MONGOLIA 2008: UN’ECLISSE ALLA OVERLAND
di Massimiliano Di Giuseppe
4500 km su piste sterrate, un’avventura con la “A”maiuscola, che non ha avuto niente da invidiare alla famosa trasmissione televisiva “Overland”. Alla scoperta di una terra misteriosa e affascinante che ci ha regalato un’eclisse memorabile!!!
Dopo l’ultima eclisse di Sole osservata in Egitto nel 2006, le Leonidi in Marocco nel Novembre dello stesso anno e le Geminidi nel Dicembre 2007 in Algeria, Coelum Viaggi torna in pista con destinazione Mongolia per l’osservazione di una nuova eclisse totale di Sole. La linea della totalità quest’anno sfiora l’estremo ovest della Mongolia dopo aver attraversato Canada, Groenlandia, Oceano Artico, essere passata tra le isole Svalbard e la Terra di Francesco Giuseppe, la Siberia e infine la Cina.
La scelta del luogo è frutto come al solito di un’attenta analisi delle condizioni meteo, che vedono nei pressi della città di Bulgan in Mongolia una probabilità del 60% di cielo sereno, con un’altezza del Sole di 20°sull’orizzonte e una durata di 2’e 4”, un buon compromesso rispetto alle condizioni meteo e durata negli altri paesi toccati dalla totalità, nonché un’opportunità per visitare un affascinante e misterioso paese, in un itinerario scelto dall’agenzia viaggi CTM Robintur di Modena, con cui da anni collaboriamo nell’organizzazione di viaggi astro turistici.
Siamo in 21, oltre al sottoscritto e alla moglie Arianna, prendono parte alla spedizione il collega Ferruccio Zanotti, i veterani Diego Pizzinat, Viviana Beltrandi, Claudio Balella, Esther Dembitzer, Giulio Cherini, Piera Mezzetti, Deni Fier, Giorgio Bernaschi, Gabriella Mungai e i nuovi arrivati Daniela Zizi, Osanna Vaccari, Antonella Gilli, Giordano Bruno Sette, Giovanni Lupato, Giannina Finotto, Giorgio Motta, Maurizia Negri ed Elena Lombardi. Ci ritroviamo tutti il 28 Luglio dopo un lungo volo con scalo a Francoforte, Berlino e Mosca, all’aeroporto Di Ulaan Baatar, capitale della Mongolia dove incontriamo le due guide Bata e Billy e le 7 jeep con cui affronteremo il lungo e difficile percorso che ci porterà sul luogo di visibilità dell’eclisse.
Veniamo condotti all’albergo Bayangol Hotel per una veloce colazione e poi saliamo sulle jeep, si parte! Ci attendono 400 km al giorno di piste sterrate in territori impervi e inospitali, un’impresa alla “Overland”, che con i suoi camion arancioni, lo scorso anno si aggirava proprio da queste parti.
Dopo una decina di km infatti, abbandoniamo la strada asfaltata e affrontiamo decisi lo sterrato, che ci accompagnerà inesorabile per i prossimi 12 giorni, con la polvere, i sobbalzi e le forature del caso. Davanti a noi una steppa infinita e desolata, interrotta da corsi d’acqua che guadiamo abilmente con le jeep e da mandrie di bovini,cavalli cammelli e numerosissime greggi di pecore e capre.
La presenza umana è limitata a sporadiche “gher” tende tipiche mongole,che punteggiano di bianco il verde intenso e profumato della prateria. La Mongolia è il paese meno popolato al mondo: 2 milioni di persone in un territorio grande 3 volte la Francia, un milione delle quali concentrato nella capitale.
Il nomadismo che non richiedeva la costruzione di città, i divieti sciamanici contro la profanazione della terra insieme ai rigori del clima, che d’inverno può toccare i -50°, hanno preservato la natura, che ci si offre incontaminata e primitiva come in pochissimi altri luoghi al mondo. Ci apprestiamo per il pranzo sulle colline erbose, abbandonandoci per un attimo alla stanchezza del lungo volo e meditando sul viaggio che ci attende.
Proprio per propiziare la fortuna della spedizione, Bata e Billy ci consigliano di girare attorno ad un “ovoo”che incontriamo lungo la strada, un cumulo di sassi misto a sciarpe di seta blu, gialle e arancioni, un luogo di preghiera. Lanciamo anche noi un sasso ad ogni giro attorno all’”ovoo”, come vuole la tradizione, pensando al sereno per il giorno dell’eclisse. Nel tardo pomeriggio, giungiamo al tempio buddista lamaista di Erdene Zuu, sorto sulle rovine di Karakorum, antica capitale ai tempi di Genghis Khaan.
