di Massimiliano Di Giuseppe
Un pulmino bianco avanza velocemente, sobbalzando e sbandando lungo la stradina che attraversa i palmeti e le campagne in un punto imprecisato dell’isola di Bangka (Indonesia), sono le 7.10 del mattino del 9 Marzo 2016.
A volte il pulmino si blocca, sembra incerto sul da farsi, poi procede di nuovo a singhiozzo sollevando nuvole di polvere, fino a fermarsi questa volta definitivamente davanti a una casa isolata, scendono di corsa due personaggi noti a questi diari, due cacciatori di eclissi, che controllano il movimento delle nubi, ancora una volta capricciose e gli squarci che si aprono qua e là.
Un cenno di assenso all’autista simile all’attore Charles Bronson, che spegne il motore e scende a sua volta, accompagnato da Toto, la guida, per la prima volta anche loro in questa zona dell’isola.
Toto si asciuga il sudore, fa già caldo, sui 30 gradi, pur essendo mattino presto e indossando gli occhialini osserva attento la falce di sole che si assottiglia sempre di più.
Nel frattempo, alcuni bambini che giocavano all’aperto, dopo aver assistito alla scena, corrono a chiamare i genitori intenti nelle faccende di casa e totalmente ignari di quello che la natura sta per offrirgli.
Mentre scarichiamo i cavalletti e la strumentazione si presentano nell’ordine il capo famiglia, che ci saluta in uno stentato inglese, la moglie, i nonni e lo zio. Sono onorati di averci nel loro giardino e ascoltano attenti mentre cerchiamo di spiegare che fra poco ci sarà un’eclisse totale di sole, un evento molto raro e spettacolare, mimando con le mani il Sole e la Luna che si sovrappongono.
Si scambiano sguardi increduli di meraviglia: sembra abbiano capito l’importanza del momento. Le tradizioni e le superstizioni che accompagnano l’eclisse, vista come un presagio negativo o come una punizione divina, fanno parte delle leggende di tutti i popoli antichi. In Indonesia, è il demone Rahu che si travestì da dio per rubare un sorso di un elisir che gli avrebbe dato l’immortalità, ma il sole e la luna lo videro e avvisarono Vishnu che tagliò la testa al demone un attimo prima che l’elisir gli passasse nella gola.
Da allora solo la testa di Rahu è diventata immortale e continua a inseguire la luna e il sole in cielo per vendicarsi. ogni tanto li raggiunge e li divora ed è allora che avviene l’eclisse. Ma siccome Rahu non ha la gola, il sole e la luna ricadono giù dal fondo della testa!
Doniamo ai bambini qualche occhialino e rimangono a bocca aperta, non sanno se essere più emozionati per la visione del sole eclissato o per il fatto di vedere da vicino per la prima volta due occidentali.
Osservo Ferruccio che stringe le ultime viti del cavalletto, prima di partire con le foto e poi alzo lo sguardo al cielo sempre molto incerto: “Speriamo di farcela…”
Meglio a questo punto tornare indietro di qualche giorno all’inizio di questa straordinaria avventura in terra Indonesiana, nel più grande arcipelago del mondo (ben 17.500 isole!), con un viaggio organizzato come al solito dalla rivista Coelum, Robintur e Coop Camelot in occasione dell’eclisse totale di sole del 9 Marzo.
Il tracciato dell’eclisse attraversa questa volta praticamente tutto l’arcipelago: parte ad ovest nell’oceano Indiano, incontra in successione Sumatra, il Borneo, Celebes, le Molucche e il Pacifico dove la totalità raggiunge la massima durata di 4m e 9 e termina infine a nord delle Hawaii.
Tra le varie isole, le Molucche sono le più gettonate: lì la totalità dura più di 3 minuti e le statistiche meteo sono fra le migliori, va da sè che vengono quasi subito occupate dai soliti americani e giapponesi.
La nostra scelta per l’osservazione del fenomeno ricade quindi sull’isola di Bangka, situata tra Sumatra e Java, un’isola con buone percentuali di sereno e con una durata della totalità nel punto migliore di 2’ e 12”, dopo la visione del fenomeno il nostro tour proseguirà poi via terra attraverso tutta l’isola di Java, alla ricerca di antichi templi, laghi, foreste pluviali e vulcani attivi, con un po’ di relax finale a Bali.
Il pomeriggio del 6 Marzo ci ritroviamo quindi in 6 all’aeroporto di Malpensa, io il collega Ferruccio Zanotti, Teresa Cavalletti con noi di recente in Andalusia, Maurilio Grassi con la moglie Barbara Scura, veterani dei viaggi astronomici e l’immancabile Esther Dembitzer.
Il volo notturno di linea Emirates per Dubai, ci fa apprezzare la comodità di questa compagnia aerea, posti meno sacrificati del solito, grandi schermi sui sedili per gustarsi al meglio i film ed un tocco astronomico con “stelline” che si accendono sul tetto all’interno della fusoliera, mentre le altre luci si abbassano.
Dal finestrino ogni tanto diamo uno sguardo ai territori che via via sorvoliamo: Turchia orientale, Siria, Iraq… luoghi oggi inaccessibili a causa di guerre e devastazioni ad opera dell’Isis, le città appaiono poco illuminate e ogni tanto nel buio tra le montagne e nei deserti si accendono piccoli fuochi, forse pozzi petroliferi o accampamenti, chissa…
Arriviamo a Dubai sul far del mattino incontrandoci con Roberto Iorio, altro veterano, in compagnia della sorella Serenella, per la prima volta con noi in un viaggio astronomico. Sono arrivati prima, partendo da Roma e si fa colazione assieme utilizzando i buoni pasto fornitici da Emirates, un modo per addolcire la sosta di 5 ore in attesa del volo successivo per Jakarta. Seduti a tavola cominciamo a confrontarci sulle circostanze dell’eclisse e soprattutto sulle previsioni meteo, alquanto variabili…
Il periodo climatico in Indonesia è quello della fine del monsone delle piogge e l’inizio del monsone secco, caratterizzato da grande instabilità, ma con possibilità di ampie schiarite e temperature in generale gradevoli ed estive, una situazione diametralmente opposta rispetto a quella sperimentata nella gelida eclisse dello scorso anno alle Svalbard!
