WYOMING 2017: un’eclisse nel Far West!
Di Massimiliano Di Giuseppe
Eccoci qui a raccontare una nuova eclisse e una nuova avventura di questo 2017 astronomico, un altro tassello che si aggiunge alle meraviglie del cielo e ai paesi visitati in questi 20 anni di viaggi astronomici e di collaborazione tra Esploriamo l’Universo e Robintur.
Nella fattispecie si tratta di un evento atteso da tempo, ovvero la grande eclisse americana, “The Great American Eclipse” del 21 Agosto 2017, che per la sua importanza mediatica interesserà veramente un’enorme pubblico. Non solo perché il tracciato taglierà a metà gli Stati Uniti coast to coast, una delle aree più densamente popolate del pianeta, ma anche perchè tantissimi appassionati da tutto il mondo si muoveranno qui, lungo la linea della centralità: si parla di centinaia di milioni di persone!
Lo stato prescelto per l’osservazione dell’eclisse è quello che dà le migliori garanzie dal punto di vista meteo e cioè il Wyoming nei pressi della cittadina di Casper, che naturalmente viene presa d’assedio da tutto il globo, tanto che già da un anno risultano esauriti tutti i posti letto.
Chi non è riuscito a prenotare per tempo in Wyoming potrà comunque rimediare con tantissime altre location osservative, dall’Oregon, all’Idaho, spingendosi sempre più ad est in Nebraska, Kansas, Missouri, Illinois ove è prevista la durata massima dell’eclisse con 2’ e 40” e poi Kentucky, Tennesse, South Carolina, fino a arrivare in mezzo all’Atlantico, ove il sole eclissato si tufferà al tramonto.
E così il 17 Agosto ci ritroviamo a Malpensa con il gruppo dei partecipanti: mia moglie Arianna e alcuni veterani di viaggi astronomici come Teresa Cavalletti, Claudio Balella, Bruno Giacomozzi, Davide Andreani, Elisabetta Stepanoff, Graziella Balboni, incontrata in Oman nel 2014 e le nuove conoscenze Vita Maria Santoro, Iolanda Gentilini, Enza Conti, Laura Zanasi e Tiziana Dossi, madre di Davide.
Arriviamo dopo un comodo volo ad Atlanta in Georgia e qui ci aspetta quello successivo per Denver in Colorado in cui ci incontriamo alla sera con la nostra guida Eric, del tour operator Allied-t-pro e con il resto del gruppo già negli States da un po’ di giorni, Sauro Lodi e Doriana Favretti conosciuti quest’anno in Norvegia e l’immancabile Esther Dembitzer.
Manca purtroppo in questo viaggio il collega e compagno di mille avventure Ferruccio Zanotti, fermato all’ultimo da problemi di salute, osserveremo l’eclisse ance per lui!
Saliamo su un grande e confortevole pullman da 50 posti e facciamo conoscenza con il nostro autista Terry, che si rivelerà nel corso del viaggio simpatico e soprattutto disponibilissimo per le nostre esigenze di astrofili. Veniamo quindi accompagnati nella hall dell’hotel Holiday Inn Cherry Creek e ci ritiriamo distrutti nelle camere.
L’indomani, 18 Agosto chi più chi meno riposato per il fuso orario, ci apprestiamo alla visita di Denver, nel cosiddetto city tour. Ci avviciniamo alla Downtown e iniziano a sfilarci accanto selve di moderni grattacieli alternati ad eleganti case Vittoriane di fine ‘800 inizi ‘900: già ad una prima occhiata ci sembra una bella città, vivibile, ordinata e con grandi aree verdi.
Eric inizia a raccontarci qualcosa di Denver partendo dal suo soprannome “Mile High City”, ovvero la città alta un miglio, visto che si trova a 1650m sopra il livello del mare, su un altopiano circondato dallo splendido skyline delle Rocky Mountains, le Montagne Rocciose. Tradizionalmente legata alla storia e al mito del Far West, è stata fondata nel 1859 da cercatori d’oro, che avevano rinvenuto il prezioso metallo nelle acque del torrente Cherry, che getta le sue acque nel fiume Platte, che oggi attraversa la città.
Denver fu travolta dalla febbre dell’oro e nel 1870 con l’arrivo della ferrovia visse un momento di grande espansione, a scapito purtroppo dei nativi Arapaho e Cheyenne che furono decimati e confinati in riserve, a cui si aggiungono la quasi estinzione dei bisonti delle pianure e dei castori in montagna loro principali fonti di sostentamento.
Una brusca frenata ad un incrocio e un tonfo sordo sulla fiancata del pullman ci fa capire che il buon Terry avrà qualche grana con un automobilista a cui con tutta probabilità non ha dato la precedenza. Nulla di grave, scendiamo comunque dal mezzo visto che siamo quasi arrivati in centro e lasciamo il nostro autista argomentare l’interpretazione della segnaletica ad un giovane muscoloso e sul piede di guerra.
Percorriamo nella mattina assolata con un cielo limpidissimo e una temperatura perfetta, la strada pedonale 16th Street Mall, un elegante viale alberato lungo circa 2 km, pieno di negozi, bancarelle e locali dove mangiare, c’è pure una navetta gratuita che la percorre, favorendo lo shopping e il relax.
Arriviamo al raffinato quartiere di LoDo in cui rimaniamo colpiti dalla Union Station, la stazione dei treni, riqualificata, anzi trasformata in hotel e centro commerciale veramente chic. La cura dell’arredamento e lo stile vittoriano degli ambienti fa pensare a un locale di classe più che a una stazione dei treni. Addirittura alcuni turisti giocano con un elegante Curling da tavolo e anche noi proviamo qualche tiro con dischetti che volano sulla superficie resa quasi senza attrito grazie a polvere di sapone. Sorseggiamo un caffè comodamente seduti sui divanetti pensando alle luride stazioni italiane, lontane anni luce da tutto ciò.
Proseguendo il giro, Eric ci accompagna in un negozio di abbigliamento tipico western e tutto il nostro gruppo viene tentato dalla prova dei cappelli da cow boy! E poi dopo un pranzo a base di panini e insalate, ritorniamo al Civic Center e alla Larimer Square per soffermarci presso un’antica chiesetta e il lussuoso Brown Palace Hotel , dotato perfino di una fonte d’acqua privata, con una sfarzosa hall allietata dalle note al piano di brani dei cartoni animati di Walt Disney. Uscendo ci soffermiamo presso una statua in bronzo di un allevatore, un cow boy, figura molto diffusa ancora oggi negli stati dell’ovest americano. A ribadire il concetto in quel momento passa un auto che da tre colpi di clacson che riproducono il muggito di una mucca!
Attraversiamo le larghe strade della città percorse da un traffico comunque ordinato ed Eric ci fa notare i pompieri e i poliziotti, che assieme all’esercito, negli Stati Uniti sono figure estremamente rispettate, veri e propri eroi nazionali.
Ci avviciniamo al Campidoglio, che in tutte le capitali statunitensi rappresenta la sede governativa, in questo caso dello stato del Colorado e seguiamo la cupola dorata con lo sguardo mentre attraversiamo l’attiguo parco, pieno di scoiattoli saltellanti. Entriamo all’interno dell’edificio, costruito nel 1890 e qui ci dividiamo: Graziella si ferma su una panchina nel parco, alcuni arrivano fino in cima alla cupola, altri, me compreso, si fermano ai primi piani dove si aprono belle sale consiliari, una delle quali impreziosita dai quadri di tutti i presidenti americani alle pareti (meno Trump…). Si gioca a riconoscere quelli che nel corso del viaggio vedremo scolpiti sul Monte Rushmore!
A quel punto Eric ci propone una visita alla casa di Molly Brown, una delle superstiti del naufragio del Titanic, in stile vittoriano e oggi adibita a museo, ma ormai è troppo tardi e le visite sono terminate… Fotografiamo allora dall’esterno il Denver Art Museum, il museo d’arte moderna, prima di una birra in uno dei locali del 16th Street Mall, per ristorarci un po’visto che ora il caldo si fa sentire.
E’ tempo di tornare all’hotel in cui prevediamo di cenare e ci ritroviamo col resto del gruppo nei pressi del Campidoglio, dove ci attende il pullman di Terry. Siamo tutti molto soddisfatti di questa prima giornata americana e Denver è stata sicuramente al di sopra delle aspettative.
Ma siamo solo all’inizio dell’avventura e l’indomani 19 Agosto ci aspetta un’altra tappa significativa, l’attraversamento delle Rocky Mountain! Salgo accompagnato dal fedele telescopio Dobson da 25 cm, che ho montato la sera prima e che ripongo con cautela alla fine del pullman tra due file di sedili, a lui spetterà il compito le prossime sere, di mostrarci le meraviglie celesti, che si spera ci riveleranno i cieli bui del Wyoming.
Iniziamo anche ad introdurre l’eclisse ai partecipanti e assieme a Davide ed Esther spieghiamo al microfono durante il lungo tragitto circostanze, caratteristiche, durata e tutti i trucchi per osservarla e fotografarla al meglio. Predispongo anche alcuni filtri in astrosolar per i binocoli e macchine fotografiche di chi ne era sprovvisto.