Racchiuso da un quadrilatero di imponenti mura, sormontato da 108 bianchi “stupa” o “chorten” tibetani, fu, sino agli anni ’20 uno dei più grandi centri del pensiero buddista lamaista al di fuori del Tibet. Eretto nel XII secolo, il più antico dei monasteri mongoli, ospitava oltre 100 templi, in gran parte distrutti negli anni ’30 da Stalin. I pochi edifici sopravvissuti conservano alcuni tra i più bei capolavori dell’arte lamaista ( statue, maschere per le danze rituali tsan e thangka, ecc.).
Dal 1990 è stata ristabilita la libertà religiosa ed il restauro di questo complesso è uno dei principali progetti del paese. I 3 templi a pagoda superstiti sono dedicati alle 3 fasi della vita del Buddha: infanzia, adolescenza ed età adulta.
L’atmosfera è rassicurante, il cielo è totalmente sgombro da nubi e qualche monaco si aggira silenzioso nel cortile del monastero, non manchiamo di girare anche noi qualche ruota della preghiera. Ci facciamo quindi accompagnare su una vicina collina, da cui si può godere della vista del monastero dall’alto e qui è posizionata una curiosa roccia fallica, puntata in modo erotico verso una collina chiamata pendio vaginale.
Secondo la leggenda, la roccia fu collocata qui nel tentativo di dissuadere i monaci irrequieti dal fraternizzare con le donne del posto. Nelle vicinanze è posta anche una tartaruga di pietra, con funzione protettiva della città, tutto ciò che rimane dell’antica Karakorum. Arriviamo quindi al vicino campo di gher in cui sostiamo per la notte.
Le gher hanno una forma circolare, costituite da un’intelaiatura in legno ricoperta di feltro,un’ottima protezione per gli inverni rigidi e un’isolante per il caldo dell’estate, con al centro lo spazio per il fuoco e due comodi letti laterali. Tutto è ordinato e pulito e nel campo c’è pure un apposito ristorante ed il locale docce e bagni.
Nel corso della cena assaggiamo improbabili spaghetti al ragù ed altre misteriose salse, poi abbiamo il primo impatto con il cielo mongolo, limpidissimo e assolutamente buio, a tal punto da non vedere alcuna cupoletta di luce lungo l’orizzonte che segnali la presenza di qualche città o villaggio.
Può sembrare strano ma in Cile, nel deserto di Atacama presso il sito del VLT, meta di un nostro precedente viaggio, si poteva notare in lontananza la luce della città di Antofagasta! E poi impressionanti le nubi di passaggio,che non riflettendo alcuna luce per centinaia di km, appaiono assolutamente nere, quasi dei buchi nel cielo che interrompono lo sfarzo di nubi stellari e luminose costellazioni.
La Via Lattea e tutti i principali oggetti del cielo estivo ( M27, la Laguna, la Trifida, M17 ), rivelano particolari entusiasmanti al fedele Dobson da 25 cm autocostruito e agli altri strumenti della spedizione quali, diversi Pentax 75, e montature per astrofotografia con i più svariati teleobiettivi.
La mattina del giorno 29 Luglio il cielo si presenta velato e dopo colazione salutiamo il nostro primo campo di gher ed il personale che si è messo ordinatamente in fila lungo la strada per salutarci. Affrontiamo i nostri consueti 400 km, ammirando gruppi di gru damigella, mentre gli autisti cominciano ad avere le prime noie con le jeep, quali forature ( ne collezioneremo una trentina), surriscaldamento del motore e rottura delle sospensioni.
Ci fermiamo nei pressi di alcuni antichi ruderi e Deni fotografa con la polaroid un piccolo cavaliere, che riceve in dono la preziosa foto. Siamo a circa 2000 m di quota e sostiamo per il pranzo al sacco, che spesso sarà costituito da montone impanato, burro, pane e dolciumi confezionati, in una zona montagnosa, mentre il cielo è ora decisamente coperto e minaccia pioggia.
Avvistiamo il primo gruppo di cammelli ( quelli con due gobbe), ed attorno alle 19.00 siamo nei pressi della cittadina di Bayankhongor, che superiamo, per arrivare dopo una quarantina di km nei pressi del fiume Nariin in cui ci aspetta il campo tendato. Le nostre tende igloo sono già montate, la cucina da campo in fermento e 2 tende con funzione di bagno in perfetta efficienza, ci sono pure svariati tavoli da pic nic.