Il viaggio è lungo, abbiamo ancora 7 ore di volo prima di arrivare a Jakarta, che raggiungiamo solo a mezzanotte, in tempo per festeggiare il compleanno di Iorio e naturalmente anche le donne del gruppo visto che si tratta dell’8 Marzo. All’uscita dell’aeroporto ci accoglie un gigantesco cartello con l’immagine del sole eclissato e la scritta “Gerhana Matahari Total”, a testimonianza che l’evento qui è molto sentito e facciamo conoscenza con Eko, la guida che ci accompagnerà al nostro hotel Alila, attraversando una città che ci appare abbastanza disordinata e caotica anche a quell’ora.
Qualche ora di sonno con il fuso orario che si fa sentire (6 ore in più rispetto all’Italia) poi siamo pronti per un nuovo trasferimento in aeroporto, facendoci largo tra nugoli di motorini che qui non a caso chiamano mosquitos, presenti a migliaia, fermi ai semafori o in movimento, che si aggiungono alle auto, ai tricicli e agli autobus strombazzanti in un traffico delirante di una città con circa 10 milioni di abitanti! Ma se estendiamo il conto all’intera Indonesia si arriva addirittura a 255 milioni di cui 114 solo sull’isola di Java.
Scendiamo dal pullman spingendo e tirando i nostri bagagli e dando una mano ad Esther coi suoi innumerevoli zaini, il caldo è afoso ed il cielo biancastro con un misto di velature, foschie e nuvole, mah speriamo bene per domani…
Per contro, l’aeroporto dei voli nazionali è molto curato, fresco e rilassante, con un’architettura in legno che rispecchia lo stile locale e bei giardini oltre le vetrate panoramiche. Il personale è molto gentile, come si riveleranno tutti gli indonesiani che incontreremo durante il viaggio.
Atterriamo a Bangka dopo 1 ora circa al piccolo aeroporto di Pangkal Pinang, accolti da un cielo blu e limpido, senza traccia di afa o foschia con qualche bianca nuvoletta innocua e da Toto, che sarà la nostra guida durante la permanenza sull’isola, a lui spetterà l’arduo compito di farci osservare al meglio l’eclisse…
Infatti, subito dopo un buon pranzo in un ristorante locale, Toto ci accompagna col pulmino in un sopralluogo per verificare l’accessibilità di due diversi punti osservativi, che sceglieremo all’ultimo momento in base alle previsioni meteo. Passiamo accanto a Penyak Beach, un tratto di spiaggia in cui fervono i preparativi per l’indomani, sarà infatti sede di una festa a cui parteciperà praticamente tutta l’isola, con bancarelle, giostre, ristoranti improvvisati, tende, una vera e propria sagra paesana. Non vediamo in giro altri occidentali, pochi hanno scelto quest’isola per osservare il fenomeno.
Siamo già dentro la fascia della totalità, ma qui l’eclisse dura poco più di 1 minuto, vogliamo guadagnare più secondi possibili proseguendo verso sud. Toto ogni tanto ci fa notare qualche pianta locale che ci sfila a fianco, come quelle del pepe, le palme da olio o i caratteristici alberi della gomma, con un secchiello legato al fusto per la raccolta della preziosa sostanza.
Dopo circa 3 ore siamo finalmente in prossimità della meta, abbandoniamo la strada principale e imboccando un sentiero sterrato ci troviamo di fronte al mare di Java e alla spiaggia di Bakong molto bella e selvaggia, se non saremo costretti a variazioni di percorso dell’ultimo momento questo sarà il luogo in cui domani osserveremo l’eclisse. Il cielo è quasi completamente sgombro, solo verso ovest incombe un temporale minaccioso, si fanno scongiuri…
Riprendiamo la marcia per la location alternativa, Airgegas, più all’interno dell’isola. Ci appare un luogo sicuramente meno suggestivo, un villaggio povero con un distributore di benzina e qualche passante che ci indica nelle vicinanze un punto forse più scenografico, raggiungibile percorrendo una strada sterrata che sale di fianco al villaggio.
Imbocchiamo il viottolo e immediatamente, come spuntati dal nulla alcuni bambini si mettono a seguire il pullmino che arranca in salita, ci superano e ci salutano felici seguiti poco dopo da quelli più grandicelli in motorino, alla fine avremo un seguito di una cinquantina di giovani indonesiani che accompagnano la nostra ascesa nella fitta boscaglia.
Quando il sentiero diventa troppo stretto per il nostro mezzo, siamo costretti a proseguire a piedi, scortati dal piccolo esercito di giovani desiderosi di qualche selfie con noi, gli occidentali sono una vera rarità da queste parti e le ragazzine sono entusiaste.
Accettiamo di buon grado il ruolo di star e seguiamo Toto che ci accompagna sulla cima del promontorio, ove lo sguardo spazia su una grande vallata verde e su una foresta di alberi della gomma, sicuramente un buon punto di osservazione, che tuttavia scartiamo: troppa fatica portare la strumentazione fin quassù!
Salutiamo i nostri fan, lasciando loro in dono qualche occhialino per l’eclisse con la raccomandazione di non guardare mai il sole direttamente durante la parzialità.