Interessante anche il fatto che questa eclisse appartenga allo stesso Saros di quella del 1999 vista in Austria, Davide ed Arianna erano presenti anche allora.
Gigantesche foreste di pini, praterie e fiumi popolati da castori, ci accompagnano mentre saliamo di quota ed Eric ripercorre l’epopea dei primi esploratori e pionieri che arrivarono in questi territori vastissimi e selvaggi. Attraversiamo la cittadina di Estes Park e ci passa accanto lo Stanley Hotel l’albergo che ha ispirato Stephen King per il romanzo e poi celebre film di Kubrik, Shining!
Entriamo ufficialmente nel Rocky Mountain National Park, istituito nel 1915, sotto l’occhio vigile dei ranger. Siamo arrivati a 2900m di quota e la strada asfaltata in perfette condizioni, la trail ridge road sale ancora, notiamo che ora molti pini appaiono spogli e rinsecchiti ed Eric ci rivela che purtroppo con il riscaldamento globale molti alberi sono stati attaccati da parassiti, per i quali non hanno difese…
Arriviamo al centro visite, l’Alpine Visitor Center a 3700m dove parcheggiamo il pullman e proseguiamo a piedi lungo una breve salita fino alla cima del Monte Evans squassati da un vento fortissimo. Lo sguardo si perde nell’immensità della catena montuosa che annovera 100 picchi al di sopra dei 3000m, di cui il più alto è il Longs Peak con i suoi 4346m e qua e là si notano chiazze di neve che punteggiano la prateria in cui pascolano alcuni cervi wapiti. Cumuletti bianchi corrono veloci in un cielo blu limpidissimo e alcuni rapaci, forse falchi o aquile compiono volteggi e lente virate.
Scendiamo un po’ di quota per un rilassante picnic nella foresta sotto un cielo bellissimo che inviterebbe a fermarsi di notte per le osservazioni, ma dobbiamo proseguire fino al Grand Lake dove scendiamo di nuovo seguendo Eric lungo un sentiero che si inerpica sui monti, tra boschi e cespugli di salvia profumata. Arriviamo ad alcune cascatelle sul fiume Colorado, le Adams Falls e si rimane un po’ a contemplare questa natura selvaggia prima del ritorno al pullman. La marcia riprende, inesorabile, regoliamo l’aria condizionata che Terry tiene sempre altissima e sprofondiamo in una decisa siesta, pure Eric in perfetto stile cow boy si abbassa il largo cappello sugli occhi appisolandosi.
Più tardi, attraversando il parco nazionale Arapaho notiamo treni lunghissimi, Sauro conta addirittura 110 vagoni. Siamo entrati nello stato del Wyoming, Eric si ridesta, prende il microfono e ci parla dei tipici americani che vivono qui e che sono fra i principali elettori di Donald Trump, estremamente appassionati di armi tanto da acquistare addirittura mitragliatori o camionette dell’esercito. A riprova di ciò poco dopo, lungo la strada incrociamo un convoglio di camionette con personaggi armati fino ai denti ma tutto sommato amichevoli, ci salutano sorridendo.
Siamo a Cheyenne, all’hotel Days Inn, c’è il tempo per posare i bagagli e rinfrescarsi un po’ e si va a cena all’attiguo ristorante. E’ piuttosto affollato e dobbiamo attendere parecchio per trovare posto e poter consumare dell’ottima carne alla griglia con le inevitabili chips e salse. Mentre stiamo commentando la giornata mi sento chiamare per nome e vedo accanto a me un giovane con gli occhiali che mi parla in italiano, ci metto un po’ a realizzare vista la stanchezza accumulata in questo inizio viaggio poi incredulo esclamo: “Lorenzo Comolli!”
Già proprio lui, uno degli astrofotografi italiani più conosciuti ed apprezzati, già frequentatore e vincitore di diverse edizioni del nostro concorso fotografico “CielOstellato”, la sorpresa è grande. Ci spiega che anche lui con un gruppo di amici è venuto per l’eclisse ed è stato attirato dall’inconfondibile voce di Claudio, seduto ad un tavolo con Bruno poco distante da noi.
Facciamo un po’ il punto della situazione e delle previsioni meteo, al momento sembrano buone e ci sono le stesse probabilità di cielo sereno sia a Casper che a Douglas, confermando le parole di Marco Cardin, altro vecchio compagno di viaggio, con cui costantemente mi sto tenendo in contatto, ma forse Lorenzo si spingerà più a sud-est nella località di Glendo.
Ci salutiamo facendoci gli in bocca al lupo reciproci, contando magari di rivederci il giorno dell’eclisse.
20 Agosto, è la vigilia dell’importante evento astronomico e comincia a salire la tensione, non possiamo mancare l’appuntamento e si ragiona sul traffico previsto a Casper, Eric infatti non nasconde qualche preoccupazione e si decide di anticipare la partenza da Gillette, nostra destinazione per il pernottamento e distante 200 km circa da Casper, alle 2 del mattino sperando che ciò sia sufficiente.
Il programma base oggi non prevede nulla di particolare fino all’arrivo a Gillette, per cui Eric decide di farci fare qualche visita extra, partendo da un breve tour in pullman di Cheyenne, cittadina abbastanza anonima pur essendo la capitale del Wyoming in cui le uniche cose degne di nota sono il Wyoming State Museum, con un gigantesco stivale all’ingresso, il museo dei treni o Cheyenne Depot Museum e il solito Campidoglio.
Eric ci mostra anche la parte più elegante della città con numerose villette d’epoca, proprietà nella maggior parte dei casi di magnati del bestiame, una delle risorse principali dell’economia del Wyoming.
Sicuramente più interessante la tappa successiva, ovvero il Fort Laramie National Historic Site. Il Forte è nato nel 1834 come avamposto privato per il commercio delle pelli di castoro e bisonte, poi è divenuto un fortino militare e oggi è un sito storico patrimonio culturale.
Eric si ferma all’entrata presso un monumento dedicato al Pony Express, un servizio di posta prioritaria a cavallo, che con staffette attraversava il Nord America dal Missouri, alla California, prima dell’avvento del telegrafo. I tempi di recapito della posta dalla costa atlantica a quella pacifica erano di appena dieci giorni. Anche Buffalo Bill passò di qui a 14 anni con il Pony Express.
Entriamo nel centro visite dove oltre ad un ricco shop di abiti coloniali, militari e civili, appesi ovunque troviamo manifesti dell’imminente eclisse, “Eclipse Across America”, non osiamo immaginare quanta gente domani assisterà all’evento…
Poi posiamo per alcune foto caratteristiche nel vasto prato con lo sfondo di diligenze, carri, cannoni, tende indiane assieme ad alcuni figuranti vestiti da soldati dell’epoca.
Si prosegue quindi il giro con le scuderie, gli alloggi degli ufficiali e dei soldati, la polveriera ecc, scoprendo che questo luogo ha avuto una grande importanza nell’evitare conflitti tra coloni e nativi, attraverso il trattato di Fort Laramie, sottoscritto dalle tribù delle pianure Cheyenne, Sioux, Arapaho, Crow, Assiniboin, Mandan, Hidatsa e Arikara e il senato degli Stati Uniti.
Con questo trattato gli indiani concedevano il transito nei loro territori e il permesso di costruire un numero limitato di insediamenti in cambio di merci per un valore di 50.000 dollari, purtroppo nel corso degli anni il gran numero di coloni giunti qui nel movimento migratorio innescato dalla corsa all’oro fece sì che l’accordo non venisse rispettato e fossero via via ridotte le riserve indiane con conseguenti guerre e massacri di questi ultimi.
Infatti nei pressi di Torrington osserviamo i solchi impressi nel terreno dalle innumerevoli carovane di carri, che percorrendo l’Oregon Trail, trasportavano i coloni dall’est verso le nuove terre dell’ovest, si stima che in quel periodo 300.000 persone siano passate di qui.
Andiamo a pranzo in un tipico bar ristoro americano lungo la strada, di quelli che si vedono nei film, con un anziano proprietario estremamente patriottico che sfoggia bandiere americane ovunque, perfino nel bagno! Il pasto è gustoso e ci rimettiamo in marcia per Gillette, che raggiungiamo dopo aver attraversato Douglas, nostro possibile luogo osservativo per l’eclisse.
A questo proposito, prima di cena, nel modesto hotel Howard Johnson di Gillette, si riunisce il comitato scientifico della spedizione, composto da Claudio, Bruno, Davide, Esther ed il sottoscritto per definire nei dettagli il piano d’attacco all’eclisse. Spianiamo una mappa sul tavolo e si soppesano i pro e i contro di 3 possibili postazioni osservative: Casper, Douglas e Glendo.
Le condizioni meteo sono praticamente identiche per le 3 località anche se più ad est lungo il tracciato sembrano peggiorare e anche la durata è molto simile. Scartiamo Casper preoccupati dal traffico sia in andata che in ritorno, lì infatti sono convogliate e stanno convogliando quasi tutte le spedizioni astronomiche del mondo per cui basterebbe un minimo intoppo stradale per creare un vero e proprio disastro, poi scartiamo Glendo perché troppo lontana. Alla fine Douglas ci sembra il giusto compromesso, non ci resta a questo punto che sperare che la fortuna ci assista, rimandando a domattina all’alba la scelta dello spiazzo in cui accamparci.