Uno spettacolo! Tutto il gruppo è estremamente soddisfatto, io e Giorgio di Padova ci facciamo la barba con tinozza e specchietto accanto alle tende e Giorgio di Roma mostra ad un incuriosito pubblico un suo prototipo di sgabello forato, con funzione di bagno, per i casi di emergenza. Le risate si perdono nella steppa.
Poco dopo il nostro cuoco ci serve la cena, mentre un gregge di pecore attraversa il campo tendato. Poi la stanchezza prende il sopravvento e complice il cielo nuvoloso ed una temperatura piuttosto bassa, ci ritiriamo nelle tende.
Il giorno 30, dopo un’abbondante colazione con uovo e bacon, siamo di nuovo in pista e affrontiamo una serie di guadi impegnativi addentrandoci sempre di più nella steppa, che da verde brillante diventa sempre più gialla e arida.
Le piogge estive ( unico periodo in cui piove ), si concentrano nei mesi di Luglio e Agosto nel nord del paese e noi andiamo a sud-ovest. Arianna è fiduciosa. Un’aquila solitaria inizia a seguire la nostra spedizione e viene battezzata Alì.
La desolazione regna sovrana e la nostra carovana si ferma ad osservare un serpente maculato sul ciglio della strada, è impaurito e batte subito in ritirata. Pranziamo in un piccolo villaggio attorniati da nugoli di bambini che sono affascinati dalla polaroid di Deni e tra una foratura e l’altra arriviamo alla cittadina di Altai, in cui sostiamo qualche ora visitando il modesto mercato.
La cittadina dà il nome alla catena di monti i cui contrafforti cominciano a rendersi visibili, domani li attraverseremo. Il tramonto ci accoglie al nuovo campo tendato e questa volta le tende dobbiamo montarle noi, parzialmente aiutati dagli autisti. Iniziano i primi mugugni.
Mi rassereno con uno splendido blue flash di colore turchese, osservato al binocolo, poi ci sediamo ai nostri tavoli in attesa della cena, in una serata calda e limpida. Ci troviamo nei pressi di Sharga in un prato fiancheggiato dal consueto fiumiciattolo, tutto sommato un posto bucolico.
Dopo cena facciamo il piano d’attacco all’eclisse, decidendo di sfruttare il GPS di Giordano per localizzare il luogo del prossimo campo, visto che le guide non hanno un’idea precisa. Un po’ di osservazioni ad occhio nudo per individuare la ISS ( International Space Station), di cui Diego ha steso un piano osservativo di tutto rispetto, con tutti i passaggi sopra la Mongolia nel nostro periodo di permanenza, tuttavia all’orario previsto non si vede nulla.
Giorno 31, è l’alba, un sottilissimo spicchio di Luna ci saluta, mentre Giorgio passa di tenda in tenda per la sveglia: “Sono le 5 e tutto va bene…” Ci attende una giornata molto impegnativa, iniziamo la lunga marcia di attraversamento dei monti Altai, una memorabile arrampicata su sentieri appena abbozzati, che ora seguono il fondo di profonde gole tagliate nella roccia, ora si aprono su alti passi in cui pascolano placide mandrie di Yak.
Impagabile la vista del lago Khunt Nuur dalle acque azzurro tenue a circa 3000 m di quota, in un paesaggio aspro e inospitale che sembra provenire dalla preistoria. In quel momento, mentre posiamo per una foto di gruppo, un branco di cavalli selvaggi attraversano l’inquadratura perdendosi in lontananza in direzione del lago.
Magnifico! Riprendiamo la marcia, montagne rossicce e verdastre incombono sulle nostre jeep ed in lontananza ci appare la cima innevata del monte Sutai Khainan, che raggiunge i 4000 m, ci fermiamo a pranzo presso un’isolata gher di pastori nomadi e Deni accetta un pezzo di formaggio, cortesemente offertoci: masticherà per un’ora!
Nel frattempo Giorgio Motta è diventato a furor di popolo Beppe Tenti, a causa dell’indubbia somiglianza con il famoso capo della spedizione Overland, la pista si fa ancora più accidentata, l’andatura rallenta sensibilmente e dobbiamo scavalcare spesso grandi macigni.
Addirittura una jeep si impantana in un guado ed un’altra viene in suo soccorso con funi e verricelli. In quel momento da dietro una curva ci appaiono come un miraggio alcuni turisti italiani: è Romano Serra del gruppo astrofili di S.Giovanni in Persiceto, con noi in altri viaggi astronomici e insieme a lui riconosciamo anche Adriano Furlani e Valentino Luppi!