Piuttosto stanchi ci ritiriamo nel nostro Novotel, moderno e scenografico, un po’di riposo prima di una cena a base di pesce in un vicino ristorante in cui assaggiamo anche il pesce luna, condito con salsine estremamente piccanti, poi un brevissimo sonno, visto che ci sveglieremo all’1.30 per arrivare alla spiaggia di Bakong prima dell’alba.
Un ultimo controllo ad un dettagliato sito meteo che ci dà qualche speranza in più rispetto ai giorni scorsi e siamo pronti a partire, si va alla spiaggia! Non osiamo per scaramanzia commentare la situazione, mentre avanziamo col pulmino nella buia notte di Bangka il cielo dai finestrini appare infatti totalmente sgombro e le stelle luminosissime.
Io e Ferruccio, ci accorgiamo quasi subito della Croce del Sud e di Alfa e Beta Centauri, ma anche Eta Carinae ed il Sacco di Carbone sono ben visibili così come la Via Lattea australe ed il rigonfiamento in corrispondenza di Sagittario e Scorpione. Mancano ancora molti km e molte ore all’eclisse ma il morale è decisamente alto.
Il traffico aumenta man mano che si entra nella fascia della totalità e quando siamo nei pressi di Peniak Beach si va a passo d’uomo per una lunghissima colonna di auto, carretti e motorini che si accalcano lungo l’unica strada di accesso alla parte sud dell’isola, Roberto comincia a temere di non arrivare in tempo.
Centinaia, forse migliaia di persone si sono accampate dalla notte precedente sui prati, tra i palmeti, sui tetti delle auto e sul ciglio della strada, tutti attendono con trepidazione il grande evento e l’attesa è accompagnata da musica a tutto volume, fari colorati e pentoloni che cuociono cibarie di ogni tipo, con volute di fumo che si innalzano verso il cielo stellato.
Sono felice di non fermarmi in quel caos e piano piano usciamo dall’ingorgo e riprendiamo la nostra strada che diventa via via sempre più deserta, a nessuno interessa andare dove l’eclisse dura di più…
Il cielo è sempre spettacolare ma compare qualche nuvola, per ora innocua e quando arriviamo alla spiaggia, nel buio pesto, ne vediamo altre sull’orizzonte est dove fra poco sorgerà il sole, mah…
Io e Ferruccio spieghiamo, grazie all’assenza di inquinamento luminoso, un po’ di costellazioni australi al nostro gruppetto e a Toto, poi, quando la luce zodiacale si fa vistosa e Venere sorge come un faro dal mare, capiamo che è il momento di montare gli strumenti. Io come al solito mi sono portato il fedele telescopio Tansutzu (114/1000), Esther il Pentax 75 su montatura Meade e la reflex Canon Eos 60Da su Polarie, con obiettivi vari fra cui un 18/200, Roberto una Canon 350D con MTO f10 e una Nikon AW 110 e Ferruccio la Canon 40d modificata con rifrattore 500 mm f:5 per riprese dettagliate della totalità e Panasonic Lumix DMC-FZ 200 per foto a grande campo, il tutto su montatura equatoriale.
L’autista ci aiuta con torce e faretti mentre procediamo con i nostri lavori, ma ad un certo punto non ce n’è più bisogno, siamo illuminati dai colori vividi di un’alba radiosa, una delle più belle che abbia mai visto, la pace è completa.
Stiamo tenendo d’occhio con apprensione l’avanzare delle nubi, quando siamo raggiunti da un gruppetto di isolani che famigliarizzano subito con noi chiedendoci da dove veniamo e come funzionano i nostri telescopi, inizia una distribuzione di occhialini ai più piccoli.
Sono le 6.00, sorge il sole dietro alle nubi, che nel frattempo sono aumentate coprendo i primi 30 gradi di cielo, ma anche verso nord la situazione sta peggiorando con nubi in lenta ma inesorabile avanzata, esiste un serio rischio di non vedere nulla. Verso sud ovest però il cielo è rimasto sgombro… Che fare? Sarebbe intollerabile mancare la totalità anche quest’anno dopo la nevicata delle Svalbard del 2015 e così soppesando i pro e i contro io e Ferruccio prendiamo la solenne decisione di smontare tutto e correre verso lo squarcio di sereno col pulmino. Nel frattempo l’eclisse inizia, sono le 6.20.
Gli altri non se la sentono di seguirci, Maurilio è fiducioso e profetizza un’apertura durante la totalità, Esther ci guarda con rassegnazione “Dovrei smontare e rimontare tutto, ci metterei un secolo, mi spiace rimango qui!” dello stesso avviso è Roberto, Teresa e Serenella hanno fatto amicizia con i locali e Barbara si è seduta sul telo da spiaggia.
Non ci resta che farsi i reciproci in bocca al lupo partendo decisi verso sud ovest e verso l’ignoto, proprio al centro della linea della centralità, Toto e l’autista non conoscono la strada ma accettano la sfida, ci fermeremo solo quando saremo fuori dalle nubi! Sono momenti concitati e drammatici, Ferruccio cerca di seguire il tracciato gps della strada sul cellulare, io sono inchiodato al finestrino per dare indicazioni all’autista in base alle nubi. Il pulmino corre veloce ma è veramente difficile lasciarsi alle spalle la nuvolaglia, ogni tanto il sole emerge da qualche piccolo squarcio illuminando la campagna di una luce che ha già la tonalità azzurrognola dell’eclisse avanzata.