Anche Marco Cardin e la sua spedizione decidono di andare lì.
Sembra passato pochissimo dalla cena presso un vicino ristorante dell’hotel alla sveglia ed in effetti è così, verso le 2 di notte tutto il gruppo è già sul pullman con strumentazione al seguito, l’ultimo a salire è un assonnatissimo Eric, che ha raccolto i cestini con le nostre colazioni.
Ci mettiamo in marcia, l’autostrada è buia e completamente deserta, dov’è il traffico dell’eclisse? Meglio così, penso tra me e me, arriveremo abbondantemente in anticipo ed avremo tutto il tempo per controllare e valutare diversi siti osservativi. Dopo circa 2 ore in cui la maggior parte del gruppo dorme, Douglas ci accoglie nelle tenebre e nella desolazione nessuno pare interessato alla famosa eclisse totale, finora nelle vie cittadine abbiamo incontrato solo una macchina della polizia che ha fermato dei sospetti.
Terry col voluminoso pullman cerca di non dare troppo nell’occhio e ci infiliamo in un parcheggio sterrato con una fila di alti alberi su un lato, un luogo che avevamo visto ieri pomeriggio attraversando la città e che potrebbe fare al caso nostro. Io Claudio, Davide ed Esther scendiamo per un sopralluogo: la visibilità è ampia soprattutto a sud est che è la parte che più ci interessa, allo zenit Perseo e le Pleiadi ci salutano. Soffia un vento freddo e Claudio si pone il problema dell’eventuale polvere sollevata dalle auto che sicuramente arriveranno più tardi e che potrebbero dare noia agli strumenti. Però laggiù sotto quella fila di alberi siamo riparati dal sole gli faccio notare, anche questo è da considerare.
Davide annuisce, intanto dal pullman scende una Teresa infreddolita: “Allora avete deciso? Va bene qua? Siete sicuri?” Mah, non siamo del tutto convinti, abbiamo tempo e procediamo verso un’altra possibile destinazione: l’incrocio tra la strada 94, che da Douglas va verso sud e la linea della centralità che passa proprio di lì. La visuale è molto ampia ma il problema è che la strada è stretta e non ci sono parcheggi adeguati per il nostro pullman. “Cerchiamo ancora!” insiste Esther, “Forse un parcheggio lo troviamo!” Ma questa strada non mi convince e su invito di Terry proviamo un parco cittadino, il Bartling Park. Ritorniamo quindi in città che continua a mantenersi totalmente deserta e arriviamo all’ingresso del parco.
Sì, sembra un buon compromesso, ma sullo sfondo ci sono alcuni capannoni che non sono il massimo per ambientare le foto. Ebbene sì, siamo dei perfezionisti, vogliamo pure un’ambientazione adeguata! E così decidiamo di tornare al primo parcheggio per fare un ultimo confronto e un’ultima valutazione. Terry sorride bonariamente delle nostre indecisioni e con grande disponibilità e pazienza, riaccende il pullman e si rimette in strada. Dopo aver soppesato per alcuni minuti tutti i pro e i contro delle due postazioni finalmente si decide, si va al Bartling!
Il dado è tratto! Terry ed Eric ci guardano per capire se veramente è la decisione definitiva e li rassicuro, tra l’altro il parco è immenso e addentrandosi un po’nel prato scompaiono dalla vista capannoni e tralicci elettrici che ci avevano infastidito.
Il pullman spegne definitivamente il motore ed io e quasi tutto il gruppo scendiamo per un po’ di riconoscimento di costellazioni col laser: ad est sta albeggiando ma si riescono ancora ad intravedere le stelle di Orione e la splendente Sirio molto bassa sull’orizzonte. Ora con un po’ di luce il parco si vede meglio ed è molto bello: si apre davanti a noi sereno e ordinato, ci sono alcuni tavoli, panche e gazebi in legno che andranno sicuramente bene come appoggio logistico di materiali e vivande, poco più in là i bagni e addirittura un piccolo bar che sta aprendo per offrirci un bollente e lunghissimo caffè americano. Qui vendono anche magliette dell’eclisse. Cosa volere di più?
Col sorriso stampato in volto il gruppo inizia a montare la propria strumentazione, io naturalmente ho portato il vecchio telescopio Tansutzu 114/1000 (regalo di mio padre nel lontano 1982 al superamento dell’esame di terza media!) che ha visto con me 9 eclissi totali di sole a partire da quella di Antigua del 1998 e che ora toccando ferro si appresta a vedere la decima!
Si dispiegano anche gli altri potenti mezzi della spedizione: Claudio con 2 Canon 600D obb 300 Apo, telescopio Halfa Solarscope da 10mm, Sony Alpha 7S con obb.18mm, Astrotac per inseguimento, Esther la Sony Alpha 7S, digitale coolpix P7800 e telescopio Pentax 75, ma anche Davide, Bruno, Tiziana, Elisabetta, Laura Iolanda ed Enza hanno adeguato materiale fotografico e binocoli. Doriana, Sauro e Graziella preparano gli occhialini, Vita svanisce e si aggrega ad un gruppo di giapponesi con la sua macchina fotografica, mentre Arianna e Teresa spuntano nel prato con una bandiera americana avuta in prestito dai proprietari di una vicina abitazione. La riponiamo accanto a quella italiana di Davide che ha portato fortuna in Australia.
Sorge il sole che illumina un cielo limpido senza una nuvola. Bene così, questa volta non ci saranno patemi dovuti al meteo! C’è tempo per un sopralluogo nelle vicinanze, nel prato stanno arrivando alcuni appassionati ma non c’è assolutamente la calca che ci si aspettava, poco più in là un campo da tennis recinta un gruppo di astrofili locali che avevano prenotato quello spazio per la verità un po’ ingabbiato e claustrofobico. Evidentemente non gradivano contatti con eventuali curiosi, a riprova di ciò vengo allontanato in malo modo quando tento di filmare all’interno del loro campo…
Al di là di una collinetta alla fine del parco ecco dove erano finiti tutti gli altri, in un enorme parcheggio gremito di auto…mi vien da pensare che la nostra sistemazione sia la migliore e confortevole in assoluto e tornando sui miei passi mi ricongiungo al resto della spedizione ormai pronta per il primo contatto.
Sono le 10.23 locali quando il sole viene intaccato dal bordo lunare, alcuni ragazzi con lo skateboard compiono pericolose evoluzioni accanto a noi incuranti del raro fenomeno astronomico, intanto Esther annuncia l’inizio dell’eclisse inginocchiata su cuscini gonfiabili accanto al telescopio. Indossiamo gli occhialini da eclisse gentilmente forniti dalla ditta Staroptics di Modena di Giacomo Giorgianni. Alcuni locali, in particolare una ragazza di nome Heather che parla un buon italiano, familiarizzano col nostro gruppo e osservano incuriositi al Tansutzu e agli altri strumenti. Bruno è particolarmente orgoglioso del suo visore con paraluce che consente una comoda inquadratura e osservazione del sole eclissato.
Ora fa caldo, rispetto alla notte e alla mattina presto, togliamo giacche e felpe e sfoggiamo le magliette gialle e il cappellino bianco forniti da Claudio. Siamo a metà eclisse e la luce inizia a cambiare, butto un occhio al campo di bocce accanto ad Esther che con il suo terreno chiaro potrebbe essere l’ideale per individuare le sfuggenti ombre volanti…chissà, speriamo stavolta di vederle… Arrivano Terry ed Eric curiosando al telescopio la falce di sole che si assottiglia sempre di più, ma anche tutto il resto del gruppo insieme ad altri locali che nel frattempo hanno popolato il parco si affollano al Tansutzu, cresce l’entusiasmo, ormai ci siamo!
Per la decima volta osservo la luce polarizzata dell’eclisse quasi al suo culmine e tutti i cambiamenti cromatici del paesaggio, ma l’emozione è sempre quella della prima, cresce l’attesa e si trattiene il respiro aspettando questo vero e proprio miracolo della natura… Questa volta non ci saranno nuvole dispettose a farci venire l’ansia, Il cielo è tutto sgombro, solo in lontananza sull’orizzonte ovest, verso Casper si addensa un po’ di velatura, chissà se gli altri amici e conoscenti che sono andati là a vedere l’eclisse saranno ugualmente fortunati… In mancanza di Ferruccio tocca a me dare l’ordine: “Via i filtri!”, che esce sicuramente meno perentorio e insindacabile di quello del collega. Lungo tutto l’orizzonte si accende un giallo e fantastico tramonto, l’ombra della Luna è sopra di noi…
E’ il momento di godersi lo spettacolo ad occhio nudo e agli strumenti privi delle preziose protezioni. Sono le 11.42, Il sole nero troneggia sulle nostre teste alto 55°e circondato da una brillante corona mista, un po’ allungata e un po’ a stella, in effetti dovremmo trovarci in un periodo di minimo solare ma si continua a registrare una discreta attività. E’ un’eclisse luminosa, in cui il cielo non diventa troppo buio come in altre occasioni, ma accanto al sole si possono notare comodamente Venere, Sirio e più in alto Arturo, nelle foto uscirà anche il piccolo Mercurio. Al Tansutzu l’eclisse è una meraviglia, sono spettacolari le protuberanze viola a ore 2, che con un po’ di attenzione si rendono visibili anche senza strumenti. La temperatura (20°) è calata di 8,5°, si alza il vento dell’eclisse, ma anche stavolta niente ombre volanti.