Ci raccontano di aver appena incrociato anche Ellen Pokutova e Sergio Piredda, altre due vecchie conoscenze, una vera e propria rimpatriata in terra mongola! Facciamo i doverosi scongiuri meteorologici, augurandoci reciprocamente buona eclisse e proseguiamo il cammino. Scendiamo di quota e il terreno si fa sabbioso, in breve il cielo si annuvola e veniamo accolti nei pressi di Bulgan da un potente ma veloce acquazzone.
E’ il momento di consultare le carte, gli autisti e le guide vorrebbero portarci al campo previsto dall’agenzia, presso il monte Burenkhairkan, ma alcuni componenti della spedizione sono di parere diverso, preferendo una duna dall’altra parte della strada asfaltata che conduce alla cittadina. Gli animi si surriscaldano. In quel momento arrivano Ellen e Sergio sotto uno splendente arcobaleno, giusto il tempo di un saluto e ci si dà appuntamento l’indomani per l’eclisse. Si scioglie intanto la prognosi e scegliamo il luogo idoneo per l’osservazione dell’eclisse alle coordinate ( 46° 07’37”N e 91° 38’24”E) , un luogo desertico di grande suggestione circondato dai monti Altai. E’ deciso, pianteremo lì le tende.
Arriva il momento della cena e si stempera la tensione festeggiando il compleanno di Viviana. Il cielo è ottimo, ma siamo stanchi e provati e solo Ferruccio ha la forza di dedicarsi alle fotografie astronomiche fino a tardi.
Ci siamo, 1 agosto, il giorno tanto atteso è arrivato e la fortuna ancora una volta ci accompagna, il cielo è limpidissimo, non una nube, Alì assieme ad altre aquile sorvolano il campo. Prevediamo un’eclisse altamente scenografica salendo su una vicina collina da cui si può spaziare con lo sguardo lungo tutto l’orizzonte.
Al mattino, assistiamo in un vicino campo di gher ad uno spettacolo tradizionale con balli e canti tipici come il bitonale Khoomii, che comporta l’emissione simultanea di un profondo grugnito assieme ad un etereo fischio. Secondo la religione sciamanica un’eclisse totale di sole è considerata un evento negativo e occorre un’apposita cerimonia per scongiurarne gli influssi.
Il sole è implacabile, il tempo regge, solo qualche piccolo cumulo di bel tempo sosta sulle vette lontane, pranziamo sotto un tendone improvvisato tra 4 jeep, poi inizia la lunga attesa dell’eclisse prevista per le 18.00. Facciamo man bassa delle scorte di acqua e alle 17.00 iniziamo a posizionare la strumentazione: Giorgio di Roma, Gabriella, Esther e Claudio rimangono al campo assieme a Deni che diligentemente si siede ad un tavolo a prendere appunti sulle variazioni di temperatura e a disegnare l’eclisse. Il resto del nostro gruppo sale scarpinando sotto il sole rovente sulla cima della collina pietrosa identificata in precedenza.
Da lì il panorama è incredibile, sotto di noi si estende il deserto giallo e brunastro che si ferma a NW contro gli Altai appena attraversati, ad Est invece gli stessi monti segnano il confine col Kazhakistan e a Sud con la Cina. Si prospetta un’eclisse entusiasmante dal punto di vista paesaggistico,tutti sono euforici,inizia l’eclisse…Il primo contatto avviene alle 18.02’57”ora locale, cominciano ad arrivare bambini incuriositi dall’avvenimento a cui doniamo gli appositi occhialini gentilmente offerti da Coelum. Siamo alle prese con telecamere e macchine fotografiche in precario equilibrio sulla cresta di pietra nera, ma la scelta del luogo non poteva essere migliore e lo sguardo spazia per chilometri fino alle più lontane montagne e il Sole basso sull’orizzonte completa un quadretto spettacolare.
Il paesaggio comincia a cambiare, sarà tutto un susseguirsi di variazioni cromatiche, dal giallo al bruno, dal verde al grigiastro, dall’azzurro al violetto, con l’avanzare inesorabile del disco lunare. Dal campo, in lontananza, intanto arrivano le imprecazioni di Claudio alle prese con il generatore che alimenta la sua montatura fotografica, che sul più bello ha finito la benzina…
Ci siamo, manca pochissimo, da una valle ad ovest, in mezzo agli Altai arriva velocissima l’ombra della Luna, un grigiore che copre in un attimo il vasto deserto fino a giungere sopra di noi. E’ la mia quinta eclisse, ma è la prima volta che assisto a questo fenomeno. In un’atmosfera irreale sotto una luce quasi “polarizzata”, il Sole manda la sua ultima scintilla incandescente e poi eccola, la totalità! Sono le 19.02’54”.
