di Massimiliano Di Giuseppe
Era da tempo che l’Azerbaijan ci attirava, un paese misterioso e non ancora turistico, che prometteva cieli bui ed incontaminati tra le montagne del Grande Caucaso, con paesaggi antichi e selvaggi e città ricche di storia, come la capitale, la sfarzosa Baku…
Finalmente a Maggio di quest’anno arriva l’occasione giusta, riusciamo con l’aiuto di Robintur e della rivista Coelum ad organizzare un viaggio in questa terra quasi sconosciuta e a raccogliere 8 partecipanti, che la mattina del 13 si ritrovano all’aeroporto di Venezia e al successivo scalo di Istanbul.
Oltre agli storici Esther Dembitzer, Marica Draghetti e Alessandro Bartoli, si aggiungono a noi altri esperti viaggiatori: Elena ed Elda Zerbone e la coppia romana Franca De Angelis e Cesare Mangianti.
Attorno all’una di notte il nostro aereo atterra a Baku e l’aeroporto ci coglie subito di sorpresa, lucidissimo e dall’architettura ultramoderna. Evidentemente il petrolio ed il gas naturale che costituiscono la grande ricchezza del paese, hanno creato i presupposti per la realizzazione di grandi e importanti opere, soprattutto dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Quando arriva il momento del controllo del visto, il doganiere mi dice qualcosa che sul momento non capisco e mi mette in allarme, me lo faccio ripetere e la tensione svanisce immediatamente: “Congratulation! Juventus …Final…Champions league! Il doganiere, quasi conoscesse la mia fede juventina, abbozza un sorriso e stampa un sonoro timbro sul passaporto.
Mai passaggio di dogana fu così lieto, durante il volo notturno si era svolta la temuta semifinale di ritorno Real Madrid- Juventus, ma non ero riuscito a sapere il risultato, ora l’Azerbaijan mi accoglie nel migliore dei modi!
Un giovane del Galaxy Travel, tour operator locale, che si ricollega a sua volta al Columbia Turismo di Roma, ci sta aspettando all’uscita per traghettarci al nostro Hotel Diplomat in centro città. Percorrendo un’autostrada nuova fiammante, ci passano accanto una serie di edifici e palazzi stravaganti in stile “Dubai”e notiamo continui richiami sui megaschermi alle imminenti Olimpiadi Europee, che in Giugno, nella loro prima edizione, si svolgeranno proprio in questo paese.
Il primo impatto notturno con questa città è decisamente al di sopra delle aspettative, l’hotel invece è abbastanza modesto, in stile sovietico, con il personale che non ha ancora smaltito la lentezza burocratica del vecchio regime. Dopo un breve e meritato riposo, siamo pronti il 14 Maggio per conoscere la città assieme alla nostra guida Gunay, una giovane ragazza dai modi garbati, che rimarrà con noi per il resto del tour e che ci indica subito, fuori dai finestrini del pullman, i giardini della capitale, con un tripudio floreale realizzato in occasione dell’annuale Festa dei Fiori.
La prima tappa della giornata è il Parco Montano, situato sulla sommità di una collina da cui si può ammirare un magnifico panorama sulla città. La giornata inizialmente nuvolosa sta volgendo al bello e da quassù lo sguardo spazia sulla splendida baia affacciata sul Mar Caspio, sui verdi viali, i giardini, i minareti e le cupole della città vecchia. Ma soprattutto la nostra attenzione è attirata da 3 avveniristici grattacieli a forma di fiamma, chiamati infatti “Flame Towers”, rispettivamente di 190, 160 e 140m e visibili da ogni punto della città.
Mentre passeggiamo Gunay ci racconta che il nome Baku, si può tradurre con “città dove soffia il vento”, che in alcune stagioni è veramente fortissimo, oppure può derivare dall’antico culto dello Zoroastrismo e significare “Sole” o “Dio”.
Entriamo quindi nella città vecchia, dichiarata patrimonio dell’Unesco e confortati da un bel cielo limpido, percorriamo a piedi gli stretti vicoli in cui si affacciano piccoli negozi , officine artigianali e case dai balconi in legno lavorato, fino all’ingresso dopo una lunga scalinata in pietra al Palazzo Shirvanshah.
Era la residenza degli Scià Shirvan, voluto dal re Khalilullah I nel XV secolo. Gli Shirvanshah erano seguaci della confraternita sufi degli Halveti e non a caso, al suo interno, il palazzo ospita il mausoleo del mistico sufi Seyid Yahya Bakuvi uno scienziato derviscio, che dovette godere di enorme fama se addirittura la sua tomba fu voluta all’interno della residenza reale.
L’opera più bella di tutto il complesso residenziale è sicuramente il Divanhane, un piccolo padiglione in pietra costituito da una sala a forma di ottaedro, coperta da una cupola. L’alto e bel portale d’ingresso ( Porta di Murad ) è decorato con iscrizioni in arabo e con un albero di fico intrecciato a tralci di vite, ci sono anche due medaglioni con iscrizioni in caratteri cufici.