I minuti passano, bisogna fare presto…Ecco…Sì forse ci siamo…il sole è fuori…fermiamoci nello spiazzo davanti a quella casa…
Questo è ciò che è successo dunque prima di quegli istanti fatidici e importantissimi che rappresentano il punto culminante di un viaggio per l’eclisse, la sintesi di mesi di preparazione, studi, statistiche e speranze, fra pochi minuti sapremo dove il destino ha deciso di far pendere la bilancia, non si può fare altro che aspettare.
Ci guardiamo attorno, i colori del paesaggio sono sorprendenti, il calo di luce anche se visto da parte mia ormai per la nona volta è sempre qualcosa di incredibile e alieno. Una folata improvvisa, siamo colti di sorpresa dal vento dell’eclisse, è forse la prima volta che questo fenomeno è così evidente, guardo per terra tracce di ombre volanti, ma nulla, c’è una nuvola malefica che proprio adesso copre il sole, la speranza si alterna allo sconforto…ormai manca pochissimo, la tensione è alta.
Ho rinunciato a rimontare il Tansutzu e, zummo sul sole con la telecamera a mano libera: la nostra stella lancia un’ultima scintilla e poi tutti quanti tratteniamo il fiato per un’istante che sembra eterno…anche i galli di un vicino pollaio fino a quel momento canterini, tacciono…
Il sole nero e la bianca corona compaiono all’improvviso, inaspettati e magnifici, lasciandoci senza parole… le nubi evidentemente sono abbastanza sottili da permettere una bella visione del fenomeno anche in quelle condizioni, qualcosa di insperato fino a poco prima, si vede anche una protuberanza viola ad occhio nudo ad ore 8! L’orizzonte si tinge di giallo e l’ambientazione con le palme nerissime è stupenda dando un tocco decisamente esotico a questa eclisse.
La famigliola lancia urla di gioia, i bambini pensano ad un miracolo, Ferruccio scatta foto a raffica ed io alterno riprese ravvicinate del sole a quelle del paesaggio cercando di dominare l’emozione ed avere la mano il più ferma possibile. I due minuti e 12 secondi sono brevissimi ed il sole torna ad illuminare quel piccolo angolo di mondo, l’ombra lunare se ne va, sono le 7.23. Ce l’abbiamo fatta! Non era un risultato così scontato, per cui ringrazio Toto, stringo la mano a Bronson e il suo sguardo severo si scompone in un tiepido sorriso.
Salutiamo la famigliola mentre facciamo ritorno alla spiaggia sicuri che quei bambini avranno qualcosa da raccontare ai loro figli e ai loro nipoti…
Ora la domanda è: saranno riusciti i nostri compagni di viaggio a vedere qualcosa dalla spiaggia? La prima a venirci incontro è Teresa, euforica per ciò a cui ha appena assistito.” L’abbiamo vista!” ci dice: ”E’ stata un’esperienza unica!” Maurilio con lento incedere si avvicina : ”L’avevo detto, all’ultimo il cielo si è liberato ed il sole è comparso in un buco tra le nuvole!” Andiamo da Esther e guardiamo le sue belle foto in cui accanto al disco nero del sole compare qualche velatura, abbiamo visto l’eclisse più o meno nelle stesse condizioni, meglio così, siamo tutti soddisfatti!
Alle 8.34 l’eclisse termina e dopo le interviste di rito e dopo aver salutato i sorridenti indonesiani sulla spiaggia, diamo un’occhiata curiosa e incredula a qualche Limulo (antichissimi crostacei, veri e propri fossili viventi, simili ai Trilobiti), che ozia sul bagnasciuga.
Arriva quindi il momento del lungo ritorno in albergo, preceduto da una deviazione verso una cava di caolino, una sorta di argilla bianca, utilizzata in vari ambiti, dalla cosmetica, alla carta, ai dentifrici, presso il villaggio di Tanjungpandan, oggi la cava è abbandonata e riempita da un lago, che Toto vuole mostrarci per il suo impatto scenografico.
Dire che lo spettacolo che ci accoglie è sorprendente, non rende l’idea: un lago di un colore turchese pastello compare improvvisamente sotto di noi, circondato da rocce bianchissime che splendono alla luce del sole. Sembrano quasi colori artificiali, elaborati al computer con Photoshop, ma è tutto reale, il caolino è un minerale bianchissimo e questo influisce sul colore dell’acqua del lago, che diventa quasi una piscina naturale in cui è possibile anche fare il bagno.
Passeggiamo assieme a qualche turista locale, che naturalmente ci chiede di posare assieme per qualche foto, sul bordo dell’ incredibile scogliera, che separa il lago azzurro da un altro di colore verde intenso, questa volta dovuto alla presenza di vegetazione sul fondo.
Pranziamo a Koba, in un ristorante con tavolo girevole e affrontiamo con pazienza l’interminabile coda del popolo dell’eclisse di ritorno dalla festa a Peniak Beach e solo dopo 4 ore rivediamo il nostro hotel per un giusto e corroborante relax, chi in piscina, chi al centro benessere con massaggi. Rinunciamo infatti alla spiaggia di Matras Beach e alla cittadina di Sungai Liat, inizialmente previsti dal programma, poiché avrebbero richiesto altre 3 ore di auto, veramente improponibili. Anche per cena rimediamo con un vicino ristorante, piuttosto alla buona, ma soddisfacente.
10 Marzo, prima del trasferimento in aeroporto per il ritorno a Jakarta, visitiamo assieme a Toto il museo locale di Pangkal Pinang dedicato allo Stagno, che si estrae in quest’isola fin dal 17°secolo e qui, attraverso una serie di modellini, strumenti originali e fotografie impariamo la storia, le tecniche di estrazione e i vari utilizzi di questo minerale.