L’orizzonte si tinge di giallo e le aquile che fino ad un attimo fa volteggiavano sopra di noi scompaiono…un urlo mi si strozza in gola, ci vuole qualche secondo poi la voce esce, accompagnata dalle urla e ululati degli altri partecipanti.
La magnificenza del sole nero circondato da un’allungatissima corona perlacea, tipica dei periodi di bassa attività, vale come in altre occasioni le lunghe ore di volo e disagi di un viaggio in jeep in territori assolutamente al di fuori di percorsi turistici. Accanto al Sole ecco Mercurio, un po’ più in alto la splendente Venere e quasi allo zenit Arturo, l’emozione è fortissima, la corona è molto brillante, complice il cielo limpidissimo e la brevità del fenomeno, che dura infatti 2’e 4”. Alle 19.04’58” il Sole esce di nuovo creando l’anello di diamante e il paesaggio riprende colore…
E’ fatta! Anche stavolta è andata!
Ci si complimenta e ci si abbraccia, Deni ha visto anche le ombre volanti sia in entrata che in uscita e alle 20.00’39” il Sole quasi al tramonto si libera definitivamente del disco lunare e noi scendiamo dalla montagna per salutare gli altri partecipanti entusiasti.
Arianna ripete il rito egiziano delle interviste di fine eclisse, coinvolgendo anche Bata, Billy, cuochi e autisti, per loro è stata un’esperienza davvero interessante. In serata i nostri cuochi per festeggiare l’avvenuta eclisse ci preparano un piatto tipico chiamato Khorkhog, a base di carne di montone cotta in un recipiente metallico assieme a pietre roventi, che poi come vuole la tradizione ci si passa di mano in mano, il tutto innaffiato con abbondante vodka. Io Esther, Diego e Giovanni proveremo poi qualche osservazione con il Dobson, ma il vetusto telescopio ha subito qualche danno con i sobbalzi di questi giorni in jeep e devo risistemarlo.
Il 2 Agosto inizia tardi e svogliatamente, gli autisti riescono a trovare benzina solo per 5 delle 7 jeep, dobbiamo obbligatoriamente fare una deviazione verso nord, poiché nei dintorni di Bulgan i distributori sono tutti a secco. Abbandoniamo questa regione conosciuta per la caccia con le aquile, una tradizione kazaka che risale a 2000 anni fa ( anche Marco Polo ne fa menzione nei suoi viaggi). Alzandoci di quota, il deserto pietroso lascia spazio ad alcuni alberi e tracce di verde accanto al fiume Bodonch, sulle cui rive pranziamo allegramente, immergendo i piedi nelle sue acque freddissime.
IL fiume ha scavato la roccia ed ora scorre sul fondo di un canyon, Billy chiede il permesso al fiume prima di immergersi altrimenti la corrente potrebbe portarlo via. Raggiungiamo quindi un passo a 2400 m, attraversando un’immensa vallata verde tormentata da enormi macigni bianchi, in cui pascolano svariati yak. Bata ci mostra alcuni menhir incisi, allineati esattamente in direzione sud, chiamati “tempio del cervo” e poi ci fermiamo presso un’abitazione a chiedere un po’ di benzina che preleviamo con un’apposita pompa a manovella.
Si rimane in quota e presso la laguna Tseg Tseg, il sole tramonta arrossando le montagne che sfilano alla nostra sinistra, in un bellissimo contrasto di colori con l’azzurra ombra della Terra che sorge ad est. Ci fermiamo a fare il campo quando ormai è buio nella località di Tonhil a quasi 2000 m, ceniamo con un ottimo gulash preparato dai nostri cuochi, ma anche se il cielo è spettacolare, nerissimo, la stanchezza ci induce a ritirarci nelle tende.
La sveglia come al solito è sempre troppo presto, oggi, 3 Agosto, ci aspettano addirittura 600 km, una tabella di marcia infernale per ricuperare il tempo perso il giorno precedente. Scendiamo di quota e ci fermiamo in una locanda a bere dell’energetico te’con latte salato e proseguiamo poi fino a Sharga in cui pranziamo.
La sosta si protrae però per ben 4 ore poiché permangono i problemi di approvvigionamento del carburante, di nuovo mugugni tra i partecipanti. Alle 16.30 finalmente riprendiamo il cammino, ma senza il pulmino dei cuochi, che pare abbia qualche noia, ci raggiungerà più tardi direttamente al campo. I sobbalzi, le forature, le soste accompagnano la lunga attraversata della steppa, fino a quando il terreno si fa di nuovo roccioso, siamo nei pressi del villaggio di Bigher e andiamo alla ricerca di antichi petroglifi risalenti a 10.000 anni fa.