Ancora oggi non si conosce bene la sua funzione, forse era la sede del consiglio, oppure un tribunale, una sala di ricevimento o un mausoleo.
Ascoltando le spiegazioni di Gunay visitiamo anche le rovine dell’antica Moschea con minareto, i sepolcri della dinastia Shirvan, le sale con ceramiche, una cisterna e i resti delle terme, prima di riposarci un po’sotto i pergolati dei giardini, da cui notiamo in lontananza le onnipresenti Flame Towers, in uno strano miscuglio antico-moderno.
Camminiamo poi, fiancheggiando le possenti mura della città, fino alla Torre della Fanciulla ( XII secolo),che ha mantenuto la sua struttura cilindrica intatta, costituita da 8 piani collegati da una scala a chiocciola e con un contrafforte a forma di becco. Secondo la leggenda, un tempo un re si innamorò della bellissima figlia e la volle sposare, ma per guadagnare tempo la giovane pregò il padre di costruirle prima un’alta torre e quando il re pretese la ricompensa, la figlia si gettò per disperazione dalla sua cima.
L’alta scala scoraggia alcuni del gruppo, mentre il resto decide di seguire Gunay fin sulla sommità, con soste di volta in volta ai vari piani oggi adibiti a museo e dedicati alla storia della capitale con plastici e strumenti interattivi, come un grosso libro virtuale che si può sfogliare e una strana proiezione olografica del Fuoco Sacro, a testimoniare che la torre era utilizzata durante l’era sassanide anche come tempio zoroastriano.
La torre potrebbe essere stata anche un osservatorio astronomico, visto che secondo il professor Ahmadov, 30 incisioni scavate nella pietra nella parte inferiore della torre e 31 in quella superiore, collegate da una cintura di pietra, potevano essere correlate ai giorni del mese.
Scansando un’enorme quantità di scolaresche in visita arriviamo finalmente in cima da cui si ha una visione panoramica sulla città vecchia, sul Baku Boulevard e sulla baia, mentre proprio alla base della torre si notano l’antico hammam ed il mercato.
Arriva il momento del pranzo, che ci viene offerto sul terrazzo dell’ottimo ristorante Dalida, con una zuppa vegetale (sup) seguita da carne di pollo e montone con verdure ( sac ), che riscuotono successo in tutta la comitiva. Iniziamo anche a familiarizzare con i tipici succhi di frutta azeri ( kompot) che vengono serviti in grandi caraffe, che conservano sul fondo i frutti interi, spesso di qualità sconosciute in Italia.
Si prosegue con una passeggiata lungo i bei viali della parte più moderna della città, con piazze, fontane e palazzi in stile mitteleuropeo, costruiti alla fine dell’800 quando Baku era residenza di petrolieri arrivati da più parti del mondo. Se a quel tempo Baku voleva assomigliare a Parigi, oggi invece si ispira a Dubai e agli Emirati, in una nuova era di benessere che le sta rifacendo il trucco in vista degli imminenti giochi Olimpici.
Siamo convinti che da qui a pochi anni l’Azerbaijan diventerà una delle principali mete turistiche delle agenzie di viaggio, meglio visitarlo adesso, ancora genuino, con la gente che guarda con aria curiosa i pochi occidentali che incontra per strada.
Si fa conoscenza con i nuovi compagni di viaggio: Franca per esempio si occupa di meteorologia, Cesare ha una cultura veramente vastissima, Elena ed Elda sono state ovunque in giro per il mondo e quest’ultima compone anche poesie.
E così, mentre passiamo di fianco ad un parco pubblico chiamato la “piccola Venezia”, con canali ed edifici realizzati in stile veneziano, arriviamo all’enorme museo dei tappeti Azerbaijani, che ci ricorda come questo paese fosse uno snodo commerciale importante lungo l’antica Via della Seta nel suo ramo Transcaucasico.
Il Museo, di recente costruzione, ha la forma di un enorme tappeto ed è stato realizzato tra gli altri da una ditta altoatesina, qui sono conservati centinaia di tappeti di tutti i periodi e stili, alcuni preziosissimi e vecchi di secoli, come quelli prodotti in Azerbaijan ( Shirvan, Kazhak, Karabakh, Shemaka) e nelle province dell’Azerbaijan iraniano ( Tabriz, Ardebil ed Urmia ).
In apposite teche ci sono pure gioielli, oggetti in metallo e oggetti in legno intagliato.
Un po’ di riposo in hotel prima della cena, che effettuiamo all’ultimo piano, nella sala ristorante con bella vista panoramica della città dalle ampie vetrate. Il piatto di riso che ci portano non è sicuramente all’altezza della vista e la cameriera, che parla solo russo o azero, stenta a comprendere che vorremmo anche qualcosa da bere. Solo dopo molto tempo ci arriverà un po’ di succo di mela verde…
Una breve passeggiata in centro, in cui purtroppo non riusciamo ad accedere ai famosi giardini pubblici in fiore, vista la chiusura delle 19.30, poi ci ritiriamo in camera.