Dopo 2’22”, durata della totalità, il sole esce di nuovo tra gli applausi e la commozione della platea e come in ogni eclisse che si rispetti arrivano le interviste di rito a tutto il gruppo, soddisfatto ed emozionato per quanto ha appena visto. Terry ed Eric ci ringraziano per aver dato loro questa fantastica opportunità.
E’ ora a questo punto di mettere qualcosa sotto i denti e consumiamo i panini seduti sulle panche mentre i più precisi terminano la sequenza di foto della parzialità fino all’uscita definitiva del sole dall’ombra lunare che avviene alle 13.11.
Torniamo felici a Gillette con una strada assolutamente scorrevole e senza traffico festeggiando l’avvenuta eclisse e mostrandoci le rispettive foto. A Casper, come si sospettava hanno avuto un po’ di velature, ma David Gruber del Planetarium del Sud Tirol ci conferma che l’eclisse è stata comunque ben visibile. Cardin e Comolli l’hanno osservata nelle nostre stesse condizioni, il primo poco distante da noi lungo la strada 94 di Douglas, il secondo da Glendo. Mentre purtroppo chi è andato in Illinois ha trovato cielo coperto. Tutti i fotografi della spedizione hanno fatto un ottimo lavoro e pure sul quotidiano il Resto del Carlino nella Cronaca di Ferrara la nostra spedizione sarà citata il giorno dopo in un articolo.
Continuiamo i festeggiamenti a cena a Gillette, nonostante lo psicodramma della cameriera del ristorante (i motivi restano ignoti…), che le donne del gruppo tentano di rincuorare.
22 Agosto, dopo colazione partiamo da Gillette con destinazione Monte Rushmore in South Dakota, il famoso monte in cui sono scolpite le teste dei 4 presidenti americani George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt (con tanto di occhiali) e Abraham Lincoln e lungo la strada ci fermiamo a Custer per una breve sosta non prevista da programma. Si tratta di una piccola cittadina nata durante la corsa all’oro nelle Black Hills per merito del famoso generale Custer a cui deve il nome e di cui troviamo un busto per una foto di rito. Egli perì insieme a tutto il suo reggimento per mano di una coalizione di tribù indiane durante la celebre battaglia di Little Bighorn. Ma in questa zona si deve registrare ci racconta Eric, anche il massacro di Wounded Knee in cui 350 nativi Lakota Sioux molti dei quali donne e bambini furono sterminati da 4 squadroni di cavalleria del settimo reggimento.
Passeggiando lungo le vie della città ci imbattiamo anche in un emporio dedicato a Calamity Jane ,la prima donna pistolera della storia ed altri personaggi leggendari del West. In queste atmosfere da film western prendiamo un cappuccino americano (lungo il triplo del nostro) prima di rimetterci in marcia.
La seconda sosta non prevista è quella al monumento di Crazy Horse (cavallo Pazzo), mitico capo indiano della tribù dei Sioux, che si trova sulle Black Hills e che una volta completata sarà la più grande scultura nella roccia mai costruita, larga 195 m ed alta 172. Voluta dallo scultore Korczak Ziolkowsky per riparare alla provocazione del vicino Monte Rushmore, un monumento dell’uomo bianco costruito in territorio sacro indiano.
Ed ecco in lontananza spuntare le famose teste dei presidenti, siamo arrivati al Mount Rushmore, uno dei siti più famosi di tutti gli Stati Uniti, parcheggiamo il pullman e ci troviamo incolonnati all’ingresso insieme ad una moltitudine di turisti fra cui tanti italiani delle varie spedizioni astronomiche arrivate qui per l’eclisse. Grazie ad Elisabetta individuiamo il pullman che ha portato qui anche i vecchi compagni di viaggio Roberto e Serenella con noi lo scorso anno in Indonesia e pure Lara che ci accompagnò in Norvegia nel lontano 2003.
Lasciamo un messaggio all’autista da recapitare agli amici se non dovessimo incrociarli. Procediamo quindi nel nostro cammino avvicinandoci sempre più ai 4 presidenti scolpiti nel granito bianco che ora incombono sopra di noi. Eric ci accompagna lungo un sentiero boscoso sulle pendici della montagna raccontandoci che quest’opera alta 18m fu iniziata nel 1927 dallo scultore Gutzon Borglum e terminata nei primi anni ’40 del secolo scorso. Inizialmente dovevano essere scolpiti per intero i busti dei presidenti poi per problemi economici ci si limitò ai volti.
Mentre scattiamo le doverose fotografie, io Claudio e Davide notiamo una figura conosciuta seduta su una panchina assieme ad altri italiani. Non c’è dubbio, si tratta di Corrado Lamberti, ex direttore della storica rivista l’Astronomia! Sentito il suo nome si gira verso di noi e ben volentieri si concede a un selfie, ci salutiamo quindi augurandoci reciprocamente buon proseguimento del viaggio.
Terminato il giro, ci sediamo a mangiare qualcosa all’affollato ristorante del visitor center, prima di riprendere il viaggio, che prevede di passare di fianco al lago Sheridan e di sostare alla cittadina mineraria di Deadwood, altra tappa non prevista, che ci appare da subito molto caratteristica, con edifici storici ben conservati, saloon, l’antica banca e le poste.
Eric racconta che questa pericolosa città, negli anni ’70 del 1800 era zeppa di personaggi duri, banditi e fuorilegge. I più importanti e carismatici, come Wild Bill Hickock e Al Swearengen, hanno avuto recentemente l’onore di essere raccontati nella recente serie televisiva “Deadwood”. Entriamo proprio in uno degli originali saloon restaurati, il Saloon numero 10, in cui si narra abbia trovato la morte proprio Wild Bill, pistolero dalla mira infallibile. Alle pareti sono appese enormi teste di cervi ed alci e tantissime fotografie dell’epoca. Non mancano naturalmente i cappelli da cow boy e le magliette dedicate a Donald Trump.
Ma arriviamo ora ad una delle tappe più significative di questo viaggio: si rientra in Wyoming per raggiungere la Devils Tower, il celebre monolito che ha fatto da sfondo nel 1977 al film di fantascienza di Steven Spielberg “Incontri ravvicinati del terzo tipo”!
Quando vediamo spuntare in lontananza la torre di basalto che si erge isolata con i suoi 450m sull’altopiano, ci appare chiaro come al regista sia sembrato il luogo ideale in cui ambientare la scena dell’appuntamento con gli extraterrestri.
La sua vista ispira un grande senso di pace e di armonia con l’universo e nello stesso tempo inquietudine… Ricordo come ne rimasi affascinato e turbato, quando nel maggio del 1977 vidi per la prima volta il film al cinema, allora facevo la terza elementare e mi sembrava tutto molto realistico, con effetti speciali incredibili. Prima o poi mi sono detto visiterò questo posto…! Nel film il monolito aveva il potere di attrarre le persone dotate di particolare sensibilità verso l’incontro con gli alieni ed ancora oggi la Torre del diavolo continua a calamitare ogni anno migliaia di visitatori attirati dalla sua bellezza.
Questo fu anche il primo sito dichiarato Monumento Nazionale nella storia degli USA per volere di Theodore Roosevelt nel 1906.
Siamo tutti in silenzio mentre il pullman si avvicina a questa strana montagna che si staglia contro il cielo limpido del tardo pomeriggio. Ha la forma di un tronco di cono, con la cima completamente piatta e lungo le pareti è percorsa, in senso verticale, da numerose fenditure e solchi che le danno quell’aspetto così caratteristico e unico.
Tale doveva esser sembrata anche alle antiche tribù di questi luoghi, tanto da generare numerose leggende ed essere considerata sacra sia per per i Lakota, che per i Cheyenne, i Kiowa, Shoshone, Arapaho e Crowe. La montagna ha avuto molti nomi dagli indiani americani: era la “Casa del Dio cattivo” per i Crow, “Mato Tipila” (la casa dell’orso) per i Sioux o “Bear’s Tipì” per i Cheyenne e gli Arapaho
Una leggenda dei Kiowa narra che in una notte buia, una tribù indiana si era accampata lungo un ruscello, e sette sorelle con il loro fratellino si erano allontanate a giocare. Improvvisamente il piccolo indiano ammutolendo iniziò a tremare, le unghie dei suoi piedi si trasformarono in terribili artigli ed il corpo iniziò a crescere coprendosi di una folta pelliccia. Le sette sorelline spaventate scapparono, rifugiandosi sul ceppo di un vecchio albero le cui radici si insinuavano nella roccia. Il bambino, trasformatosi ormai in un grande orso, diventò sempre più aggressivo, minacciando di uccidere da un momento all’altro le ragazzine. Una di esse iniziò a pregare, implorando la roccia di salvarle.