Li raggiungiamo scalando la parete rocciosa di una collina, sulla quale ci appaiono tutta una serie di mufloni, altri animali e scene di caccia. Enormi ragnatele appese minacciosamente tra le rocce ci inducono a scendere e tornare alle jeep.
Facciamo il campo attorno alle 21.00, con una sottile Luna di 2 giorni appoggiata a lontane montagne e attendiamo il van dei cuochi con la nostra cena. Alle 22.00 nessuno si è fatto ancora vivo. Diego allora riprova a prevedere il passaggio della ISS, questa volta con successo: un puntino luminoso si fa strada da un orizzonte all’altro attraversando un cielo ricchissimo di stelle, in cui la Pipe Nebula in Ofiuco, è visibile tranquillamente ad occhio nudo. Claudio e Giulio provano qualche foto, io e Ferruccio teniamo una lezione di riconoscimento delle costellazioni al resto dei partecipanti con il laser verde. Sono le 23.30, non c’è traccia dei cuochi, Bata e Billy partono per il paese di Bigher alla ricerca di qualche vettovaglia.
Stranamente il nostro gruppo la prende bene, si ride e si scherza fino al ritorno di Bata verso l’una di notte, quindi ceniamo per poi buttarci distrutti nelle nostre tende. 4 Agosto, ci aspettano 500 km e ci facciamo coraggio. Dopo colazione salutiamo i nostri cuochi, che sono arrivati solo verso le 3 del mattino e arriviamo al lago Bunn Tsagaan, di colore azzurro, sulle cui rive un gruppo di cammelli appisolati ci segnala che ci stiamo avvicinando al deserto del Gobi, un luogo mitico che evoca in tutti noi paesaggi aspri e inospitali.
La regione del Gobi è un posto desolato e brullo con pianure, laghi salati e distese sabbiose che sono stati il tormento per i viaggiatori di tutti i tempi. Il suo nome significa deserto, ma solo il 3% è costituito da dune sabbiose, il resto è pietroso o ricoperto da arbusti. Pranziamo nel villaggio di Bogd, con una temperatura di 43° e poi boccheggianti, avvistiamo un pozzo circondato da nugoli di capre. Billy fa scendere un secchio in fondo al pozzo e a turno ci rovescia in testa una doverosa doccia d’acqua freschissima.
Un vero sollievo. E’ arrivato il momento di andare alla ricerca della grotta di Tsagaan Agui, nostra prossima meta. Nell’età della pietra, 750.000 anni fa, questa grotta, situata in una stretta gola era abitata dai nostri antichi progenitori.
Arriviamo alla grotta solo al tramonto, dopo aver chiesto numerose volte indicazioni a pastori e solo dopo aver attraversato una serie di dolci colline verdi simili a quelle dei “Teletubbies”. La grotta è piuttosto inquietante e dall’atrio si penetra in una seconda camera costellata da cristalli, attraverso un basso e stretto pertugio respirando una quantità inverosimile di polvere sollevata dagli scarponi dei partecipanti.
A questo punto Bata ci dice che saremo al nostro prossimo campo di gher al massimo alle 22.30. No problem. Purtroppo alle 22.30 stiamo ancora arrancando tra dune e cespugli e comincia a serpeggiare un po’ di scetticismo. Scendiamo spesso dalle auto, gli autisti osservano le stelle per cercare di orientarsi, poi attorno a mezzanotte, dopo aver girato in tondo diverse volte, Bata ammette candidamente di essersi perso! Sale quindi con forza il brontolio della spedizione, nei confronti della guida e le apprensioni dei partecipanti vengono in parte mitigate dal GPS di Giordano e dalla consultazione delle carte, che ci rivelano di non essere molto lontani dalla meta.
Ma continuiamo a girare a vuoto e a questo punto prendo la solenne decisione di fermare il convoglio per non consumare ulteriore benzina, l’unica soluzione è quella di dormire in auto quelle poche ore che ci separano dal sorgere del sole. Marco il nostro bravo autista approva e si ferma. Siamo dunque sperduti nel deserto del Gobi senza viveri e con poca acqua, la spedizione ne prende atto.
Fortunatamente nessuno ha crisi di panico o si dispera, alcuni si raccontano barzellette per tirare su il morale, altri già dormono. Io mi appoggio alla jeep osservando un buon numero di Perseidi poi cedo alla stanchezza…Vengo svegliato da Marco che accende la jeep, il sole sta sorgendo, si riparte e dopo 20 minuti ci appare il campo di gher…no comment! Si fa colazione poi la doccia e un po’ di riposo. Al risveglio prima di pranzo sono tutti più rilassati, di fronte a noi troneggiano le dune di Khongoriin Els, chiamate le dune che cantano col vento.