Il giorno 15 siamo in partenza per Sheki e per il Grande Caucaso in cui rimarremo i prossimi 3 giorni. Abbandonando la periferia di Baku, il terreno da semiarido diventa stepposo, poi via via più verde man mano che si sale di quota. Anche la giornata, un po’ grigia e velata inizialmente, lascia trapelare un po’ di sole quando ci troviamo alla prima tappa della giornata: il Mausoleo di Diri Baba presso il villaggio di Maraza.
Non è facile trovarlo e il nostro autista Emil deve chiedere svariate volte indicazioni ai locali, una pratica che si ripeterà sempre più spesso nei giorni successivi.
Aggrappato ad una montagna, il suggestivo mausoleo è dedicato a Diri Baba, un sufi il cui corpo, sepolto qui nel 1402, rimase miracolosamente intatto. Il santuario fu costruito sfruttando una caverna naturale in un costone roccioso e nel corso dei secoli è diventato meta di pellegrini; trascorrere una notte al suo interno avrebbe effetti taumaturgici sui disturbi del comportamento…
Non ci sono altri turisti e saliamo solitari una ripidissima scalinata fino in cima alla cupola e all’esterno, dove un susseguirsi di dolci ondulazioni verdi mi riporta indietro di qualche anno alle indimenticabili steppe mongole.
Scendendo, Gunay ci fa notare le finestre traforate con i simboli della croce e della stella di Davide raffigurati insieme, un simbolo di fratellanza e tolleranza fra i popoli e le religioni.
Passiamo accanto all’antico cimitero per dirigerci poi alla tappa successiva: la Moschea del Venerdì di Shemakha, una grande moschea del X secolo, con 2 alti minareti, un grande salone dedicato alla preghiera con tappeti e preziosi lampadari. L’Islam azero è piuttosto moderato e tollerante, le donne ad esempio non hanno l’obbligo del chador e all’esterno della moschea 3 anziani caratteristici mi stringono la mano e mi chiedono se conosco Papa Francesco!
Ci alziamo ulteriormente di quota e finalmente, affamati, quando sono le 15.30, riusciamo a pranzare in un bell’hotel ristorante circondato da boschi e con un’enorme fontana in bronzo decisamente kitsch prima dell’ingresso.
Il cibo è buono, soprattutto le polpettine con foglie di vite (yarpag dalmasi), ma ciò che attira di più e che non ci aspettavamo di trovare in Azerbaijan è questo paesaggio alpino, molto verde e rilassante, con qualche goccia di pioggia che ci accompagna durante il pasto e che rinfresca il clima.
Poi, quando il sole esce decisamente dalla coltre nuvolosa, un’ultima fermata prima di arrivare a Sheki alle rovine dell’antica città fortificata Chukur Gabala del IV secolo a.C. l’antica capitale dell’Albania Caucasica. L’area archeologica è di grande interesse e vi si ammirano i resti di insediamenti urbani testimonianza delle influenze dei popoli europei, asiatici e medio orientali.
Siamo sempre gli unici a visitare il sito, accompagnati da Gunay e da un archeologo di nome Elnur, che prima ci mostra gli scavi che hanno portato alla luce alcune tombe, protette da una moderna tensostruttura e poi ci indica svariati depositi di cibo con vasellame in coccio. La visita si conclude percorrendo a piedi un paesaggio bucolico fino a due alte muraglie tondeggianti, le rovine delle torri di quest’antica città fortificata.
Il sito archeologico è conservato molto bene, così come il vicino museo, nuovissimo e ordinato, quasi svizzero, con svariati reperti esposti in teche di vetro. Perfino i bagni sono uno spettacolo di pulizia e igiene!
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Sheki, piccola cittadina montana a circa 1000m di quota, al confine con la Georgia e il Daghestan e ci rilassiamo un po’ al nostro hotel Issam, prima della cena in un curioso ristorante che somiglia molto ad una baita alpina, con numerosi animali imbalsamati alle pareti, a testimoniare come i boschi di questa zona siano molto ricchi di fauna selvatica, tra cui volpe, lupo, stambecco, orso, cinghiale, lince e perfino il raro gatto selvatico.
Il personale del ristorante ci mostra anche un’attigua sala riservata ai matrimoni, estremamente barocca e sfarzosa.
A questo punto facciamo conoscenza con Sebuhi, un giovane che gestisce alcuni alberghi della zona e che ha il compito di organizzarci le osservazioni astronomiche serali. Conoscendo le nostre esigenze di buio e al tempo stesso non volendo rinunciare alla sicurezza, decide di condurci qualche km fuori città in uno dei suoi alberghi, il Cennat Bagi, il “Giardino Paradiso”, un luogo piuttosto zen, con pagode, stagni e boschetti in cui si nascondono svariati bungalows e un ristorante.
Nell’attesa che il cielo diventi completamente buio e si allontanino alcune nuvole fastidiose, ci fa accomodare sotto una particolare pagoda in legno in cui ci vengono offerti tè e dolcetti tipici. La temperatura non è troppo fresca e si rimane a parlare fino a quando, compiuto un sopralluogo, troviamo uno spiazzo adatto alle nostre esigenze.