Miracolosamente la roccia iniziò a crescere, spingendo le bambine verso l’alto; l’orso, nel frattempo divenuto enorme, si aggrappò alla montagna, tentando di trattenerla con gli artigli. La roccia continuava ad aumentare di dimensioni e le robuste unghie dell’orso la scalfirono tutta. Le sorelline furono spinte verso il cielo, così in alto da diventare le sette stelle del Grande Carro, o delle Pleiadi secondo un’altra versione.
Scendiamo dal pullman al piccolo Visitor Center e la Devils Tower è improvvisamente di fronte a noi, splendidamente illuminata dalla luce del tramonto. Io e Claudio (convinto sostenitore della vita extraterrestre) ci facciamo una storica foto con lo sfondo della montagna prima di procedere con tutto il gruppo ad una passeggiata sul sentiero in mezzo al bosco che le gira attorno.
Betta e Bruno, cammin facendo mi chiedono qualcosa sulla natura geologica della montagna. Ebbene è senz’altro di origine vulcanica: alla fine del Cretaceo iniziarono a sollevarsi le catene montuose del sud est del Wyoming, provocando molte fratture nelle rocce e facendo sì che il magma si insinuasse tra gli strati sedimentari più profondi, non riuscendo però a perforare la superficie e a fuoriuscire all’esterno. Esaurita la spinta, il magma si raffreddò, e cristallizzò in queste strutture di basalti colonnari che caratterizza oggi la Torre.
Poi, per milioni di anni le forze erosive del fiume Belle Fourche continuarono la lenta ma inesorabile opera di erosione abbassando gli strati sedimentari più teneri che ricoprivano il territorio circostante, col risultato di mettere allo scoperto quello che a tutti gli effetti è il nucleo di un antico vulcano.
Seguendo il sentiero in salita arriviamo ad un bel punto panoramico pieno di blocchi di roccia franata e con Claudio si ricordano gli episodi del film mentre i protagonisti fuggono proprio qui dall’esercito governativo che vuole stanarli ed impedire loro il contatto con gli alieni. La montagna ora si tinge di rosso e attorno alla cima volteggiano un gran numero di rapaci, probabilmente falchi.
Il silenzio è assoluto, un momento mistico per tutta la spedizione che continua a camminare lungo il sentiero, con la luce che via via cala, trovando qua e là appesi ai rami degli alberi qualche ex voto degli indiani d’America.
Ritorniamo al Visitor Center, a quest’ora buio e chiuso e decidiamo che il piazzale del parcheggio sarà il nostro punto osservativo per la notte astronomica, la prima di questo tour, proprio davanti alla Devils Tower, un sogno che diventa realtà!
Sgranocchiamo qualche panino mentre il cielo si fa buio e gremito di stelle e arriva il momento di sfoderare il Dobson per mostrare ai partecipanti qualche oggetto del cielo estivo. Anche i fotografi della spedizione sono in fermento e predispongono la loro attrezzatura. Fa un certo effetto trovarsi di notte in questo luogo, sarà la suggestione, ma anche chi fra noi osserva il cielo con un rigoroso approccio scientifico non manca di sperare sotto sotto nell’arrivo di qualche UFO!
Residenti e turisti hanno infatti registrato fenomeni stranissimi e la Torre del Diavolo detiene il record di avvistamenti UFO in Wyoming. Non è un caso che nei loro racconti gli Indiani delle tribù locali, narrano di misteriosi incontri con esseri stellari e di misteriose luci sulla cima della Torre.
In quel momento una potente luce verde compare sulla torre facendo sbigottire la platea….ma in realtà è Bruno che decide di farsi gioco di noi puntando il laser verde sulle rocce. Con un sorriso beffardo nasconde l’arma del delitto sotto i sonori rimproveri di Claudio…
Il gruppo si mette in coda al Dobson mentre il cielo diventa a dir poco spettacolare, uno dei più bui mai sperimentati, la temperatura è gradevole pur trovandoci a quasi 2000 metri di quota. La Luna, Venere e soprattutto Saturno coi suoi anelli destano meraviglia nel gruppo poi anch’io accendo il laser, questa volta per mostrare le costellazioni estive e raccontare miti e leggende antichi come quella di Cassiopea, Perseo e Andromeda. Proprio in quest’ultima costellazione si vede comodamente ad occhio nudo l’omonima galassia, inquadrata poi splendidamente all’oculare del telescopio.
Alcuni fari di auto in arrivo rompono l’incanto e abbagliano occhi, strumenti e fotocamere, poco dopo ne arrivano altre in breve il parcheggio si affolla e Claudio e Davide spiegano ai nuovi arrivati che stiamo facendo astrofotografia raccomandando di spegnere le luci, prima con le buone poi in maniera più accesa e veemente. Arriva pure Eric per cercare di stabilire l’ordine ricordando che in Wyoming è meglio essere cauti perché spesso i locali girano armati…Torna la calma e riprendono le foto e le osservazioni, facciamo pure una foto di gruppo notturna con lo sfondo della Devils Tower.
Entrano nel campo del telescopio le Pleiadi e qualche ammasso stellare tra Perseo e Cassiopea, poi arriva il momento di tirare i remi in barca, Terry è stato fin troppo disponibile e ora alle 23.30 dobbiamo tornare all’albergo, anche lui deve riposare. Salendo sul pullman diamo un’occhiata alle foto e con sorpresa in quelle di Esther Claudio e Davide si notano strane onde di una luminosità molto tenue colorate in verde e in viola uscire dietro la montagna. Non ci sono dubbi, è stato fotografato il rarissimo fenomeno dell’airglow, segno che il cielo era veramente buio e che la zona era favorevole per questo tipo di fenomeno.
Non abbiamo visto Ufo, ma per la prima volta in una delle nostre spedizioni è stata chiaramente fotografata questa luminescenza naturale del cielo, simile alle aurore ma molto più debole, dovuta alle molecole dell’alta atmosfera che si ricombinano dopo essere state separate dai raggi UV del sole, emettendo questa tenue luminosità.
Ancora una volta soddisfatti per una giornata memorabile ce ne torniamo all’hotel di Gillette.
23 Agosto, dopo un giro veloce alla piccola cittadina di Buffalo in cerca di una banca (ma qui nessuno ha mai visto gli euro e tanto meno ha intenzione di cambiarli in dollari), riprende il lungo viaggio, oggi la tabella di marcia prevede 400km fino a Cody e per ingannare l’attesa, mentre dai finestrini scorrono paesaggi montani di grande bellezza, Arianna escogita un gioco in cui ognuno dei partecipanti ha 5 minuti in cui può raccontare al microfono un viaggio che gli è rimasto particolarmente impresso.
Dopo qualche iniziale titubanza prende la parola Bruno che racconta il Cile e l’Isola di Pasqua, vissuti con noi nel 2004, poi si passa a Vita con il Nepal, Betta racconta l’Algeria, Esther il Botswana, Davide le Svalbard e la nostra spedizione a caccia dell’eclisse di due anni fa e Graziella la sua interessante esperienza di capogruppo nell’Unione Sovietica e nei paesi comunisti dell’est Europa negli anni ’70. A poco a poco praticamente tutti i componenti della spedizione prendono coraggio e raccontano di lontani paesi visitati e suggestive esperienze di viaggio. E’ anche l’occasione per conoscersi meglio e di scoprire che nel nostro gruppo ci sono grandi ed esperti viaggiatori.
Ci fermiamo per un picnic al pittoresco Blue Lake rilassandoci sulle sue sponde prima di rimetterci in moto ed affrontare un lungo, tipico ed infinito rettilineo americano tra montagne di argilla compatta e praterie in cui osserviamo per la prima volta i bisonti. In serata siamo a Cody, c’è appena il tempo di appoggiare i bagagli al nostro Comfort Inn at Buffalo Bill Resort e veniamo di nuovo recuperati da Eric e Terry per una veloce visita all’Old Trail Town, in cui si rivive lo stile di vita e la storia del West attraverso la conservazione di edifici storici e per il successivo e più interessante Rodeo, prenotato da Eric qualche giorno prima su nostra richiesta.
Lo stadio che inizialmente si presentava deserto, si popola via via di appassionati e consumiamo hot dog e birra ad uno dei tavoli all’ingresso, la serata è grigia e ventosa. Arianna sfoggiando una tipica camicia rossa a scacchi acquistata poco prima, decide di montare su un pacifico e rassegnato toro davanti all’ingresso, ad uso dei turisti per foto ricordo. Siamo seduti sulle gradinate e inizia lo spettacolo, piuttosto articolato a dir la verità: entrano alcuni stalloni selvaggi che galoppano attorno allo spiazzo circolare di terra battuta seguiti da una ragazza a cavallo con la bandiera americana sulle note dell’inno che tutti cantano in piedi e con la mano sul cuore. Un momento toccante e patriottico.
Poi iniziano le gare vere e proprie, ci sono vitelli presi al lazo prima dagli uomini e poi dalle donne, poi bambini che non avranno più di 10 anni che cavalcano giganteschi tori, altri torelli presi al lazo, una corsa di cavalli attorno ad ostacoli ed infine il classico e pericoloso rodeo sui tori selvaggi e scalcianti.