Devono il loro nome all’affascinante sonorità creata dal movimento della massa sabbiosa in assestamento. Sono alte 20 m, larghe 20 km e si estendono per ben 185 km. Concordiamo durante il pranzo un’escursione a dorso di cammello sulle dune, altri ci andranno a piedi o in jeep. Il cammello, rispetto al dromedario provato in Tunisia e in Marocco, è decisamente più comodo: ci si aggrappa ad una gobba e ci si appoggia all’altra e caracollando arriviamo alle dune dopo aver attraversato il piccolo fiume Khongoriin, che crea bellissime oasi verdeggianti. Il sole tramonta ed il cielo si annuvola. Una cena a base di pizza ( incredibile!) e poi tutti a letto. Il 6 Agosto la sveglia suona alle 5.30, nuova alzataccia per uno sperduto drappello della spedizione, che stoicamente decide di arrampicarsi sulle dune per vedere l’alba.
La nostra fatica è ricompensata, poiché quando il disco rosato del sole fa capolino dall’orizzonte, le dune, magicamente iniziano a cantare, un suono sordo, gutturale, simile al rombo di un jet, un’esperienza mistica. Abbandoniamo il campo con destinazione il parco nazionale Gobi Gurvan Saikhan che ospita le ultime rarissime specie endemiche presenti in Mongolia ( orso del Gobi, cammello battriano, cavalli selvatici di Preyzawalsky, leopardo delle nevi).. La nostra meta è la valle di Yol o delle aquile, che deve il suo nome alla presenza di numerosi rapaci, tra cui aquile, falchi e avvoltoi grifoni.
Oggi è toccata al nostro equipaggio ( io Arianna ed Esther ) la famigerata jeep n°7 del burbero Orgil, famosa per gli innumerevoli guasti, la guida pericolosa e la scortesia, dopo che il suo equipaggio abituale ha deciso una giusta rotazione delle jeep. Tuttavia con noi Orgil si rivelerà un vero gentleman a parte la velocità da rally nello stretto canyon delle montagne vulcaniche del Gurvan Saikhan.
Dopo il pranzo al sacco, ad un certo punto la strada si arresta proprio all’ingresso della valle di Yol ed è necessario proseguire a piedi, guardo il cielo minaccioso, mah, speriamo che non piova! Billy ci spiega che in questa valle in genere ci sono ghiacciai perenni, ma il riscaldamento globale fa sentire i suoi effetti anche qui e non troviamo alcuna traccia di ghiaccio.
Quando siamo nel bel mezzo della valle, ad un’ora di strada dalle jeep, inizia il temporale, un deciso scroscio che ci inzuppa a dovere. Numerosissimi topolini “pica” scappano nelle loro tane e in alto, fra le rupi forse scorgiamo il Gipeto. Torniamo di corsa alle jeep, cercando di asciugarci in un qualche modo, poi proseguiamo con la visita ad un piccolo museo, che contiene uova di dinosauro ed esemplari di flora e fauna locali.
Arriviamo infine al campo di gher e dopo cena uno sguardo ad un cielo opaco, ci consiglia ancora una volta il riposo. Il giorno 7 inizia la marcia di avvicinamento ad Ulan Baatar, che passa per la valle di Bayanzag famosa per importanti ritrovamenti di fossili di dinosauri, molti dei quali li vedremo esposti nel museo di storia naturale della capitale. Nella valle ci sono le cosiddette “flaming cliffs”, o rupi fiammeggianti, chiamate così dall’esploratore americano Roy Chapman Andrews nel 1922, per il colore rosso delle sue rocce e dei suoi canyon, che ospitano uno dei giacimenti di fossili di dinosauri più importanti del mondo. Numerose spedizioni paleontologiche hanno portato alla luce Tarbosauri, Gallimimus, Protoceratopi, Adrosauri e molti altri. Nelle vicinanze ammiriamo uno stagno con alcune spatole e un boschetto di saxaul,i cespugli delle sabbie particolare pianta esistente nel Gobi, una sorta di arbusto che cresce lentissimo, 1m ogni 300 anni!
Pranziamo in una steppa sterminata sorvolata dalle onnipresenti aquile, poi deviamo decisamente verso nord, abbandonando la calura degli ultimi giorni e visitiamo le rovine del monastero di Sum Khunk. Prima del tramonto siamo alle bellissime rocce granitiche di Baga Gazriin Chuluu, un luogo sacro meta di pellegrinaggio, con blocchi di roccia gialla in precario equilibrio.