Il cielo è molto buio e ne approfittiamo per un ripasso delle costellazioni primaverili con il laser ( dal Bifolco o Bootes, alla Chioma di Berenice, fino alla lunghissima Idra ) prima di osservare Giove e Venere e l’ammasso aperto del Presepe nella costellazione del Cancro con il telescopio Pentax di Esther, fra l’entusiasmo del nostro gruppo e di Gunay che mette anche lei l’occhio per la prima volta all’oculare di un telescopio.
L’ammasso si vede comodamente anche ad occhio nudo, come una piccola nube sfumata e al telescopio le brillanti componenti occupano l’intero campo dell’oculare da 40 mm, decisamente distanziate le une dalle altre. Il seeing è abbastanza buono e Giove mostra alcune bande nuvolose scure e 3 dei 4 satelliti galileiani, Venere, abbagliante, è in fase, avvicinandosi alla massima elongazione ovest e alla massima luminosità.
Uno sguardo anche all’azzurra Vega e alla gialla Arturo, poi attorno all’una decidiamo di tornare in albergo.
16 Maggio, apro la finestra della camera e mi appaiono sullo sfondo di un cielo limpidissimo, le vette innevate dei massicci montuosi della regione di Sheki-Zagatala, un paesaggio di straordinaria bellezza che riconcilia con il mondo, più in basso l’hotel si affaccia sui cortili di alcune vecchie abitazioni in pietra in cui alcuni bambini giocano serenamente, c’è pure il gallo che mi ha svegliato stamattina alle 5.
Dopo colazione, attendo che arrivi il resto del gruppo seduto ad uno sgargiante pianoforte rosso nella hall, purtroppo un po’ scordato, poi Gunay ci accompagna alla visita a piedi di Sheki, una città molto antica, più volte distrutta da guerre e calamità naturali, come nel 772 quando fu sepolta da una fiumana di fango.
Il pulmino ci deposita di fronte alle mura della città vecchia, che proteggono il Palazzo dei Khan di Sheki (1762), una delle opere più belle degli architetti azerbaigiani. Fu costruito nel XVIII secolo secondo la tradizione, senza usare nemmeno un chiodo e utilizzando speciali fasce antisismiche grazie alle quali il Palazzo è rimasto intatto nonostante i frequenti terremoti.
Entrando, ammiriamo le singolari e colorate vetrate a mosaico shebeke, veri e propri capolavori: un metro quadrato contiene da tre a sette mila dettagli e sono state costruite senza colla e senza chiodi, utilizzando un sistema tuttora sconosciuto. Finissimi affreschi con scene di caccia e della vita a corte decorano le pareti e il soffitto delle stanze, così che si ha la sensazione di trovarsi all’interno di un enorme scrigno.
Uscendo all’esterno, il cortile con 2 altissimi platani di 1500 anni, ci offre una bella vista sulla città e sulle verdi foreste delle montagne circostanti.
Di ritorno ci fermiamo anche presso un piccolo bazar per qualche acquisto e visitiamo un’antica chiesa albanese a pianta circolare, che è stata moschea ed oggi ospita un museo dell’artigianato locale. In particolare, antichi telai evidenziano come la seta fosse una delle merci più pregiate vendute alle carovane dei mercanti che transitavano un tempo in queste zone.
Poco distante si trova infatti un Caravanserraglio, il Karvanserayi, un edificio completamente restaurato ed oggi adibito ad hotel, ma che non ha perso la sua magia e che visitiamo percorrendo le buie scale che conducono alle stanze, provando ad immaginare gli antichi mercanti che qui riposavano dopo i loro pericolosi e interminabili viaggi.
Pranziamo nello stesso locale della sera precedente, questa volta all’aperto sempre con sciroppi di frutta, particolarmente apprezzati da Alessandro, che accompagnano carne con melanzane (bandican dolmasi o 3 sorelle ), mentre il muezzin della vicina moschea intona le sue preghiere.
Proprio la Moschea Yuma, del 1745, piuttosto piccola e semplice viene visitata subito dopo dal nostro gruppo. Uscendo in cortile, mi arriva casualmente la palla di un nugolo di ragazzini che sta giocando a calcio, faccio qualche palleggio e immediatamente tutti mi sono attorno. Spiego loro che siamo italiani e allora mi citano a memoria e con entusiasmo le formazioni delle principali squadre di calcio nostrane!
Riprendiamo il pulmino per dirigerci all’antico villaggio di Kish e ci inerpichiamo seguendo il corso dell’omonimo fiume inoltrandoci negli stretti vicoli a passo d’uomo, mentre Emil rinnova il rito della richiesta informazioni ai locali per trovare la chiesa paleo-cristiana di Sant’Eliseo, una delle più antiche del mondo. Proseguendo a piedi, la gente che incontriamo di fronte alle case dai caratteristici portoni in ferro colorati ci sorride e ci saluta cordialmente.
