve, c’è ancora abbastanza luce anche se sono le 4 del pomeriggio ed il cielo è coperto, sono fresco di guida di motoslitta dal recente viaggio in Finlandia e Stefano Ottani, il mio passeggero, sorride serenamente.
Ferruccio trasporta Esther, sempre pronta a nuove avventure, Davide è in coppia con Alessandro, Gabriella è salita naturalmente col marito Lauro, mentre Matteo vuole cimentarsi da solo con la guida e gli viene affidato un carrello con i bagagli.
Ma la serenità finisce presto…ci infiliamo in una gola sempre più stretta, in cui è difficile distinguere le pareti bianche della montagna dal colore bianco del cielo, poi la strada, divenuta un sentierino abbozzato sale e scende, con improvvise curve a gomito.
Ecco che si appannano gli occhiali posizionati sul casco, accidenti, ci mancava anche questa e poi ci sono spifferi glaciali che si infilano nella testa e nel collo nonostante un’attrezzatura degna di un palombaro.
Iniziano i primi sinistri…
Vedo Lauro e Gabriella davanti a me inclinarsi sempre di più su un lato e adagiarsi con la motoslitta ribaltata nella neve fresca, Stefano ferma il convoglio, altri, come Ferruccio ed Esther hanno avuto lo stesso problema e bisogna soccorrerli, niente di grave per fortuna, ma Stefano tuona: “ Vi avevo spiegato come si fanno le curve, bisogna spostare il peso!” e mima lo spostamento sollevando il sedere e oscillando sulla motoslitta.
Si procede così per un’oretta con frequenti fermate e conseguenti rimproveri, poi ecco un passaggio veramente tosto, il sentiero ghiacciato diventa strettissimo, si arrampica e poi scende con una pendenza notevole sul fianco di un dirupo.
Coi sudori freddi ( è proprio il caso di dirlo… ) affronto la prova, il mio passeggero trattiene il respiro, la motoslitta sbanda un po’ ma ce la fa, anche il resto del gruppo pare superare l’ostacolo senza troppi problemi, approdiamo quindi in un vasto pianoro ghiacciato e ci contiamo…
Manca qualcuno: Matteo per esempio, ma anche alcuni del gruppo francese.
Stefano parte a razzo intuendo ciò che è appena successo, rimaniamo con la sua assistente Marina e il suo piccolo cane Ross , che ci dice, ci avvertirà nel caso arrivasse un orso…
Il paesaggio è cupo e veramente alieno, sembra il pianeta ghiacciato del recente film “Interstellar”, oppure il set del più datato “ La Cosa” di John Carpenter…non c’è nulla di rassicurante in tutto ciò che ci circonda, tra l’altro inizia anche a nevicare e a fare buio.
Passa il tempo…nulla, pare che qualcuno si sia fatto male, chiediamo spiegazioni a Marina che è in contatto con Stefano e cerchiamo di ricostruire la situazione, una motoslitta, quella di Matteo, con uno dei carretti dei bagagli è finita nel dirupo, mentre altre due motoslitte di francesi si sono scontrate.
Caspita! Siamo veramente preoccupati… Finalmente torna Stefano con tutte le motoslitte e passeggeri: Matteo è incolume avendo avuto la prontezza di saltare fuori dal sedile al momento giusto, ma anche la motoslitta e carrello sono stati recuperati dal baratro senza aver subito danni. Discorso diverso invece per una bambina francese, che pare abbia un braccio rotto in seguito allo scontro, occorrerà chiamare l’elicottero dei soccorsi!
Nuova lunga attesa quindi, la gente comincia ad avere freddo e fame, chiedo a Stefano di rifocillarci un po’con le scorte di cibo che abbiamo al seguito.
Ci viene fornito un po’ di tè, caffè e una bevanda calda energetica al succo di mirtillo e poi biscotti e cioccolata a volontà. Ecco in cielo una piccola luce e poi il rumore inconfondibile delle pale dell’elicottero, è proprio quello che avevo visto parcheggiato a Longyearbyen!
L’atterraggio solleva una nuvola di neve che ci avvolge e ne discendono i medici per prestare soccorso alla sfortunata bambina, che viene caricata insieme ai genitori e rimpatriati, se la caverà con una fasciatura rigida.
Come inizio non c’è male! Penso finendo di sorseggiare il succo, ma vengo presto riportato alla realtà dalle grida di Stefano: “Mancano ancora 40km e fra poco non ci sarà più luce, forza in marcia!”
La strada è veramente lunga, nevica copiosamente e davanti a me una motoslitta fatica a tenere il passo di Stefano, è una signora del gruppo del Cern in evidente difficoltà.