24 Agosto, una bella giornata di sole ci accompagna nella visita mattutina del Museo del West di Buffalo Bill, un moderno complesso museale, uno fra i più visitati di tutti gli Stati Uniti, che nel corso degli anni si è arricchito di oltre 50.000 pezzi, con una sezione che ospita dipinti e sculture ed altre quattro esposizioni permanenti dedicate alle armi, gli indiani, la storia naturale con la flora e fauna del luogo e ovviamente, il mondo di Buffalo Bill.
Nato nel 1846 e scomparso nel 1917, Buffalo Bill è una figura carismatica che incarna perfettamente lo spirito del West e della frontiera, fu anche fondatore della città di Cody. Deve il suo soprannome alla vincita di una partita di caccia al bisonte, sembra che tra il 1868 ed il 1872 ne abbia ucciso più di 4000, contribuendo alla quasi estinzione di questi poveri animali…
Entriamo e veniamo accolti proprio dal suo ologramma proiettato su un sottile velo di vapore, che ci da il benvenuto e ricostruisce brevemente la sua vita, elencando con voce austera i tratti salienti della sua esistenza: oltre che cacciatore è stato anche attore, commediante e impresario.
Ha infatti creato un vero e proprio circo dedicato al Wild West portandolo in giro per il mondo (Italia compresa), con un gran numero di figuranti e attori con il compito di impersonare se stessi, tra cui si annoverano addirittura Toro Seduto e Calamity Jane.
Il percorso museale ripercorre decenni ed annate importanti, che hanno certamente a che fare con il vissuto di Buffalo Bill, ma che si intrecciano incredibilmente con tante vicende legate al continente americano come la Corsa all’Oro, la Guerra di Secessione e i primi grandi commerci.
Particolarmente interessanti risulteranno l’ala dedicata alla natura, al territorio, agli animali che li abitano che ci prepara ai territori del parco di Yellowstone e le sale dedicate agli indiani d’America, che vengono raccontati seguendo i loro stili di vita, la loro cultura, il modo in cui erano radicati sul territorio e le tragedie nel rapporto con i bianchi invasori.
Ci rilassiamo qualche minuto nei giardini del museo in cui un’aquila dalla testa bianca, spelacchiata e triste ci guarda da una grande gabbia, poi all’uscita Eric ci consiglia di assaggiare i fagioli stufati preparati da un vecchietto in un piccolo accampamento ricostruito del tempo dei pionieri, saranno i più buoni mai assaggiati in vita mia!
La tappa successiva di questo viaggio nel West è la diga presso il fiume Shoshone che qui si allarga e crea un bacino di colore verde chiaro. Qui ahimè accade un incidente ad Esther che inciampa rovinosamente e per salvare la macchina fotografica sbatte il polso a terra. L’aiutiamo a rialzarsi e a risalire sul pullman che intanto era tornato al museo a ricuperare il giubbotto di Claudio dimenticato là. Sembrerebbe nulla di grave…
Superata una zona ricca di montagne di arenaria erose in pinnacoli entriamo ufficialmente nel parco di Yellowstone dall’ingresso Est, fermandoci per un picnic sotto una veranda in legno del Visitor center, il cielo è nuvoloso e cade qualche goccia di pioggia.
Eric ci racconta qualcosa del parco: si tratta di uno dei più grandi ecosistemi intatti della zona temperata rimasto sulla Terra, oltre ad essere il più antico Parco nazionale del mondo (fondato nel 1872) e la più grande riserva naturale degli Stati Uniti, nel 1978 è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Il parco si estende per quasi 9000 km² (più o meno come l’Umbria) su una serie di altopiani che hanno un’altitudine media di 2400 m, sconfinando anche nell’Idaho e nel Montana.
Ci sono ambienti diversissimi tra loro, dalla vegetazione di tipo desertico a quella boschiva, a pascoli subalpini, abitati da una fauna altrettanto varia che comprende bisonti, cervi, caprioli, antilopi, castori, marmotte, puma, linci, orsi (nero e grizzly) e anche i lupi, che sono stati reintrodotti qui dal 1995.
Addentrandoci col pullman nel parco notiamo una grande quantità di alberi bruciati, ciò che resta del disastroso incendio del 1988, avvenuto dopo un’estate molto secca e arida, che ha distrutto quasi il 30% delle conifere… Ma ecco che fiancheggiando il lago omonimo, lo Yellowstone Lake, il più grande a questa altitudine assieme al Titicaca in Perù, iniziamo a sentire odore di zolfo e a notare sulle sue sponde i primi fumi dei geyser.
Eric mi cede il microfono per alcune spiegazioni geologiche: l’immagine che il nome di questo parco rievoca immediatamente (oltre a quella del simpatico orso Yoghi), è infatti quella dei suoi incredibili geyser. Un’enorme riserva sotterranea di roccia fusa alimenta in questa zona oltre diecimila sorgenti calde, fumarole, pozze di fango bollente e geyser. Lo stesso nome Yellowstone (Pietra gialla) deriva probabilmente dalle incrostazioni di zolfo e altri minerali sulle rocce, connesse a questi fenomeni vulcanici attivi.
Ci troviamo infatti nella temibile caldera del Supervulcano di Yellowstone, che ha un’estensione enorme (55X72km) e che nel corso degli ultimi 17 milioni di anni ha dato luogo ad eruzioni di inusitata potenza, l’ultima delle quali è avvenuta 640.000 anni fa. Non è dato sapere quando avverrà la prossima ma la zona è continuamente monitorata dai geologi, soprattutto perché le conseguenze di tale eruzione sarebbero catastrofiche, non a caso qui sono state ambientate alcune scene del film “2012” in cui si prevedevano scenari apocalittici proprio in conseguenza dell’eruzione del Supervulcano.
Qualche bisonte ci dà il benvenuto e decidiamo di fermarci per un po’di foto al lago, il cielo si è rasserenato e fa ben sperare per le osservazioni astronomiche di stasera, sopra un albero dall’altra parte della strada si appoggia una bellissima aquila dalla testa bianca, un luogo magnifico! La nostra prossima tappa è Canyon Village, che raggiungiamo dopo aver costeggiato il fiume Yellowstone che crea numerose rapide e bellissimi scorci panoramici che ammiriamo dai finestrini del pullman, con altre fumarole che si alzano dal bosco. Siamo appena arrivati al Visitor Center quando Esther ha un mancamento, dovuto probabilmente al dolore al polso e immediatamente Eric si attiva chiamando sul pullman i ranger e uno staff medico. Vita, il medico della spedizione, improvvisa una steccatura del braccio di Esther tagliando una bottiglia di plastica e avvolgendola attorno.
Un deciso temporale ci coglie in questo momento drammatico in cui tutti siamo in ansia per la nostra affezionata compagna di viaggio e inizia addirittura a grandinare! Fortunatamente Esther si riprende, ma le vengono consigliati dai medici nel frattempo sopraggiunti, i raggi al polso nel più vicino ospedale. Le esplorazioni del parco per oggi sono terminate e Terry dirige il pullman al nostro albergo il caratteristico Best Western Desert Inn a West Yellowstone in Montana, a pochi km dall’uscita Ovest del Parco.
L’albergo è veramente bello e dalla finestra della camera noto un incoraggiante tramonto rosso, che fa ben sperare per il meteo di domani, mentre Arianna ed Eric ed il sempre disponibile Terry, accompagnano Esther all’ospedale, per le visite e le pratiche assicurative del caso. Non dimentichiamo infatti che negli Stati Uniti le spese mediche sono folli e senza un’adeguata assicurazione, qualsiasi soccorso sarebbe improponibile. Poco dopo accompagno il resto del gruppo, rimanendo in costante contatto telefonico con Arianna, a cena in un locale tipico con piatti a base di trota, che Bruno giudicherà tra i migliori dell’intero viaggio.
All’una di notte Arianna ed Esther sono di ritorno, tutto bene, le hanno applicato un tutore al polso per una leggera incrinatura e potrà tranquillamente continuare il viaggio, sono stati tutti molto gentili e disponibili, tutto è bene ciò che finisce bene!
25 Agosto, un velo di nebbia si sta alzando rivelando una splendida giornata di sole, quello che ci vuole per ammirare al meglio il parco di Yellowstone.
A colazione rivediamo Esther che si è ripresa alla grande e conversa con tutti con rinnovata energia, una vera roccia! Rientriamo nel parco e dopo aver fiancheggiato il fiume Madison, arrivati all’omonima località, all’incrocio giriamo a destra in direzione del Lower geyser Basin, che ben presto dai finestrini rivela i fumi dei suoi Geyser. Ma la prima tappa della giornata è poco più avanti, una delle mete più spettacolari dell’intero parco di Yellowstone: il Grand Prismatic Spring, la più grande sorgente calda del parco e la terza al mondo per dimensioni (370m di diametro e con una profondità di 50m)!
Ciò che l’ha resa famosa sono i suoi incredibili colori, un vero e proprio lago arcobaleno, che oggi tuttavia vedremo solo dal basso poiché la strada che conduce al punto panoramico è chiusa così come molte altre strade del parco per lavori di manutenzione, sarà comunque uno spettacolo indimenticabile.