Questo villaggio è abitato dagli Udi, una delle popolazioni più antiche del Caucaso: tradizionalmente gli Udi sono considerati gli ultimi discendenti non islamizzati degli antichi abitanti dell’Albania Caucasica che, storicamente, corrispondeva all’attuale Azerbaijian, ma c’è anche una leggenda che vuole che Kish sia stato l’ultimo rifugio per gli abitanti di Atlantide!
Ecco la chiesa, veramente bellissima, in stile armeno dal caratteristico campanile cilindrico, racchiusa dalle imponenti vette del Grande Caucaso e da boschi di noci, querce e castagni.
E’ conosciuta anche come chiesa della Santa Madre di Dio, si tratta della prima chiesa cristiana dell’Albania Caucasica, edificata nei secoli I e II. Ancora oggi i fedeli si recano qui a pregare, dopo aver espresso un desiderio, appoggiano una moneta alla parete dell’altare della chiesa.
Secondo una credenza popolare diffusasi fin dai tempi antichi, la moneta della persona che ha buone intenzioni e pensieri puri si attacca alla parete quasi magneticamente. Qui, durante gli scavi, gli archeologi hanno anche ritrovato una pietra, che sempre secondo la tradizione, è in grado di guarire la sterilità nelle donne grazie alle sue proprietà magiche.
Rimaniamo un po’ a rilassarci in questa oasi di pace e tranquillità, che tanto ricorda l’Armenia, poi Gunay ci invita a procedere verso l’hotel. Rischiando di perderci tra i vicoli, riusciamo a ritrovare il pullmino in cui erano già saliti Gunay, Alessandro e Marica e ritorniamo al Giardino Paradiso in cui questa volta effettuiamo anche la cena, allietata dai canti popolari di Esther e Cesare.
Il cielo fino a poco fa limpidissimo, si è purtroppo annuvolato e si sono accese alcune luci fastidiose di alcuni bungalows che purtroppo non possono essere spente. Sebuhi, ci accompagna così a vedere altri possibili luoghi osservativi, ma le condizioni non sono così buone come la sera precedente e la stanchezza, l’orario e le velature inducono il gruppo a ritirarsi in hotel.
Il 17 è una giornata nuvolosa ed inizia a piovere mentre ci dirigiamo col pulmino nella regione di Gakh ed al villaggio di Ilisu. Purtroppo le condizioni climatiche ci impediscono l’escursione a piedi a 1600m in una zona ricca di sorgenti termali minerali solforose e dobbiamo accontentarci della visita all’insolita moschea di Ulu del XVII secolo, con 3 arcate sulla facciata e con un interno piuttosto spartano.
Posto alla convergenza di due magnifiche vallate d’alta quota, nel XVIII secolo Ilisu fu la capitale di un sultanato che ebbe però vita breve. All’estremità del villaggio si trova una torre alta 5 piani a pianta quadrata, con funzione difensiva, la torre di Sumuq-Qala. Saliamo fino in cima ma purtroppo il panorama, che sarebbe stupendo, con alcuni cavalli che corrono in lontananza, è rovinato dalle nuvole e dalla pioggia.
Ci fermiamo a pranzo in zona, presso un resort con bianche casette con ampie finestre, mentre fuori continua a piovere. Interessanti le verdure con yogurt (suzma) ed il dolce ( halvasi)
Sulla strada del ritorno verso Sheki, visitiamo nel villaggio di Qum, una chiesa armena del VI secolo in abbandono, passeggiando un po’ all’esterno prima del ritorno in hotel.
La serata, dopo cena, ci vede ancora una volta al Giardino Paradiso, sotto un cielo che si sta rasserenando completamente e nella luce del tramonto ammiriamo le splendide vette innevate del Grande Caucaso, che oggi purtroppo ci sono state precluse dalla giornata nuvolosa.
Dopo il consueto te’ci troviamo nello spiazzo della prima sera, questa volta al buio completo, sotto un cielo veramente spettacolare. E’ il momento di sfoderare il telescopio Dobson da 25 cm, con il quale mostro alcuni oggetti del cielo primaverile. Ad esempio l’ammasso globulare M13 in Ercole, un agglomerato fittissimo di stelline e la celebre coppia di galassie M81 ed M82 nell’Orsa Maggiore, la prima è una luminosa spirale vista di ¾, la seconda una irregolare a forma di fuso, in cui si notano proiettate alcune striature scure.
Tutti i componenti della spedizione si mettono in coda all’oculare, arrivano pure Sebuhi ed il proprietario dell’albergo, sorpresi delle potenzialità del telescopio e curiosi di acquistarne uno da piazzare nel Giardino, si potrebbe fare un buon business, mi dicono.
Qualche stella doppia come Albireo e Mizar ed Alcor, poi qualcosa di più difficile: la galassia a spirale nell’Orsa Maggiore NGC 2976 di magnitudine 10,1, non molto distante da M82: appare al telescopio come una nuvoletta allungata di 5’,9X 2’,7 di dimensioni e piuttosto granulosa.