Il nostro “sergente” mi ordina a quel punto di guidare al posto della signora e di salutare il mio compagno di motoslitta. “Coraggio Stefano, buona fortuna”, gli dico, “Ci vediamo a Barentsburg!”Mi guarda perplesso e preoccupato.
Mi presento, la signora si chiama Marianne e inizio a guidare, non ci fermeremo più per le due ore successive, superando dossi, avvallamenti, banchi di nebbia, forti nevicate e quant’altro, fino alle 9 e mezzo di sera, quando i fari illuminano un cartello con una scritta in cirillico : Barentsburg! Ci siamo!
Passiamo accanto ad un’antica miniera di carbone e dopo qualche basso edificio vediamo come in un miraggio il nostro hostel Pomur. Nessuno incredibilmente manca all’appello. Ora un ultimo sforzo per portare le pesanti valigie ricoperte di neve al secondo piano e veramente provati e distrutti andiamo a mangiare qualcosa al ristorante di fronte.
Pochi hanno la forza di parlare, una giovane cameriera ci porta un po’ di insalata russa e salmone, poi decidiamo di archiviare la giornata dopo uno sguardo alla neve che cade, rintanandoci al caldo delle nostre stanze.
19 Marzo, vigilia dell’eclisse, guardo fuori dalla finestra della stanza condivisa con Ferruccio e Davide e mi rendo conto solo ora di dove siamo: il cielo è ancora un po’ nuvoloso, ma il sole sta illuminando una catena di montagne ghiacciate oltre il fiordo, che si trova a pochi passi dal nostro ostello, le nuvole corrono veloci sospinte da un forte vento, che solleva turbini di neve fino allo stretto braccio di mare.
Una doccia e una corroborante colazione, riconciliano con il mondo dopo il tremendo impatto di ieri e siamo dunque pronti per affrontare una nuova giornata in sella alle motoslitte, Stefano è già fuori ad attenderci. Prima però una doverosa foto ad un vecchio telefono di emergenza accanto ad un orso rosso, simbolo dell’Unione Sovietica, proprio di fronte al nostro tavolo.
La popolazione di Barentsburg, circa 850 persone, è infatti quasi interamente costituita da russi e ucraini, stabilitisi qui dagli anni 30, in seguito al trattato delle Svalbard, che consente alle nazioni firmatarie di sfruttarne le risorse, prima fra tutte il carbone, oggi praticamente esaurito.
“Ora ci recheremo vicino al mare e poi faremo un sopralluogo su una montagna qui vicino, sarà lì che domani andremo ad osservare l’eclisse”, proclama Stefano mentre rabbocca i serbatoi delle motoslitte.
Alcuni sono un po’ timorosi di affrontare nuovamente le insidie della motoslitta, ma d’altra parte qui d’inverno è l’unico mezzo di trasporto, non esistono strade.
Davide monta sul parabrezza la sua piccola telecamera GoPro, indispensabile per riprendere in movimento i paesaggi che incontreremo: “ Spero proprio di fare dei bei filmati!”, dice mentre toglie le due paia di guanti e aggancia la telecamera.
“Forza seguitemi!” Stefano è già partito, meglio assecondarlo e così il lungo convoglio di motoslitte esce brevemente da Barentsburg ( una decina di case in tutto ) e si ritrova nel deserto artico, oggi fa veramente freddo, più di ieri, meno male che le manopole del manubrio sono riscaldate!
Ho sempre Marianne come passeggera e anche le altre coppie sono rimaste le stesse, noto tuttavia un nuovo personaggio, un norvegese con un fucile a tracolla…mmmh…ci avevano detto che per muoversi alle Svalbard era fondamentale la guida col fucile per difendersi dagli attacchi di eventuali orsi bianchi, ci mancava solo questo!
Arriviamo fino alla costa rocciosa di falesie innevate, lo spettacolo è veramente primordiale e selvaggio, scendiamo dalle motoslitte e caracolliamo vicino al mare nelle ingombranti tute, tra gli spruzzi congelati che si abbattono sulla riva con tutta la potente forza della natura e le inevitabili scivolate sul ghiaccio. Solo ora il mare comincia a scongelarsi dopo il lungo inverno artico, il sole da pochi giorni è sorto sull’orizzonte, ma rimarrà sempre molto basso nel suo percorso in cielo.
Incrocio Stefano: “ E’ possibile incontrare un orso?”gli chiedo, interpretando la preoccupazione di tutta la compagnia. “ Certo, tutto può succedere, l’importante è rimanere in gruppo, non come quel tipo laggiù che si è allontanato!” e parte per ricuperare il malcapitato, che verrà strigliato a lungo.