L’area del parco in cui si trova è denominata Midway Geyser Basin e comprende altre pozze e geyser magnifici, ognuno diverso dall’altro e con la sua peculiarità: il primo geyser che incontriamo una volta scesi dal pullman è la pozza d’acqua bollente dell’Excelsior Geyser Crater, che in uno scenario incantevole riversa le sue acque nell’attiguo Firehole river con incrostazioni gialle di zolfo e nuvole bianche di fumo acre.
Proseguendo lungo le passerelle in legno, (è assolutamente proibito uscire dai camminamenti pena multe severe e probabili ustioni), ci troviamo di fronte alla meraviglia della natura del Grand Prismatic. Già da lontano avevamo notato il fumo azzurrino che con bellissimi giochi di luce rifletteva i colori della parte centrale del lago, che ora possiamo ammirare in tutta la sua bellezza: le tonalità variano dal blu profondo del suo centro al blu pallido e al verde, mentre più esternamente una banda di colore giallo sfuma in arancione e rosso.
L’acqua che sgorga da questo coloratissimo lago può raggiungere gli 87 gradi di temperatura ed è un habitat ideale per diverse specie di batteri termofili, responsabili delle magnifiche sfumature di colore. Questi organismi si sviluppano solo a temperature molto alte e si moltiplicano lungo il bordo della sorgente, producendo pigmenti colorati che corrispondono alle diverse temperature alle quali possono resistere.
Posiamo per una foto di gruppo vicino all’Opal pool, dall’incredibile colore azzurro intenso e al Turquoise pool, azzurro e arancio. Si sta annuvolando e il vento ci soffia il fumo dei geyser addosso mentre ripassiamo accanto alla prima pozza, accompagnati dal ruscellare verso il fiume dei suoi fumi bollenti.
Ci spostiamo all’Old Faithful lodge, dotato di camere, ristorante e negozio di souvenir, prima di ammirare l’omonimo geyser, uno dei più famosi al mondo, che deve il suo nome (vecchio fedele) alle eruzioni regolari, che in media si verificano ogni 65-92 minuti. Una ranger ci informa che la prossima eruzione è prevista per le 13.00 circa.
Abbiamo tempo per comprarci qualche sandwich ed appostarci in attesa assieme ad un folto pubblico seduti a distanza di sicurezza su apposite panche nei pressi del geyser.
Con una precisione notevole, preceduta da alcuni piccoli rigurgiti il geyser si innalza di fronte a noi per una cinquantina di metri con una colonna bianca di vapori ed acqua bollente, tra gli applausi scroscianti del pubblico. Nei tre minuti in cui dura il fenomeno, tra una foto e l’altra mi torna in mente un vecchio libro, “Le meraviglie della natura”, che da piccolo amavo sfogliare e che in copertina ritraeva proprio questo famoso geyser. Una grande soddisfazione vederlo dal vivo. Bruno anche lui entusiasta si avvicina: “Massi, come si formano questi geyser?”
L’origine di queste manifestazioni geotermiche si deve all’incontro fra l’acqua piovana che filtra nel terreno in rocce permeabili e le roventi rocce sottostanti vicine al serbatoio magmatico, che raggiungono temperature dell’ordine di 260 °C. Sottoposta a pressioni elevate, l’acqua non riesce a raggiungere il punto di ebollizione e neppure a evaporare, e cerca canali di risalita. Se la pressione è bassa, esce in rivoli termali arricchita di sostanza minerali, ma se trova sbocchi improvvisi può eruttare con violenti getti dal terreno. L’ intervallo tra un’eruzione e l’altra è dovuto proprio al tempo necessario affinché il condotto o sifone, si riempia di nuovo.
I Geyser raggiungono nel parco la più alta densità al mondo e qui all’Upper Geyser Basin in poche centinaia di metri si concentrano ben 75 geyser attivi, tra i più spettacolari del mondo, oltre a centinaia di sorgenti calde dalle sfumature e trasparenze fantastiche. Camminando lungo un sentiero che circonda l’Old Faithful ne vediamo altri come il Grand Geyser, che Betta ha la fortuna poco dopo di vedere in eruzione e il Solitary Geyser che fuma su una collina in lontananza, e poi tra le altre la Blue star spring, profondissima e di un blu intenso e la Chinese Spring. Percorriamo un sentiero ad anello che ci porta nei pressi dell’Old Faithful Inn, un 5 stelle ricavato in una monumentale e altissima costruzione in tronchi di legno e pietra, in cui ci sediamo un attimo prendendo un caffè.
C’è il tempo per assistere ad un’altra eruzione del “Vecchio fedele” prima di risalire sul pullman. Ci contiamo, manca qualcuno…Laura, attendiamo un po’, si sarà attardata a fare foto…Mah! Passa mezz’ora e non si vede, Sauro e Doriana che conoscono la sua puntualità cominciano a preoccuparsi ed Eric mobilita di nuovo i ranger stilando un preciso identikit della scomparsa. Poco dopo la vediamo far capolino all’orizzonte scortata dai ranger, le si era fermato l’orologio e si scusa… Tutti a bordo, si riparte!
Dopo aver di nuovo costeggiato lo Yellowstone Lake, superiamo Lake Village e Fishing Bridge sostando al Mud Volcano, un vulcano di fango situato in un’area, la Hayden Valley, che comprende altri interessantissimi fenomeni geotermici. Ai tempi della sua scoperta, alla fine dell’800, il vulcano era una sorgente molto attiva con boati e fango che esplodeva fragorosamente, poi questa attività è diminuita nel tempo e si è trasformata in un calderone di fango ribollente con eruzioni occasionali sulle passerelle, causate dall’aumento dei gas.
Veramente impressionante è la vicina Dragon’s Mouth, una sorgente calda turbolenta che fuoriesce da un’oscura bocca cavernosa. L’acqua spumeggia ritmicamente dentro e fuori la caverna, accompagnata da fumo acre sulfureo e da un profondo muggito, dando l’impressione di un vero e proprio respiro di una creatura degli inferi.
Proseguiamo l’esplorazione di quest’area, che sembra provenire dalla preistoria con il Lago Sour, il Caldron del Fango, e il Caldron di Zolfo, una sorgente molto acida in cui il solfuro di ferro è responsabile per l’acqua di colore grigio scuro e nero, mentre l’idrogeno solforato produce il tipico odore di “uovo marcio”. Il sole esce dalle nuvole in questa giornata un po’ incerta infondendo nuova fiducia per le osservazioni serali e producendo il fenomeno della gloria, un arcobaleno attorno all’ombra delle nostre teste proiettata sul vapore delle fumarole, creato dalla diffrazione della luce.
Nell’avvicinarci alla tappa successiva, Canyon Village, ci imbattiamo in alcune mandrie di bisonti che scorrazzano nella prateria, alcuni con i loro piccoli attraversano la strada creando una lunga colonna di macchine, è l’occasione giusta per fotografare da vicino l’animale simbolo di queste zone, ma Eric si raccomanda di mantenere un’adeguata distanza di sicurezza, come tutti gli animali selvaggi possono essere imprevedibili e molto pericolosi, soprattutto in presenza dei piccoli. Nel 1902 a Yellowstone erano rimasti meno di 50 esemplari ma oggi fortunatamente il pericolo estinzione è stato scongiurato e se ne contano più di 3000.
A Canyon Village scendiamo di nuovo per ammirare la bellissima cascata di Lower Falls dall’Artist point, un luogo panoramico che offre una splendida vista anche sul Grand Canyon di Yellowstone profondo più di 300m, scavato dall’omonimo fiume, che in alcuni punti precipita in fragorose cascate. La Lower Falls ci appare spettacolare in controluce con i suoi 94m di altezza, il doppio delle cascate del Niagara.
E infine l’ultimo appuntamento di questa straordinaria giornata a Yellowstone, il Norris Geyser Basin, l’area geotermica più calda e mutevole del parco. Seguiamo Eric lungo un sentiero che passa di fianco al museo scendendo nel bosco e aprendosi improvvisamente sul “bacino di porcellana”, uno scenario incredibile, con eccezionali laghetti azzurro pastello incastonati in un terreno chiaro privo di alberi, avvolto dai fumi rosa dei geyser illuminati dal sole al tramonto.
Scendiamo sulla passerella in legno per ammirare da vicino questo mondo alieno, qui non c’è traccia di vegetazione, scoraggiata dal ph estremamente acido delle sorgenti, che accompagnano la nostra esplorazione con gorgoglii, vapori sibilanti e odori pungenti. Ma anche i colori colpiscono grazie a una combinazione di minerali e forme di vita. Le pozze termali tendono ad avere più caratteristiche blu latte rispetto ad altri punti geotermici a causa di un’alta concentrazione di silice disciolta nell’acqua calda. L’arancio rossastro è dovuto agli ossidi di ferro e ai composti dell’arsenico, invece altre parti tendono ad essere verde smeraldo a causa del blu della luce rifratta in combinazione con il giallo dello zolfo. C’è pure un’incredibile mix di colori che ricrea la bandiera italiana (bianco rosso e verde)!