Poco più a sud altre due galassie, la prima è NGC 3259, una spirale barrata lontana ben 100 milioni di anni luce, è piuttosto debole, una piccola macchia tondeggiante di mag. 12,1 e dimensioni 2,2’X 1,1’.
La seconda è NGC 3359, un’altra spirale barrata vicina alla stella Dubhe, lontana da noi la metà della precedente, è più risaltabile sul fondo cielo nerissimo gremito di stelline, come un ovale di mag 10,8 e dimensioni 4’X 5’. E’ un bell’oggetto che suscita la curiosità anche nel resto del gruppo.
Chiudono la serata osservativa la galassia M108 e la nebulosa planetaria M97 detta “nebulosa Gufo”, sempre nell’Orsa Maggiore che evidenzia due buchi scuri nella luminosa nube tondeggiante, gli “occhi” del gufo. Un ultimo sguardo al bellissimo cielo del Caucaso e ritorniamo in albergo.
Il 18, sotto un cielo che si mantiene limpido, lasciamo Sheki per tornare alla penisola di Absheron e a Baku, fermandoci lungo il prercorso a visitare un interessantissimo sito archeologico,il villaggio di Fazil, che si trova addirittura nell’orto di un contadino, artefice dell’importante ritrovamento.
Gunay ci presenta, l’archeologa Intizar che ha seguito gli scavi, che hanno portato alla luce alcune tombe ed una grande quantità di vasellame e oggetti che risalgono al I-II millennio a.C.
Con grande orgoglio ci rivela che questo è un museo unico al mondo, poiché i reperti sono stati lasciati nel luogo del ritrovamento, come darle torto? E così entrando in una grossa buca e togliendo un po’ di terra, l’archeologa ci mostra un teschio: questa era una tomba di un bambino, ci dice.
Poi entriamo in una serie di cunicoli bui, confortati unicamente dalla luce di una torcia e qui emergono altre tombe, cenotaffi e tantissimi reperti di vario genere.
Quelli che attirano di più la nostra attenzione sono però due statuette antropomorfe piuttosto particolari, due figure che sembrano indossare una tuta da astronauta. Si tratta di due extraterrestri in visita, ci dice l’archeologa: la leggenda racconta infatti che la popolazione di queste zone provenisse addirittura dalle stelle! Caspita, ci voleva con noi il nostro vecchio compagno di viaggi Claudio Balella, estremamente interessato all’argomento.
Una donna anziana porta a pascolare un gregge di pecore mentre usciamo da uno sgangherato cancello di legno per tornare al pullman, in uno scenario rurale che può ricordare le nostre campagne di 50-60 anni fa e salutiamo ringraziandolo il cortese padrone di casa.
E’ ora la volta della sinagoga di Oguz, recentemente restaurata, costruita nel 1906, chiusa successivamente nel 1930 sotto il regime sovietico e poi utilizzata fino al 1990 come magazzino, oggi è di nuovo adibita al culto per la minoranza ebrea della regione.
Andiamo anche a visitare una vecchia chiesa albanese oggi adibita a museo etnografico ed il personale si mette in posa per una foto con noi, come di consueto gli unici visitatori.
Arrivati a Baku, ci attende il nostro solito hotel Diplomat e raggiungiamo a piedi su indicazioni di Gunay il ristorante Dalida, richiesto a gran voce da tutto il gruppo in sostituzione di quello dell’hotel e ne approfittiamo per una bella passeggiata in centro.
Dopo cena, appena cala la luce del tramonto, si accendono le Flame Towers in lontananza, prima di verde, poi di un acceso rosso, che diventa viola e si trasforma addirittura in un’animazione con la bandiera azerbaijana che sventola sulle pareti degli edifici. Scendiamo dal terrazzo del Dalida al viale principale con fontane, palazzi e grandi luminarie che mi ricordano il centro storico di Vienna.
Avvicinandoci all’hotel in una grande piazza campeggia il ritratto del presidente Ilham Aliyev, che abbiamo visto un po’ ovunque nel corso del viaggio, spesso in compagnia del suo omologo turco Erdogan.
Il 19 Maggio, veniamo condotti all’Accademia delle Arti di Baku, passando di fianco al Centro Culturale Heydar Aliyev, una bianca e ardita costruzione, realizzata dall’architetto britannico-iracheno Zaha Hadid, che ricalca nelle sue forme sinuose, la firma dell’ex presidente.
All’interno dell’Accademia osserviamo sculture e quadri degli studenti, che si ispirano a volte alla tradizione e a volte ad uno stile più moderno, in particolare osserviamo con interesse i fantasiosi dipinti del giovane pittore Celal Aghayev.
Ci addentriamo quindi nella penisola di Absheron , nota anche come “la terra del sacro fuoco”, a causa del gas naturale e dei giacimenti petroliferi che qui vi si trovano in grande quantità e noti fin dal passato. Alcuni secoli fa infatti alcuni viaggiatori, tra cui Marco Polo, si meravigliarono del liquido viscoso e nero che fuoriusciva dalla terra e si accorsero subito che bruciava molto bene. La presenza poi dei “fuochi eterni”dovuti alle esalazioni di idrocarburi gassosi, rese questa zona sacra agli adoratori del fuoco, i seguaci di Zoroastro.