Giunge adesso il momento di affrontare la salita per la montagna dell’eclisse, un percorso arduo in forte pendenza su un terreno ghiacciatissimo, “ Mi raccomando”, avverte Stefano,” In salita questa volta non piegatevi, rimanete seduti normalmente e accelerate!” Il sole, che ora è uscito prepotentemente dalle nubi, abbaglia e appanna gli occhiali. Ho alcuni momenti di seria difficoltà, ma avanzo sul lucido ghiaccio divenuto una lastra che riflette il sole come uno specchio, la pendenza è estrema, l’acceleratore è al massimo, la motoslitta vibra violentemente.
Dietro di me alcuni come Ferruccio ed Esther non ce la fanno, ribaltandosi inesorabilmente, ma si rialzano ancora una volta senza conseguenze. Ci incontriamo sulla cima e qui lo spettacolo è veramente mozzafiato.
Il panorama a 360°è grandioso, sotto di noi il fiordo di Barentsburg si infila tra le montagne di neve e ghiaccio, che ci girano attorno in uno scenario potente e drammatico.
Guardo l’orologio, le 11.00, se fra 24 ore avessimo la stessa situazione meteo, assisteremmo ad una delle più belle eclissi di sempre.
Il freddo però è un problema, me ne accorgo ogni volta che tolgo i guanti per scattare qualche foto, le dita si congelano in pochi secondi, la temperatura si aggira sui -20°, ma il forte vento ce la fa percepire a -30°! E pensare che questa zona delle Svalbard, risente delle benefiche influenze della corrente del Golfo, chissà la parte nord!
L’unica possibilità l’indomani di rimanere diverse ore all’aperto in queste condizioni, è quella di ripararsi accanto a due piccoli casotti in lamiera, dotati di antenne e parabole, probabilmente una piccola stazione radio.
Lì infatti il vento è assente e si potranno posizionare gli strumenti senza problemi, oltre che evitare il congelamento. Rimango un po’ ad osservare la neve polverizzata sospinta dal vento sul suolo ghiacciato creare disegni sinuosi e mi viene in mente la tempesta di sabbia vissuta in Algeria nel 2009, situazioni climaticamente opposte, ma incredibilmente simili nel loro manifestarsi.
Facciamo il punto con Stefano, le previsioni meteo qui alle Svalbard, non sono per nulla affidabili, ogni volta che su Internet le abbiamo controllate, non corrispondevano mai alla realtà, domani per esempio danno la stessa situazione di variabilità sia qui che a Longyearbyen. Chissà, mah! Si prova a ipotizzare altre location di emergenza, ma considerando che gli spostamenti sono veramente difficoltosi decidiamo alla fine che domani torneremo qui, affidandoci al destino.
La discesa ci regala altri panorami spettacolari, in cui vediamo passeggiare alcune piccole renne albine e avanziamo fino alla base della montagna in cui ci fermiamo per il pranzo. Vediamo Stefano consegnarci alcune buste di cibo disidratato, vari tipi di minestre di verdure, risotti, c’è perfino pasta alla bolognese! Ci vengono date le necessarie istruzioni per consumare il pasto: occorre riempire la busta con acqua calda, mescolare il contenuto con un cucchiaio, tenere la busta accanto al corpo alcuni minuti ed il gioco è fatto!
Sembra facile, ma l’operazione non è proprio semplicissima, soprattutto quando si è vestiti come noi e pochi riusciranno a non rovesciare il contenuto sulla motoslitta o sulla tuta, il sapore poi lascia un po’ a desiderare, va meglio coi dolci ed il solito succo al mirtillo.
Di ritorno al nostro Ostello, qualche messaggio su whatsapp, ci informa che a casa la nostra spedizione non è passata inosservata e ha avuto risalto sul quotidiano Il Resto del Carlino, con tanto di articolo celebrativo della nostra impresa, Ferruccio, viene pure contattato telefonicamente da Radio Rai, per un’intervista al Radio Giornale.
L’eclisse si vedrà parziale anche in italia, in alcune località con una copertura lunare attorno al 70%, quindi un fenomeno tutt’altro che secondario.
Cresce dunque l’attesa per il grande evento dell’indomani e a cena, con Carlo e Ida si ricordano le reciproche esperienze di eclissi vissute in giro per il mondo in questi anni. Questa è la mia ottava eclisse totale, ma è poca cosa rispetto a quanto totalizzato da un anziano astrofilo americano incontrato all’aeroporto, che ne ha viste più di 60!