Toto ci racconta che l’isola di Bangka e lo Stagno sono sempre stati inseparabili, il nome stesso dell’isola deriva da “Bangka Wangka”, ovvero Stagno nella lingua locale. Dall’epoca del Sultanato Palembang, fino alla dominazione olandese e in seguito all’indipendenza del 1949, le industrie minerarie per l’estrazione dello Stagno hanno svolto e svolgono tutt’ora un ruolo primario nell’economia dell’isola.
Salutiamo quindi Toto e Bronson, ringraziandoli per la grande disponibilità e gentilezza e voliamo a Jakarta dove facciamo conoscenza con Kholid, la nuova e sorridente guida che rimarrà con noi per il resto del tour. Un nuovo autista e un assistente tuttofare ci attendono su un pullman ben più spazioso del precedente tutto a nostra disposizione, ci accomodiamo sonnecchiando fino alla città di Bogor, tra un acquazzone e l’altro…
Dopo circa 3 ore di cammino siamo a Bogor, una città decisamente più tranquilla e meno popolata della capitale (“solo” 950.000 abitanti) e con un clima leggermente più fresco, dovuto ai 300 m di quota, che insieme a piogge frequenti, favoriscono una vegetazione veramente rigogliosa, che ha il suo apice nel giardino botanico, una grande oasi verde in città che visiteremo l’indomani.
In mezzo a 5 ettari di giardini tropicali estremamente curati, si trova anche il nostro splendido Novotel, realizzato quasi interamente in legno, con passerelle, ponti e pagode nello stile tradizionale di Bogor.
Prima della cena in uno dei ristoranti all’aperto dell’hotel, ci concediamo volentieri un massaggio tipico con oli aromatici, rilassandoci finalmente dopo questo inizio viaggio decisamente impegnativo.
L’indomani, 11 Marzo, siamo pronti a visitare gli 80 ettari del giardino botanico, il Kebun Raya, che si trova vicino al palazzo presidenziale e Kholid ci lascia nelle mani della guida locale, che viene ribattezzata il Lino Banfi indonesiano, per la somiglianza con il noto comico pugliese.
Con lui iniziamo la passeggiata: Il giardino fu fondato nel 1817 da Sir Thomas Raffles che raccolse in origine le piante che i Giavanesi utilizzavano per il loro consumo famigliare o come medicamento, per studiarle e utilizzarle a scopo commerciale. In pochi anni raccolse specie da tutto il mondo, soprattutto dagli altri paesi asiatici, ma anche dall’America ed Africa, con prevalenza da zone a comunicazione o controllo olandese.
Oggi il giardino contiene più di 15.000 specie di alberi e piante tra cui 400 tipi di palme e 3.000 specie di orchidee. Ci sono numerose piante che normalmente troviamo nei nostri appartamenti a scopo ornamentale come l’Eliconia, la Dieffenbachia o l’Ilang Ilang, ma veramente curiosi sono l’albero delle salsicce, con giganteschi legumi che incuriosiscono Esther, l’albero che fa frutti verdi simili alla testa di un soldato con l’elmo e lunghe foglie da cui si può bere l’acqua piovana.
Il nostro Lino dà però il meglio di sé quando si appende ad una liana, oscillando su di noi come un novello Tarzan, riscuotendo l’ammirazione delle donne del gruppo. Terminata la visita presso il laghetto delle ninfee, riprendiamo la marcia verso Bandung, città dalle atmosfere simili a Blade Runner, in cui pernotteremo, con una sosta per il pranzo in un curioso ristorante, che ci accoglie con un grande cartello con caratteri mobili in cui viene composta all’istante la scritta Astrofili Robintur, un cordiale benvenuto che prosegue con un inchino e un colpo sul gong per ognuno di noi che entra nel locale.
Si mangia bene, non troppo speziato, con spiedini di carne e verdure, ma la strada è ancora molto lunga e dobbiamo riprendere la marcia, con un traffico che diventa via via più intenso mentre si sale ancora di quota, tra i fumi neri degli scarichi delle auto e dei camioncini e i frequenti rovesci.
Queste sono infatti fra le zone più piovose al mondo, nei pressi di Bogor è stato registrato nel XIX secolo il record mondiale di piovosità, con ben 21 giorni di pioggia ininterrotti!
Verso l’imbrunire siamo a Bandung a circa 800m e cerchiamo di parcheggiare il pullman in centro presso un parco pubblico per fare due passi a piedi, alcuni devono trovare una banca per cambiare gli euro in Rupie. Passiamo così di fianco ad un grande schermo che manda le immagini dell’eclisse, un po’ ovunque in Indonesia ci sono state condizioni meteo di grande variabilità simili alle nostre.
Bandung è il capoluogo della provincia di Java ovest, con quasi 6 milioni di abitanti è famosa per aver ospitato nel 1955 l’importante conferenza afroasiatica, in cui si proclamò l’uguaglianza di tutte le nazioni e la lotta al colonialismo. Arriviamo al nostro Prama Grand Preanger Hotel, anche questo molto bello in cui ceniamo, concludendo la lunga giornata con un giro lungo il viale principale fino alla grande e moderna Moschea, che ci ricorda come il paese sia dal punto di vista religioso di maggioranza musulmana, la più numerosa popolazione musulmana al mondo.
Tuttavia In Indonesia c’è molta tolleranza tra le religioni, tanto che nella famiglia di Kholid coesistono l’animismo, l’islam, il cattolicesimo e la religione protestante! Ciò non toglie che anche qui di recente si sia fatta sentire l’Isis, con un attentato a Jakarta che è costato una trentina di vittime e che ha fatto tentennare alcuni partecipanti al viaggio e rinunciare l’amico Bruno, già iscritto.