C’è un grande senso di pace in questo luogo, come se il tempo si fosse fermato miliardi di anni fa allo spuntare delle prime forme di vita sul nostro pianeta. Si rimane a lungo in contemplazione mentre l’orizzonte si arrossa e la luce inizia a calare. Nelle vicinanze ci sarebbe anche lo Steamboat, il geyser più alto del mondo (140m), ma le sue eruzioni, anche se possono durare 40 min sono assolutamente imprevedibili, l’ultima è avvenuta addirittura nel 2013 a distanza di 8 anni dalla precedente.
Una falce sottile di Luna spunta tra gli alberi, mentre torniamo sui nostri passi, segno che si può procedere con le osservazioni astronomiche. Il buon Terry su nostra indicazione ci porta al parcheggio del Grand Prismatic, fortunatamente deserto e assolutamente buio per cui trasbordiamo il Dobson e il resto dell’attrezzatura fotografica su uno spiazzo a poca distanza dal pullman. All’orizzonte tra gli alberi rinsecchiti spuntano i fumi del Grand Prismatic e degli altri geyser e fumarole della zona, un altro luogo perfetto in cui ambientare le foto del cielo notturno!
Stiamo osservando la Luna e i suoi crateri quando vedo avanzare verso di noi dal sentiero che porta ai geyser una figura scura e silenziosa con un cavalletto fotografico in mano. Sulle prime penso a un giapponese poi una voce familiare ci chiede: “Scusate siete italiani?” Si tratta questa volta di Fabrizio Melandri, altro valente astrofotografo con noi in diverse spedizioni in passato tra cui la storica caccia alle meteore Leonidi del 2001 in Cina, che tuttavia negli ultimi anni predilige i viaggi in solitaria. Ci eravamo sentiti via facebook in questi giorni ma la casualità di questo incontro è veramente sorprendente!
Si festeggia con abbracci e pacche sulle spalle, arrivano increduli anche Claudio, Bruno, Davide, Arianna ed Esther, che hanno conosciuto in passato Fabrizio e si procede tutti insieme nelle foto e osservazioni sotto un cielo anche stasera superlativo. La Via Lattea splende sopra le nostre teste e qualche nube passeggera crea dei veri e propri “buchi” nel cielo a causa dell’assenza di inquinamento luminoso. C’è anche qualche Perseide ritardataria che Bruno riesce a fotografare.
Mentre punto col Dobson la nebulosa Laguna nel Sagittario, quasi una foto in bianco e nero, Fabrizio ci racconta che di notte in queste sere ha osservato da solo nei parchi incurante del pericolo costituito da orsi, lupi o malintenzionati. Veramente coraggioso il nostro compagno di avventure! Proseguiamo con le osservazioni e prendiamo di mira via via altri oggetti celesti, come la nebulosa Omega sempre nel Sagittario, una bella e luminosa banda di luce soffusa e poi l’ammasso aperto M11 nello Scudo un fittissimo spolverio di stelle ed i globulari M13 in Ercole ed M15 in Pegaso che ad altri ingrandimenti si risolvono in bozzoli di centinaia di migliaia di stelle.
Arriva quindi il momento di far riposare Terry e di tornare all’albergo, per lui considerando anche la notte in ospedale è stata una giornata molto impegnativa, salutiamo Fabrizio che rimane solo a far foto nel cuore della notte, facendogli gli in bocca al lupo, anzi lasciamo stare i lupi…non si sa mai! Difatti mentre passiamo col pullman nel folto della foresta uno di questi bellissimi animali ci attraversa la strada….
Ammirando le foto astronomiche della serata, tra i fumi dei geyser con lo sfondo della Via Lattea e del cielo stellato, ad un’occhiata più approfondita compare anche stasera l’airglow, in bande alternate viola e verdi! Un altro notevole successo fotografico, peccato non aver provato a osservarlo anche ad occhio nudo.
26 Agosto, ripercorriamo la strada che attraversa il parco in direzione Grand Teton e rimaniamo incolonnati per un’ora a causa del traffico, alcuni ne approfittano per scendere e sgranchirsi le gambe, altri come Laura e Bruno, per raccogliere nel bosco porcini giganteschi. Si risale, nuovi stupendi panorami ci scorrono a fianco e vediamo perfino le caratteristiche dighe di tronchi fatte dai castori sui torrenti. Verso mezzogiorno siamo finalmente arrivati al parco del Grand Teton!
Le vette frastagliate del Teton Range, Les Trois Teton, come le avevano chiamate i francesi a causa della loro somiglianza con 3 giganteschi seni, raggiungono i 4000m di altezza e sono le più giovani delle Rocky Mountain, anticamente territorio della tribù dei Piedi Neri, è divenuto Parco Nazionale solo nel 1950, a causa dell’opposizione di cacciatori e proprietari terrieri. Ancora oggi sono state mantenute alcune aree private in cui la caccia è consentita. Il Grand Teton ci offre un paesaggio di straordinaria bellezza, ricco di laghi di montagna, gole, boschi, valli e pareti rocciose che si innalzano vertiginose.
Eric decide di fermare il pullman per un picnic sulle rive del Jackson Lake, ci sembra un’ottima idea anche perché il luogo è stato teatro più di 40 anni or sono di un avvenimento astronomico piuttosto significativo di cui ho sentito parlare per la prima volta nel 1983 nel corso della trasmissione Cosmos del compianto astronomo Carl Sagan.
Osservo il profilo seghettato delle montagne dietro all’azzurro lago, sopra queste vette in un caldo pomeriggio d’agosto del 1972, un grande bolide diurno entrò nell’atmosfera terrestre a una velocità di 15 chilometri al secondo dando spettacolo nei cieli dell’America settentrionale. L’evento fece talmente scalpore che Arthur Clarke ne riportò l’apparizione all’inizio del suo racconto “Il martello di Dio”, pubblicato nel 1993.
Quando passò sopra il Jackson Lake un turista riuscì a filmare l’incandescente palla di fuoco e la sua lunga coda di vapore. In meno di due minuti aveva attraversato l’atmosfera e se n’era ritornato nello spazio.
Un’impercettibile variazione dell’orbita di questo oggetto del diametro di una decina di metri,avrebbe potuto spedire l’asteroide a schiantarsi su una qualsiasi delle più grandi città del mondo con una forza esplosiva cinque volte quella della bomba di Hiroshima.
Le donne del gruppo pare non siano troppo interessate agli avvistamenti e possibili scontri cosmici e hanno già messo i piedi a mollo nel lago approfittando della splendida giornata e a spogliarsi per prendere il sole, Eric addirittura si è tuffato facendo il bagno nelle sue gelide acque e invitando tutti a fare altrettanto.
Dopo il picnic ci attende una passeggiata a piedi sul sentiero che costeggia il più piccolo ma molto grazioso Jenny Lake, nel corso della quale ci addentriamo nel bosco e osserviamo svariati scoiattoli. Eric ci avverte di fare rumore mentre camminiamo in modo da allontanare eventuali orsi che qui abbondano, ma fortunatamente questo pericoloso incontro non avviene. Rimontati sul pullman attraversiamo la valle di Jackson Hole, attraversata dal fiume Snake, un luogo in cui è facile avvistare un alce, visto che proprio qui c’è il National Elk Refuge, ma non ne vediamo neppure uno.
Nel tardo pomeriggio arriviamo alla piccola cittadina di Jackson, stazione sciistica invernale che ha nella Town square, nell’Antler Arches, un arco interamente fatto di corna di alce e nei locali tipici in stile Old Wild West, i suoi punti di maggiore interesse. Passeggiamo buttando un occhio alle numerose gallerie, boutique e hotel eleganti, prima di una corroborante cena e del definitivo arrivo al nostro Hotel Quality Inn a Rock Spring, in cui posiamo i bagagli quando ormai sono le 10 di sera.
L’indomani, 27 Agosto, impieghiamo l’intera giornata per tornare a Denver nello stesso hotel dell’andata, dove festeggiamo il successo del viaggio e l’avvenuta osservazione dell’eclisse con tanto di bottiglia di spumante. La mattina del 28 c’è ancora il tempo per un giretto in centro a Denver poi arriva il momento di congedarci, salutiamo lo stupendo Wyoming che ci ha fatto vivere emozioni intensissime e ringraziamo Eric e Terry, per la loro professionalità e disponibilità. Ora ci attende il definitivo ritorno in patria con il lungo volo per Malpensa, con scalo a Minneapolis nel Minnesota e ad Amsterdam.
Ma c’è un ultimo regalo che questo fantastico viaggio decide di farci proprio mentre sorvoliamo di notte i cieli del Canada: una stupenda aurora boreale, prontamente fotografata da Davide e Claudio, calamita l’intero gruppo ai finestrini dell’aereo orientati verso nord e ci ipnotizza con il suo verde acceso e le sue veloci evoluzioni. Non potevamo sperare in una migliore conclusione!
E’ stata un’incredibile avventura nel Far West e l’occasione per vedere panorami selvaggi e vivere suggestioni di rara bellezza, uno stimolo e un incoraggiamento a tornare presto negli USA e nei suoi parchi stupendi e ordinatissimi, per ambientarvi degnamente qualche nuovo e appassionante fenomeno astronomico.
LE FOTO SONO DI: Davide Andreani, Claudio Balella, Esther Dembitzer, Massimiliano Di Giuseppe, Bruno Giacomozzi, Vita Maria Santoro e Arianna Ruzza.