Usciti dal ristorante, il cielo è praticamente tutto sgombro, non si vedono aurore, ma ci diamo appuntamento tra una mezz’ora per cercare un luogo sufficientemente buio nelle vicinanze, senza allontanarci troppo, non è ancora chiaro se gli orsi bianchi siano attivi anche di notte…
Prendiamo una stradina che và verso la miniera passando accanto ad alcune case e troviamo alla fine un luogo riparato dalle luci, sono quasi le 23.00, ma il cielo non è perfettamente buio ed incredibilmente, ad ovest è ancora visibile la striscia rossa del tramonto, una cosa surreale.
Le alte latitudini come questa, ( ci troviamo a 78°N!), regalano situazioni di luce veramente inusuali, la Polare quasi allo zenit, è essa stessa motivo di curiosità, mentre illustriamo un po’ di costellazioni in attesa delle aurore, ma c’è addirittura il dubbio di trovarsi troppo in alto rispetto all’ovale aurorale e quindi di non vederle.
Ma ecco una striscia verdognola all’orizzonte fugare ogni dubbio, è l’aurora, anche se in direzione sud, sotto la costellazione del Leone! Carlo, Ida e Gabriella, che ci avevano appena salutati dirigendosi infreddoliti in hotel, ritornano velocemente sui loro passi.
L’aurora diventa più intensa ed il verde emerge in maniera vivace sopra le montagne, Lauro esulta: “Adesso ci siamo!”ed inizia a fotografare e a riprendere a raffica col suo potente mezzo. Anche per Matteo, che è la prima volta, è un momento emozionante.
La fascia si sta alzando e allungando anche sopra al mare, ci si sposta velocemente per inquadrarla assieme al tramonto in corso. C’è un gran silenzio, quella strana luce crepuscolare infonde un senso di pace e insieme di mistero.
Tante sono le leggende nordiche legate alle aurore, tra le più curiose vi sono quelle che le ritraggono come vecchie zitelle al ballo, morti venuti a salutare i parenti, oppure spiriti intenti a giocare a palla con un teschio di foca…
Rimaniamo a lungo ad osservarne le evoluzioni, poi, quando il fenomeno sembra esaurito ci ritiriamo in stanza, eccetto Ferruccio che rimane in solitaria in balia degli orsi, ad attendere qualche eventuale sussulto aurorale fino a quando il freddo lo consentirà.
Spegniamo il termosifone della camera, veramente bollente e con Davide pensiamo all’impegnativa giornata che ci attende e al coraggio del nostro compare, pronto a immolarsi per la scienza!
20 Marzo, ci siamo, the eclipse day! Vedo con sollievo Ferruccio nel suo letto, sopravvissuto alla nottata, mi avvicino alla finestra e noto che il cielo purtroppo non è il massimo, ci sono parecchie nuvole e pochi squarci di azzurro. Sono tuttavia le 6.30, c’è ancora molto tempo, speriamo!
Si sveglia Ferruccio e ci mostra con orgoglio le foto delle aurore riprese attorno all’una e 30 di notte, quando l’attività era aumentata parecchio, con la comparsa di una bella corona zenitale verde e viola e lunghi pennacchi fin sopra al fiordo. Notevole! La cosa incredibile è che a quell’ora stava iniziando già ad albeggiare… ( vedi resoconto di Ferruccio Zanotti : “Cascate di luce alle Svalbard“)
A colazione rivediamo Stefano, il nostro compagno, scomparso misteriosamente la sera prima, ci rivela che aveva perso gli occhiali e non ci trovava più, in seguito, dopo una lunga ricerca è poi riuscito a ricuperarli e a vedere le aurore dal tetto dell’ostello.
Sono le 8.30, siamo tutti vestiti e pronti alla partenza, con l’attrezzatura caricata e legata alle slitte, il cielo purtroppo continua a dare poco affidamento, le nuvole continuano ad avanzare, rimane qualche squarcio a sud, che va e viene e a nord con le montagne ghiacciate oltre il fiordo splendidamente illuminate dal sole, ma purtroppo impossibili da raggiungere.
Gabriella ci saluta, ha deciso di rimanere qui, osserverà l’eclisse fuori dall’ostello, troppo impegnativo per lei affrontare di nuovo la montagna. Spiace a tutti ma le facciamo gli in bocca al lupo: “Magari tu vedi l’eclisse e noi no!” le diciamo allontanandoci sulle motoslitte.
Ormai al terzo giorno di guida, ci sentiamo più sicuri e affrontiamo senza problemi la salita sul monte, che ci accoglie con una situazione climatica variabilissima e leggermente meno ventosa di ieri, la temperatura staziona però sempre sui -20°.