Un esempio tangibile ci si offre al nostro arrivo al villaggio di Surakhani e al tempio di Ateshgah, visitato un tempo e in minima parte anche oggi da pellegrini da tutto il mondo.
Oltrepassando la cinta muraria, entriamo in un ampio cortile in cui si trova il complesso vero e proprio, realizzato in pietre chiare che riflettono il sole cocente. Questo luogo deve la sua sacralità alle fiamme spontanee che scaturiscono dal terreno grazie ad un giacimento di gas naturale che si trova nel sottosuolo, che attirò già nel X secolo numerosi adoratori del fuoco.
Tuttavia gli edifici che compongono il complesso vennero costruiti solo nel XVIII secolo da mercanti indiani di religione induista. Il sito continuò ad essere un luogo di culto e pellegrinaggio fino al 1879, quando cominciò lo sfruttamento delle risorse petrolifere della zona e le fiamme del tempio vennero considerate uno spreco di risorse.
Ateshgah venne acquistato dalla Baku Oil Company, le fiamme vennero spente e il sito venne chiuso ai visitatori. A quanto pare le fiamme si estinsero definitivamente nel 1969. Oggi sono state ripristinate con una condotta sotterranea che porta il gas direttamente da Baku.
Al centro del cortile si trova un piccolo tempio cubico con 4 arcate in cui arde il braciere con il fuoco e per i turisti sono state allestite alcune passerelle che corrono sul perimetro del cortile in cui si aprono piccole porte che introducono a stanze che una volta ospitavano i pellegrini, spesso dediti a forme estreme di ascetismo. Alcune di queste pratiche sono illustrate da inquietanti manichini collocati nelle stanze stesse, umide, fredde e poco illuminate, in modo da creare un’atmosfera di sacralità e di mistero.
Ci spostiamo quindi al Museo Etnografico Qala, un museo a cielo aperto con una superficie totale di 1,2 ettari, in cui si trovano esposti reperti archeologici trovati nella penisola e in cui sono ricostruite alcune Kurgan, abitazioni del 2°-3° millennio a.C, con annessi recinti per gli animali, ci sono perfino alcuni cammelli!
Dopo aver notato anche qui come nel sito precedente una perfetta organizzazione, con numerose e ordinate scolaresche, risaliamo a bordo e otteniamo dopo un po’ di insistenza di recarci alla Yanar Dag, la montagna di fuoco, che misteriosamente era stata tolta dal nostro programma iniziale.
Passiamo così di fianco ad una serie interminabile di pozzi petroliferi, tubature e pali dell’elettricità, con le classiche pompe che si vedono nei film o nei telegiornali, che si muovono lentamente, dipinte di blu chiaro e rosso e sovrastate da una torre metallica di circa venti metri di altezza.
La desolazione del paesaggio è veramente incredibile, la vegetazione ormai ha quasi rinunciato a crescere, ci sono solo dei bassi cespugli spinosi dal colore grigiastro, Gunay ci ricorda che alle autorità locali non piace si facciano foto in quest’area, ma il paesaggio è talmente unico ed inquietante che inevitabilmente rubiamo qualche scatto. Pensiamo a quanto deve essere inquinata questa zona…
Proseguendo verso Makhammady arriviamo quindi alla Yanar Dag, un altro esempio di fiamme che scaturiscono dal terreno e che bruciano in modo perpetuo, un fenomeno scoperto per caso nel 1950 da un pastore che passava di qui.
Notiamo così alla base di una collina di arenaria porosa alta 116 m, una muraglia di fiamme che si estende per una decina di metri con vampe alte anche 2-3m, che anneriscono la roccia. Il caldo è afoso e opprimente e aumenta avvicinandosi alle fiamme, che spandono nell’aria un acre odore di gas e che fanno tremare e ribollire dietro di esse la sagoma della montagna, a causa della rifrazione.
E’ un luogo molto particolare, che in miniatura possiamo trovare anche in Italia, il cosiddetto “vulcanetto” di Tredozio, sull’Appennino romagnolo, un piccolo fuocherello solitario, che brucia su una collina fin dal medioevo!
Veniamo ricondotti per il pranzo al Dalida ed il resto del pomeriggio lo trascorriamo in relax, chi in giro per il centro di Baku a fare acquisti di souvenir, chi in albergo a riposare.
La cena invece l’abbiamo prenotata al grande centro commerciale Park Bulvar, che si trova sul lungo mare. Salendo le scale mobili fino all’ultimo piano, passiamo di fianco ad un Planetario, purtroppo non funzionante e ci sediamo al ristorante Zeytun, con magnifica vista sulla baia e sulle Flame Towers, che ancora una volta, magicamente si illuminano.
Una passeggiata con lo sfondo della skyline notturna di Baku, mette il suggello a questa interessante giornata.
20 Maggio, l’ultimo giorno di permanenza in Azerbaijan, è dedicato alla visita della regione del Qobustan, di particolare rilievo archeologico e naturalistico, un’area protetta a 60 km da Baku e dal 2007 patrimonio dell’Unesco.