Il 12 Marzo, dopo colazione, siamo pronti ad arrampicarci sulle colline di Lembang, 30 km a Nord di Bandung fino allo scenografico cratere del vulcano Tangkuban Perahu. Al mattino vediamo un po’di sole, cosa piuttosto rara da queste parti, ma col passare delle ore il cielo si annuvola, senza tuttavia scaricare pioggia, finora durante le passeggiate a piedi gli acquazzoni ci hanno risparmiati, speriamo bene.
Attraversiamo risaie e terrazzamenti di un colore verde brillante ed una fitta boscaglia, l’ambiente è più curato e con meno catapecchie rispetto ai territori finora attraversati, forse è una zona più ricca grazie al turismo.
Fermiamo il pullman in un vasto parcheggio, stracolmo di bancarelle di venditori ambulanti e prendiamo un mezzo più piccolo che si arrampica in mezzo alla giungla e ci deposita quasi sulla sommità della bocca vulcanica a 1400m, pochi passi a piedi e sotto di noi si apre una gigantesca voragine, da cui si alza un sottile fumo bianco.
Kholid, con l’aiuto della traduzione simultanea di Esther, ci spiega che il nome del monte nella lingua locale sundanese, si può tradurre con “barca rovesciata” e ci racconta la leggenda di Sangkuriang, un uomo forte e giovane, che era stato separato da sua madre, Dayang Sumbi fin dall’infanzia. Un giorno il giovane si fermò in un piccolo borgo dove casualmente incontrò e si innamorò di una bella ragazza, senza rendersi conto che la ragazza era in realtà sua madre, rimasta giovane nel corso degli anni per effetto di un sortilegio.
Quando Dayang Sumbi scoprì la terribile verità, sfidò Sangkuriang a costruire una grossa barca durante una sola notte, solo allora avrebbe accettato di sposarlo. Vedendo che suo figlio stava per completare questo desiderio impossibile, pregò la divinità affinchè il sole sorgesse prima del solito. Con un gesto del suo magico scialle, Dayang Sumbi illuminò l’orizzonte orientale, con lampi di luce e ingannò il figlio.
Quando Sangkuriang si rese conto che il suo sforzo era stato vano, nella sua rabbia prese a calci la barca che si rovesciò, trasformandosi nel Monte Tangkuban Perahu.
Rimaniamo un po’ di tempo a scattare foto e a passeggiare nei pressi del cratere, assaliti da numerosi venditori ambulanti e poi torniamo al pullman per dirigerci prima ad un’immensa piantagione di tè e poi alle piscine termali di Sari Ater Hot Spring, sorgenti di acqua caldissima (42°), che sperimentiamo rimanendo a mollo per un po’. Qui facciamo conoscenza con un olandese, un curioso e gentile personaggio che rivedremo spesso nel corso del viaggio.
In queste terme c’è anche il ristorante e ne approfittiamo per il pranzo, mentre fuori si scatena il temporale più violento da quando siamo in Indonesia. Al termine del pasto, costituito come sempre da una zuppa, il satè (spiedini di carne), nasi goreng (riso saltato con verdure, carne e pesce) e gado gado (verdure con salse di arachidi), Maurilio, con sprezzo del pericolo raccoglie da terra un nero millepiedi che gli passeggia per un po’sulla mano…
Il pomeriggio lo passiamo interamente al villaggio di Padasuka per ascoltare il melodioso ma a volte inquietante suono di un’orchestra Gamelan, che comprende metallofoni, xilofoni, tamburi, gong, flauti in bambù, strumenti a corda e cori, che accompagnano uno spettacolo tradizionale di burattini.
A seguire, balli in costume e un’orchestra di musica locale Angklung, con strumenti composti da un telaio con canne di bambù che emettono scuotendole una singola nota e che fanno provare anche a noi, guidati dai gesti di un esperto maestro. Il concerto terminerà infine con l’esecuzione di brani occidentali piuttosto complicati fra cui la famosa Bohemian Rhapsody dei Queen!
Le quasi 3 ore di spettacolo entusiasmeranno in modo particolare Roberto…Torniamo quindi in hotel sotto la pioggia in tempo per la cena.
13 Marzo, ci svegliamo presto per salire sul treno che ci porterà dalla stazione di Bandung a Yogjakarta, una città distante circa 400 km, che percorreremo in 8 ore di comodo viaggio, ammirando panorami bellissimi e rilassanti: risaie con lavoratori dai caratteristici copricapi, palmeti, ma anche tanti coni vulcanici (l’isola di Java ne possiede ben 121, di cui 25 ancora attivi!) e tante tante baracche di povera gente, comunque sempre dignitosa e laboriosa, impegnata in faccende quotidiane.
E’ anche l’occasione per riposarsi e ricuperare le forze: Ferruccio e Roberto procedono in una decisa siesta, Maurilio legge attentamente “Gli errori nelle dimostrazioni matematiche”, Teresa, Serenella e Barbara sono incollate al finestrino ammaliate dal panorama ed Esther approfondisce con Kholid tutto quello che c’è da sapere sull’Indonesia.
Ad un certo punto il treno rallenta, stiamo passando nel punto in cui stanotte a causa delle forti piogge è avvenuta una frana, ma notiamo che è stata ristabilita a tempo di record da scavatrici e solerti lavoratori, una cosa impensabile in Italia…
Ci viene servito un ottimo pranzo a bordo, decisamente saporito e gustoso e poco dopo, su invito di Kholid scendiamo di corsa dal treno con trolley e valigie al seguito, qualche fermata prima di Yogjakarta perché in questo modo saremo più vicini al tempio di Borobudur e potremo visitarlo già nel pomeriggio risalendo sul nostro pullman partito la notte prima e che ora ci attende in un parcheggio. Peccato che non abbia tenuto conto del traffico, veramente bestiale, che ci fa perdere parecchio tempo e del cielo che minaccia pioggia, per cui all’unanimità si rimanda la visita all’indomani mattina.