Inizio a montare il fedele Tansutzu ( 114/1000 ), che mi ha seguito anche in questa formidabile avventura, al riparo di uno dei due casotti di lamiera, gli altri 7 si sistemano accanto al secondo e iniziano pure loro a montare cavalletti e attrezzature. I francesi, il gruppo Cern, più un secondo gruppo di italiani, arrivati ieri sera sul tardi con problemi maggiori dei nostri nella guida delle motoslitte, sono invece sparpagliati sulla cima della montagna. Con i nostri caschi e le tute, sembriamo proprio astronauti alle prese con l’esplorazione di un pianeta alieno!
Il tempo corre e fra poco avremo il primo contatto, Carlo ed Ida mi raggiungono e si posizionano al riparo del vento, ogni tanto si apre qualche squarcio che mette un po’ di ottimismo, basterebbe centrare lo squarcio giusto al momento giusto… Si fanno scongiuri scaramantici.
Il primo contatto delle 10.11, è nascosto da una spessa nube. L’avanzare della parzialità è una continua lotta tra le nubi, gli squarci e le velature, che se da un lato rendono meno limpida la falce di sole che via via si assottiglia, dall’altro rendono superflui i filtri e gli occhialini, facendoci apprezzare insieme sole eclissato e paesaggio. Hans, la nostra guardia armata sorveglia la situazione: per ora niente orsi…
“ Chi mi dà una mano con il cavalletto?” Sento in lontananza la voce di Esther trasportata dal vento ed ovattata da sciarpe e casco e vedo Davide prestare diligentemente soccorso, se pur limitato nei movimenti dal freddo gelido di una mattina che non ne vuol sapere di rasserenarsi.
Ormai la copertura del disco lunare è arrivata al 70% e camminando fino al bordo del dirupo per avere un orizzonte più ampio possibile, provo a capire se sono in arrivo schiarite o meno. Il responso purtroppo è negativo, anzi una grossa nube livida sta per piombare su di noi, qualcuno nel gruppo dei francesi scuote la testa, per la prima volta in tutti questi anni temo seriamente che non riusciremo a farcela, giù invece in direzione di Barentsburg il cielo sembra più chiaro…
Per un attimo mi viene la tentazione di prendere la motoslitta e tornare in paese, ma mi aggrappo all’ultimo briciolo di speranze e ritorno dal nostro gruppo aspettando un miracolo.
La luce è calata sensibilmente, si sente qualche oooh di stupore, il paesaggio innevato attorno comincia ad assumere una colorazione verdognola, le montagne oltre il fiordo sono ancora ben illuminate dall’ultimo lembo di sole…cosa darei per essere là in questo momento!
Osservo Matteo inginocchiato quasi in preghiera accanto al cavalletto fotografico, cala il silenzio e in un attimo le tenebre sono sopra di noi…inesorabili.
Sono le 11.10, “E’ totale!” annuncia drammaticamente Ferruccio. Cerchiamo il disco nero del sole e la bianca corona, ma la nube è troppo spessa, niente da fare, abbiamo 2 minuti e 29 secondi, basterebbe anche solo una piccola apertura. Qualcuno spera ancora.
Osservo il paesaggio, una tonalità giallo chiara ci circonda in basso sull’orizzonte, è veramente buio pesto, intravedo in lontananza la sagoma di Alessandro, impietrito accanto alle motoslitte, anche in queste condizioni la totalità è un’esperienza unica, terribilmente intensa.
Si rinforza il vento e incredibilmente inizia a nevicare! Non ci posso credere, il Tansutzu da arancione in pochi istanti diventa bianco, non faccio quasi in tempo a rendermene conto che un timido bagliore fra le nubi ci segnala che l’eclisse è finita, i due minuti e ventinove secondi sono già passati, l’ombra lunare ci sta già scavalcando…
Prima o poi doveva succedere, un cacciatore di eclissi dopo tanti anni di successi deve mettere in preventivo che non può sempre andare bene, ci si gioca tutto in quei pochi minuti di totalità e avevamo probabilmente un credito con la fortuna.
Ma nonostante tutte queste riflessioni non posso fare a meno di maledire la “nuvola di Fantozzi”, che lentamente lascia spazio ad una splendida giornata di sole. La memoria và quindi al recente incontro col famoso attore Paolo Villaggio creatore di questo celeberrimo quanto sfortunato personaggio.
Torniamo delusi a Barentsburg, dove Stefano in uno slancio di bontà e comprensione, anziché riproporci il temibile cibo disidratato, ci offre il pranzo al ristorante dell’hotel di fianco al nostro ostello. Entra Gabriella in sala da pranzo decisamente sorridente, accompagnata da un Lauro con la faccia incredula: “ Lo sapete che ha visto l’eclisse?” annuncia quest’ultimo. Attimo di silenzio sbigottito della platea. “ E l’ha pure fotografata!”