Iniziamo con il moderno e interattivo Museo della Preistoria, in cui vengono ricostruite la storia e le abitudini delle antiche popolazioni di questi luoghi, con exhibit e manichini spiegati nel dettaglio dal gentilissimo personale, entusiasta di sapere che siamo italiani.
La struttura e lo stile ricordano abbastanza il museo della mummia di Similaun di Bolzano.
Poi Emil ci deposita all’inizio di un sentiero, dove all’interno di una recinzione si trova una grossa pietra con antiche incisioni, Cesare si avvicina e legge lentamente, trasalendo:
” Imperator Domiziano Cesare… Augusto, Germanico… Lucio Giulio Massimo… Legio XII Fulminata!!!”
“La Legione Fulminata…i Romani sono passati di qui!” Si volta guardandoci euforico.
E’ proprio così, nel 75d.C. una legione romana si trovava in questo territorio in perlustrazione e in difesa della frontiera orientale del gigantesco impero romano, la testimonianza è questa incisione del centurione Lucio Giulio Massimo, l’iscrizione latina più ad est mai scoperta. Un moto di orgoglio patriottico è inevitabile!
Tutta questa zona è comunque molto ricca di incisioni rupestri, addirittura migliaia, risalenti fino all’età della pietra a 20.000 anni fa, ne osserviamo alcune camminando tra le rocce e gli anfratti: persone, animali, battaglie, danze rituali, scene di caccia, ma anche immagini del sole e delle stelle.
Da questi petroglifi gli studiosi hanno una testimonianza eccezionale delle condizioni di vita preistorica nel Caucaso, in un periodo in cui il clima era diverso, più caldo e umido rispetto a quello attuale, piuttosto arido.
Altra particolare attrazione all’interno del parco è Gaval Dash, una “gemma musicale”, una particolare pietra cioè che, se colpita in particolari punti con pietruzze, emette un suono simile ad un tamburo.
Non è ancora il momento del pranzo, ci attende infatti un’altra meraviglia del Qobustan, i vulcani di fango!
Da una strada sterrata che attraversa una ferrovia abbandonata, piombiamo in un paesaggio desertico e desolato di colore grigio, quasi lunare, con una ventina di coni vulcanici alti dai 2 ai 4m, che punteggiano l’altopiano, fino all’azzurro Mar Caspio.
C’è un grande silenzio, visto che ci troviamo lontano da centri abitati e da strade trafficate, sembra veramente di essere su un altro pianeta!
Scaliamo alcuni di essi e ascoltiamo i loro borbottii e gorgoglii precedere l’eruzione vera e propria, un’eruzione di argilla mista ad acqua, che avviene a causa della presenza di gas nel sottosuolo, che risale lungo le fratture del terreno e fa pressione sull’acqua presente, fino ad arrivare in superficie sotto forma di fango freddo, che dal cratere scende fino a terra.
E’ interessante fermarsi ad osservare il piccolo cratere sulla cima, dove una minuscola pozza di fango grigio scuro ad intervalli più o meno regolari, emette delle bolle, alcune decisamente grosse. In genere questi vulcani non sono per niente pericolosi, può però accadere in rari casi che un aumento improvviso della pressione del gas causi una combustione, che può provocare fiamme alte parecchi metri e scagliare pietre e fango tutto attorno.
L’Azerbaijan è il paese con il più alto numero di vulcani di fango e quelli di Qobustan sono tra i più belli ed accessibili, ma ancora una volta, in Italia abbiamo il nostro piccolo Azerbaijan, ovvero le Salse di Nirano, vicino a Maranello (MO), un parco naturale con conetti vulcanici molto simili.
Ritorniamo verso Baku, costeggiando il Caspio e ci fermiamo per il pranzo proprio in un ristorante sul mare, con menù a base di pesce. Qualche foto in spiaggia e poi decidiamo una volta a Baku, di concederci anche una gita in battello, una mini crociera di fronte alla città, come degna conclusione di questo viaggio.
L’indomani infatti si torna in Italia e salutiamo questo paese sorprendente, il paese in cui arde il fuoco sacro, custode di una storia millenaria in cui si sono alternate culture, tradizioni e religioni in un crocevia veramente unico tra oriente ed occidente.
LE FOTO SONO DI: Massimiliano Di Giuseppe, Esther Dembitzer e Marica Draghetti.
CAUCASO
Arcana
si accese la notte
in un’aura di neve.
Nei navigli del cielo,
come fuori dal tempo,
folgorati di luce,
sgomenti,
la notte noi ci perdemmo.
BAKU
Nel defluire un sogno.
Baku, città dei venti
bellissima nel sole.
Ipnotica,
vertiginosa ipnotica
la notte.
Follie di luci.
Gocce di stelle.
Nel defluire
meraviglioso un sogno
nella malia di una laguna scura.
Come se un brivido,
come se un luccichio d’argento.
Gemme di luna.
POESIE di Elda Maresa Zerbone