Un tramonto infuocato accoglie il nostro ingresso in città, siamo tutti piuttosto stanchi, la giornata è stata impegnativa, ma non è nulla rispetto a quello che ci aspetta i prossimi giorni!
Arriviamo al nostro Yogjakarta Plaza Hotel, grande e scenografico come i precedenti, in tempo per scaricare le valigie ed andare a cena in un ristorante tradizionale, accompagnati dalle note e dalle cantilene di un’orchestrina Gamelan composta da antichissimi musicisti, quasi mummificati, di cui una piccola delegazione era presente in hotel.
La giornata si conclude con uno spettacolo teatrale in cui viene messo in scena il “Ramayana”, uno dei più grandi poemi epici dell’induismo, che narra le avventure del principe Rama, ingiustamente esiliato e privato della sua sposa, che tuttavia riconquista dopo furiosi combattimenti, assieme al suo regno.
I costumi sono molto belli ed anche qui non può mancare l’accompagnamento dei musici Gamelan, assieme alla voce narrante, naturalmente in stretto dialetto locale. Roberto è sempre più entusiasta.
14 Marzo, in una limpida giornata di sole si parte per l’importante visita al tempio di Borobudur, l’esempio più importante di architettura religiosa di tutto il sud-est asiatico, realizzato tra il 760 e l’825 d.C ad opera dell’architetto Gunadharma, che lo realizzò secondo precise proporzioni geometriche, armonizzando secondo la filosofia buddista le forze del microcosmo con quelle del macrocosmo.
In lontananza, il tempio sembra una collina, le dimensioni sono imponenti, una costruzione a pianta quadrata di 123m di lato X 35 di altezza, che poggia su 1.600.000 colossali blocchi di pietra grigia e che si sviluppa su 6 piani, con ulteriori 3 a pianta circolare. Ci avviciniamo attraversando un parco pieno di aiuole fiorite e farfalle colorate, seguendo la guida del tempio, che stranamente parla un po’ l’italiano e che ci accompagna lungo una ripida scalinata, mostrandoci le varie terrazze decorate con 2672 pannelli di bassorilievi e 540 statue del Buddha, una diversa dall’altra e con diverse posizioni delle mani, ognuna con un differente significato: giustizia, insegnamento, carità, ecc.
Arriviamo sudando sotto il sole e scansando un buon numero di turisti sulla sommità delle terrazze, da cui ammiriamo uno stupendo panorama con il vulcano Merapi sullo sfondo. In cima al tempio troviamo 72 statue del Buddha collocate all’interno di caratteristici Stupa forati a graticcio e a forma di campana, una statua in particolare, più grande, è al di fuori dello Stupa, ma fatichiamo a fotografarla poiché monopolizzata da uno scortese turista inglese.
La guida ci spiega che un tempo la pietra grigia del tempio era colorata per attirare la luce del sole e che il monumento fu concepito secondo la visione del buddismo tantrico del cosmo tradotta in pietra, ovvero partendo dal mondo terreno con le sue passioni e salendo a spirale verso il Nirvana, il paradiso buddista, raggiungibile solo dagli illuminati che si emancipano dai sensi attraverso la meditazione. Anche noi ci proviamo, facendo 3 giri in senso orario attorno allo Stupa centrale…ma con scarsi risultati.
Salutiamo la nostra guida che ringraziandoci per la visita, ci ricorda che il tempio fu abbandonato nel XIV secolo in seguito alla conversione dell’Indonesia all’Islam, riscoperto solo nel 1814 da Sir Thomas Raffles, allora governatore inglese dell’Indonesia e che oggi dopo pazienti restauri è divenuto patrimonio mondiale dell’Unesco.
Dopo questa interessante visita ci attende il negozio e centro di lavorazione di tessuti colorati, i cosiddetti Batik, per la gioia delle signore del gruppo. Si tratta di una tecnica usata per colorare i tessuti, mediante la copertura delle zone che non si vogliono tinte, tramite cera o altri materiali impermeabilizzanti: argilla, resina, paste vegetali, amido.
Ci sono svariati capi di abbigliamento, ma anche vere e proprie tele, con disegni e colori vivaci, opera del cosiddetto Picasso indonesiano, un ometto sulla cinquantina a cui nessuno tuttavia compra nulla.
Prendiamo quindi un pulmino più piccolo che ci deposita all’interno del “Keraton”, il palazzo reale di Yogjakarta, sede del sultano e della sua famiglia.
All’ingresso si presenta una piccola esile e raggrinzita donna anziana, che in uno stentatissimo italiano ci accompagna nella visita, raccontandoci che la provincia di Yogjakarta è l’unica governata da un sultanato precoloniale. Il Keraton è un complesso unico nel suo genere, una vera e propria città fortificata, nella quale vivono 25.000 persone, c’è pure un mercato, negozi, scuole, per i giavanesi è un vero e proprio centro culturale di aggregazione.
Il gruppo di edifici più interno, dove risiede l’attuale sultano, fu costruito nel 1755 a cui si sono aggiunti tocchi in stile europeo negli anni 20 del 900. Passeggiamo in questa calda giornata attraverso sale lussuose, padiglioni e spaziosi cortili, in cui siedono le guardie del sultano, anziani servitori con il tipico abito javanese.
E’ mezzogiorno e osserviamo le nostre ombre piccolissime, proiettate da un sole praticamente sopra le nostre teste, una prova inconfutabile che ci troviamo quasi all’equatore.