Gabriella, quasi imbarazzata, ci spiega che le nuvole anche a Barentsburg andavano e venivano, ma che ad un certo punto durante la totalità c’è stata una breve apertura, che per un attimo ha mostrato il disco nero del sole con la corona anche se pesantemente velata.
La cosa incredibile è che le foto mostrano l’eclisse con la nevicata in corso!
“ Sensazionale!” sbotta Ferruccio, “ La prima foto al mondo di un’eclisse totale durante una nevicata!” “ La pubblichiamo immediatamente sul sito americano Spaceweather!”
Fioccano i complimenti e le congratulazioni a Gabriella, almeno un componente della spedizione ha visto l’eclisse, certo, ci poteva andare meglio, come a Longyearbyen, dove alla faccia delle previsioni hanno avuto un cielo limpidissimo, ma anche peggio, come a quel gruppo di turisti assaliti da un orso poche ore fa!!!
Stefano ci lascia a questo punto nelle mani della bella Naicy, che ci guida nel pomeriggio per una breve visita della città e del museo di storia naturale. Ci mettiamo in marcia, l’architettura sovietica emerge prepotentemente nello stile degli edifici, c’è pure un busto di Lenin che troneggia su un piedistallo nella piazza principale, ma la nostra attenzione è attirata da uno splendido tramonto color oro sul fiordo ghiacciato, a cui è impossibile non fare qualche foto.
Un piccolo parelio accanto al sole completa il quadretto, che fissa nella memoria un’altra significativa immagine di questo Grande Nord, prodigo di emozioni veramente forti.
Entriamo al museo Pomor, fondato nel 1963 dall’archeologo sovietico Vadim Starkov, che condivide lo stesso edificio con un centro sportivo dotato di palestra e piscina, che visitiamo togliendo la tuta ed i pesanti scarponi.
I Pomor, ci dice Naicy, erano una popolazione del Mar Bianco, a cui si deve probabilmente la vera scoperta delle Svalbard, attribuita erroneamente all’esploratore Willelm Barents nel 1596 e ci mostra numerosi reperti anteriori al 16° secolo, di questi antichi cacciatori.
Osserviamo attenti anche la ricca collezione di fossili e minerali del museo e svariati animali impagliati tra cui il famigerato orso bianco, il più grande mammifero carnivoro della terraferma: il maschio adulto può infatti pesare fino a 700 kg e superare i 3m di lunghezza!
Salutiamo Naicy e ci apprestiamo per la cena al solito ristorante, questa sera c’è un gruppo di musicisti locali che cerca di rallegrare la serata, ma preferiamo uscire presto per osservare il comportamento delle aurore.
Il cielo è ancora decisamente chiaro, ma appena usciti notiamo subito una luminosa fascia verde in netto contrasto col bianco della neve, che si alza dalla montagna e si dispone in un ampio arco sopra di noi. Lauro, Stefano e Ferruccio sono pronti a riprendere e fotografare questo meraviglioso fenomeno della natura, che pare voglia dare spettacolo anche stasera, forse a parziale risarcimento della mancata eclisse…
Una mano invisibile sembra scarabocchiare il cielo di verde, una linea qui, una lì, una che si attorciglia in alto in rapido movimento, caspita, siamo ai livelli di Abisko! Rimaniamo incantati a bocca aperta, anche chi dovrebbe essere “vaccinato”a questo tipo di esperienze, ammirando la “coda della volpe”, altro nome con cui viene chiamata l’aurora, disegnare le sue imprevedibili evoluzioni nel silenzio della notte artica.
Ma il fenomeno, tanto rapidamente come si è manifestato, così svanisce, lasciando in cielo solo pallidi chiarori, torniamo alla postazione della sera precedente in paziente attesa per più di un’ora, ma non c’è più nulla da vedere.
Quasi tutto il gruppo, me compreso, si ritira in ostello stanco ma soddisfatto, rimangono Ferruccio , Stefano e Matteo fiduciosi in un bis, sopportando di buon grado il freddo estremo.
21 Marzo, la solita sveglia, il solito rito della doccia nel bagno comune dell’ostello ed incrocio Matteo nel corridoio, che sta raccontando ad altri la loro fortunata esperienza della notte prima. Mi guarda entusiasta: “ Verso l’una ci sono state aurore fantastiche!” . Le sue parole trovano conferma in Ferruccio, che annuisce mentre avanza lentamente con la macchina fotografica in mano.