Saliamo sulle rocce squassati da un vento selvaggio, quindi ci fermiamo al vicino campo di gher, ammirando un tramonto giallo in un cielo limpidissimo, preludio alle nostre ultime osservazioni in terra mongola. Qui ammiriamo forse il miglior cielo di tutta la nostra permanenza: la Via Lattea taglia a metà il cielo, luminosissima, solcata spesso da veloci e luminose perseidi.
La Pipe Nebula si vede comodamente ad occhio nudo, così come la nebulosa Nord America, Laguna, l’ammasso aperto M24, nonché M7 nello Scorpione, mentre al binocolo è tutta un’esplosione di nubi chiare scure e ammassi di stelle. Osserviamo con il Dobson gli oggetti più famosi del cielo estivo tra esclamazioni di meraviglia, ma anche oggetti più elusivi si rivelano facili e a volte evidenti, come ad esempio la galassia irregolare NGC 6822 nel Sagittario, di 16’X12’ di dimensioni e magnitudine 8,8,un oggetto che per le grandi dimensioni e la conseguente bassa luminanza superficiale è estremamente difficile dalle nostre parti, mentre qui è una contrastata larga chiazza nebulare. Infine un ultimo regalo del meraviglioso cielo mongolo, la cometa Boattini, visibile quella sera nell’Ariete, di magnitudine 7,5, evidente già in nel binocolo 10X50 di Diego come un piccolo batuffolo sfumato.
8 Agosto, una rapida colazione e salutiamo definitivamente Alì e l’incredibile steppa mongola, che così tante emozioni ci ha regalato, alle 16.00 siamo già nella capitale. In meno di un decennio, il passaggio al capitalismo ha trasformato la città da una zona depressa di stampo sovietico a un intrico di negozi, caffè, cartelloni pubblicitari, traffico, in una miscela di persone dai monaci in abito cremisi, ai nomadi appena arrivati dalle steppe, agli uomini d’affari e ai giovani che cercano di imitare i loro coetanei occidentali.
Tappa obbligata la fabbrica del Cashmère, in cui la nostra spedizione sfodera il portafoglio per una caterva di spese, poi un tipico ristorantino per la cena e infine guardiamo alla televisione la splendida cerimonia d’apertura delle olimpiadi cinesi. La mattina del giorno successivo, iniziamo la giornata con la visita del monumento Zaisen ai caduti di varie guerre, costruito su una collina, da cui si gode di una splendida vista della città. Poi il museo d’Inverno dell’VIII Bogd Khaan di Mongolia. Il palazzo, realizzato tra il 1893 e il 1903, ha costituito la sede invernale dell’ultimo re mongolo ( 1869-1926 ). Venne distrutto dai russi e successivamente trasformato in museo.
All’interno dell’edificio principale si trovano oggetti personali e alcuni sontuosi costumi cerimoniali e una gher rivestita di 150 pelli di leopardo delle nevi ( capiamo perché oggi è una specie in via di estinzione!). Attorno sorgono 10 templi che conservano interessanti testimonianze di arte sacra. Ci rechiamo poi al museo di Storia Naturale, con scheletri di dinosauri di eccezionale valore rinvenuti nel deserto del Gobi.
Qui si può ammirare lo scheletro di un Tarbosauro ( simile al T-Rex) di 5m di altezza e un pensiero và naturalmente a nostro figlio Leonardo, appassionato di dinosauri. Pranziamo in un ristorante tipico con menù a base di fonduta di carne e polpette misto a verdure e bambù. Nel pomeriggio visitiamo la piazza principale in cui troneggia una gigantesca statua di Genghis Khaan. Oggi la Mongolia ha riscoperto il culto di questo personaggio, che nei primi anni del 1200 conquistò il più vasto impero di tutti i tempi.
Di seguito entriamo nel museo di Storia Nazionale in cui si trovano reperti di epoca preistorica e dei vari imperi che vissero sul territorio mongolo e poi in un locale in cui è previsto un concerto di musica tradizionale mongola, con ballerine, contorsioniste, figure con maschere di sciamani e canti Khoomi. Con queste immagini e suoni termina la nostra epopea in terra mongola, ci aspetta ora il lungo ritorno in Italia in cui porteremo i ricordi e le suggestioni di questo antichissimo paese in cui ha trovato una perfetta collocazione il terribile e meraviglioso spettacolo di un’eclisse totale di Sole.