Guardo le foto nel piccolo schermo e lancio alcuni coloriti commenti all’indirizzo dei fortunati compari, le bande aurorali sono incredibilmente luminose e nella corona zenitale oltre al viola si intuisce anche il colore blu, il più raro in assoluto!
“Però…che meraviglia!” Interviene Davide mentre si aggiusta gli occhiali. “Pare che l’indice Kp abbia sfiorato il valore 6, una tempesta in piena regola!” rincara la dose Ferruccio. A colazione tutto il gruppo si affolla ad ammirare le stupende foto aurorali, ma veniamo presto richiamati all’ordine dal sergente Stefano, che ha deciso di dividerci in due gruppi, chi se la sente, lo seguirà in un difficile percorso fino ad un lontano ghiacciaio, gli altri saranno accompagnati dalla sua collega Ingunn lungo un tracciato più semplice, ma altrettanto spettacolare.
Ferruccio, Lauro e Gabriella gettano la spugna, chi esausto dalla passata notte osservativa, chi desideroso di passare una giornata in relax, io Matteo, Esther e Davide ci uniremo al giro soft di Ingunn, mentre Alessandro, Stefano, Carlo e Ida sfideranno la sorte e i pericoli del tour al ghiacciaio.
Ingunn è una norvegese energica e sorridente, che parla un buon italiano e mi affida subito un’altra signora in difficoltà ( Anna), che dovrò trasportare in motoslitta e ci spiega il programma della giornata: arriveremo fino alla”spiaggia”, che si trova appena fuori Barentsburg sulla strada che porta a Longyearbyen, poi esploreremo alcune valli nelle vicinanze.
Bene, si parte! Dopo pochi km ci lasciamo alle spalle la nuvolaglia di Barentsburg e un sole abbagliante ed un cielo blu ci danno il benvenuto alla spiaggia, là dove il fiordo finisce ed iniziano le montagne, una vasta baia congelata, incredibilmente bella, che ci fa sembrare esploratori d’altri tempi come Umberto Nobile e Roald Amundsen, oppure come i più recenti Ambrogio Fogar e Reinhold Messner.
Molte spedizioni per il Polo Nord partivano e partono tutt’oggi dalle Svalbard, ultimo avamposto abitato prima delle desolazioni e delle insidie del Mar Glaciale Artico, oggi ancora più insidioso a causa del riscaldamento globale e della conseguente rottura della banchisa polare, che rende estremamente difficoltoso il cammino.
Riprendiamo la marcia e ci infiliamo in un’ampia vallata tra le montagne, la cosiddetta “valle verde”, nome dovuto all’aspetto che assume durante l’estate, una breve sosta in cui assaporiamo tutta la bellezza del paesaggio, quasi “scaldati”dal sole di mezzogiorno, fotografando e immortalando numerosi scorci del panorama. Oggi non c’è vento e si resiste senza guanti per qualche secondo in più…
Di nuovo in sella, affronteremo ora la parte più difficile della giornata, la salita in motoslitta su un monte situato nell’interno dell’isola, qualche sobbalzo, qualche saliscendi, ma ormai non ci ferma più nessuno e arriviamo alla meta, ripagati da una vista veramente magnifica.
Scendiamo e facciamo quattro chiacchiere con la nostra guida.
La simpatica Ingunn è prodiga di spiegazioni su questo o quell’aspetto della vita a queste latitudini, perde leggermente il sorriso solo quando ci racconta il suo incontro ravvicinato con un orso, avvenuto qualche anno fa e risoltosi fortunatamente senza conseguenze per lei e per il gruppo di turisti che accompagnava.
Osservo Hans, con il fucile a portata di mano e lo sguardo serio a controllare l’orizzonte. Un cenno di assenso e abbiamo il via libera per salire a piedi sulla cima, poche decine di metri in forte e scivolosa pendenza che scoraggiano i più e alla fine solo io Matteo e Ingunn riusciamo a terminare l’impresa.
Che spettacolo, lo sguardo spazia dalla vicina e strapiombante “valle delle renne” fino a lontanissime montagne senza nome, là in fondo oltre quelle cuspidi c’è il Polo Nord, sembra impossibile trovarsi così vicini a questo luogo mitico.
Provo ad immaginare come dev’essere stata l’eclisse vista da là: un sole nero ed inquietante è apparso all’orizzonte il giorno dell’equinozio di primavera, per la prima volta dopo 6 mesi di buio…terribile!
Scendiamo per il pranzo, il solito cibo disidratato, che però in compagnia di Ingunn sembra più buono ed infine, sul fare del tramonto torniamo alla baia di Barentsburg, in un punto in cui riusciamo a camminare sul mare ghiacciato.
L’acqua del fiordo è per lo più ricoperta dal pack, ma in alcuni punti vicino alla riva questo è più sottile, di una strana consistenza elastica e gommosa che testo personalmente appoggiandovi i piedi con circospezione. Il sole basso sull’orizzonte trae luccichii multicolori dai cristalli di ghiaccio intorno a noi, quasi fossero Swarovsky, mentre le montagne in lontananza diventano azzurrine o violette in un continuo cambio di luce, l’ultima magia di questo viaggio, che ci regala proprio alla fine il suo apice di spettacolarità.
Torniamo nell’umida nuvolaglia di Barentsburg, che ci preclude l’ultima notte osservativa e ci ricongiungiamo col resto del gruppo, anch’esso entusiasta della gita al ghiacciaio. Un brindisi finale con un liquore tipico con gradazione alcolica di 78° e l’indomani mattina affrontiamo il lungo tragitto per Longyearbyen, accompagnati dalla preoccupazione di non arrivare in tempo all’aeroporto.
Ma ormai l’uomo e la motoslitta sono diventati una cosa sola, riusciamo a correre nei punti più semplici e pianeggianti fino a 70 Km/h, cosa impensabile fino a qualche giorno prima. Anche se non è prudente abbassare la guardia, l’imprevisto è sempre in agguato e quando ci troviamo ad affrontare un impegnativo dosso, osservo davanti a me Alessandro, fino ad allora impeccabile, arrendersi ad una curva presa male e rovinare assieme ai bagagli, Tansutzu compreso, nella scarpata.
Nulla di grave, ma Stefano, accorso per l’ennesima volta sul luogo del sinistro alza gli occhi al cielo trattenendo un’imprecazione. Alessandro tenta di giustificarsi, ma il nostro sergente non vuol sentire ragioni, soprattutto adesso che siamo alla fine del nostro addestramento e non dovremmo fare più errori del genere.
Per fortuna sarà l’ultima volta che sentiremo sbraitare Stefano, arriveremo puntualissimi a Longyearbyen, nello stesso freddo grigiore dell’andata e saluteremo l’attrezzatura artica, le motoslitte e il nostro inflessibile comandante, pronto per accogliere degnamente nuovi turisti. “Voi siete stati dei privilegiati”, ci dice mentre ci congeda squadrandoci dall’alto in basso, “i prossimi dormiranno in tenda all’aperto!”
Abbandoniamo la dura e affascinante realtà delle Svalbard e dopo un interminabile quanto inutile scalo tecnico a Tromso sotto una tormenta di neve, siamo di nuovo ad Oslo e al nostro hotel Radisson.
Sono le 22.30 quando usciamo a cercare un ristorante, ma a quell’ora sono tutti chiusi, non rimane altro che un Kebab senza troppe pretese per chiudere una giornata piuttosto impegnativa.
23 Marzo, abbiamo qualche ora al mattino prima di tornare in aeroporto, che decidiamo di impegnare visitando la città, chi si reca al porto, chi alla cattedrale, chi come me Ferruccio, Esther, Gabriella e Lauro, al Museo di Munch, dedicato al celebre pittore espressionista norvegese, definito il pittore dell’angoscia per i temi affrontati dalle sue opere.
Naturalmente tutti siamo desiderosi di ammirare il famosissimo “Urlo”, tuttavia in biglietteria ci viene rivelato che il quadro questa settimana si trova a Parigi……no comment!!!
Dovremo così accontentarci di un’interpretazione dell’opera, molto somigliante e convincente, da parte di Ferruccio, che ben si addice come conclusione di questo viaggio, che se da una parte ci ha messo a dura prova per le estreme condizioni ambientali, principali causa della mancata eclisse, dall’altro ci ha regalato panorami incantevoli ed aurore veramente da urlo!
Davide Andreani, Gabriella Borghetto, Carlo Cardellino, Esther Dembitzer, Massimiliano Di Giuseppe, Lauro Giovanetti, Stefano Ottani, Matteo Rovinetti e Ferruccio Zanotti.
Che invidia, ragazzi!
Peccato per la mancata osservazione di questo “Sole nero sotto zero”, ma le Svalbard già da sole costituiscono la realizzazione di un sogno. Se poi ci si mettono anche le incredibili aurore immortalate da Ferruccio… Spettacolo allo stato puro!
Bellissimo racconto della vostra spedizione. Ho seguito i vostri spostamenti su Google Maps…..siete stati tutti molto corraggiosi ….. peccato per la totalità ma in compenso avete visto dei posti incredibili.
Un saluto dal Gruppo Astrofili Pesarese
Fabio Arcidiacono