Maurilio viene redarguito dalla voce gracchiante della guida, quando calpesta la Sala dei ricevimenti (una cosa vietatissima…) e ci viene consentito di ammirarla solo da fuori, scoprendo le vetrate, i marmi decorati e le colonne in legno di teak scolpito. Terminiamo la visita con il museo, che conserva una ricca collezione di doni ricevuti dai monarchi europei, vecchie fotografie, oggetti personali e abiti del sultano Hamungkubuwono e dei suoi famigliari.
Ci congediamo dalla nostra guida cercando di capire cosa fanno i numerosi figli del sultano e attraversato un labirinto di viuzze che si affacciano su piccole e buie abitazioni piene di gabbie di uccellini, arriviamo ad un grande padiglione sotto al quale è stato allestito il nostro pranzo, allietato come di consueto dall’accompagnamento di un duo musicale Gamelan, lui che percuote i soliti strumenti e lei che gorgheggia inquietanti cantilene.
Una visita al laboratorio artigianale dell’argento, con annesso negozio per gli inevitabili acquisti, precede l’ultima tappa della giornata, a mio avviso la più interessante, quella al tempio induista di Prambanan sul far del tramonto.
La vista del complesso di guglie e templi, che si ergono in controluce è bellissima e inaspettata e ricorda il più celebre e cambogiano tempio di Angkor.
Siamo accolti all’ingresso da Eddy, un originale personaggio che ci farà da guida in questo tempio e che con l’italiano se la cava alla perfezione, addentrandosi in concetti filosofici, matematici e cosmologici sorprendenti.
Ci racconta che questo complesso di templi, fu costruito all’incirca nell’ 850 d.C. quando in quest’area governava il re Rakai Pikatan della dinastia hindu di Mataram, poi, con l’avvento della religione islamica fu in seguito abbandonato e danneggiato da svariati terremoti, l’ultimo dei quali nel 2006, che ha causato 6000 vittime a Yogjakarta.
In origine c’erano ben 232 templi e mausolei ma oggi ne rimangono in piedi solo 8 principali ed 8 minori con i più famosi dedicati rispettivamente a Brahma, Vishnu e Shiva, che dominano la visuale in mezzo a tutti gli altri.
Eddy cerca quindi di spiegarci le principali differenze tra il mondo buddista e quello induista, attraverso i cosiddetti mandala, i diagrammi cosmici: secondo quello buddista il mondo infinito rappresentato da cerchi, è racchiuso in quello finito (quadrati) ed è testimoniato dalla pianta di Borobudur, nell’induismo è invece il mondo finito ad essere racchiuso in quello infinito, il quadrato nel cerchio, come vediamo nella pianta di Prambanan.
Mentre spiega si impossessa del prezioso quadernetto di appunti di Serenella, disegnando le varie figure geometriche, Maurilio ascolta interessato ed interviene suscitando l’ammirazione di Eddy: “Lei è una persona illuminata!” Gli dice. E ridendo si muove a scatti velocemente tra le antiche pietre.
Saliamo al tempio più importante, quello di Shiva il distruttore, alto 47m e diviso in 6 livelli: al primo Eddy ci mostra bassorilievi molto elaborati che raccontano la storia del Ramayana, fra le varie figure Eddy pone l’accento su una schiera di immagini stilizzate metà uomo e metà uccello, i cosiddetti Kinnara, gli esseri celesti: quando due teste si guardano rappresentano la collaborazione e l’amicizia, quando si girano in senso opposto, il male e le guerre.
Percorrendo la scalinata est ammiriamo nella cella principale la statua di un bellissimo fiore di loto con al suo interno il dio Shiva dotato di quattro braccia. Nelle buie celle attigue ci sono diversi personaggi legati a Shiva: il suo maestro Agastya, con una grande pancia, poi Durga, la consorte e infine il figlio Ganesh, con la testa di elefante, toccando la sua proboscide secondo la tradizione, ognuno di noi aumenterà le proprie capacità cognitive.
Eddy prosegue raccontando dell’inferno indù, costituito dalle reincarnazioni e ci spiega la posizione delle braccia e delle gambe di alcune statue: l’immobilità e le gambe chiuse corrispondono alla meditazione, che diventa impossibile invece con il movimento.
La meditazione porta alla consapevolezza, lo zen, che avvicina l’essere umano alla divinità e gli fa capire il suo posto nell’universo, dice voltandosi verso Maurilio, che annuisce lentamente.
Si è fatto tardi, visitiamo in velocità i templi più piccoli di Brahma, il creatore e di Vishnu, il sostenitore e salutiamo alla fine Eddy, ringraziandolo per le perle di saggezza. Egli si dice onorato di averci conosciuto e profondamente colpito dal nostro interesse per l’astronomia: “l’astronomia è la scienza più antica, la più importante!” ci dice salutandoci.
All’uscita del tempio alcuni vorrebbero fare acquisti al mercato ma il tempo è tiranno e dobbiamo tornare all’hotel in cui naturalmente effettuiamo la cena.
16 Marzo, lasciamo Yogjakarta, una città di 4 milioni di abitanti per sostare a Solo-Surakarta, decisamente più piccola e vivibile (500.000 abitanti) pronti a visitare il palazzo reale Mangkunegaran del 1757, sempre accompagnati da una guida locale.
Questa volta togliendoci le scarpe possiamo entrare nel Pendopo, il padiglione principale, con un alto soffitto a volta affrescato dove però non ci è consentito fotografare o filmare, divieto che riguarda anche il successivo Dalem, la camera da letto nuziale del re, ora adibita museo. Qui sono esposti gioielli, armi, abiti ricoperti d’oro, medaglie, attrezzature, burattini, monete, fotografie, ma anche cinture di castità maschili e femminili ed una tigre di Java impagliata, una specie estinta purtroppo nel 1979 a causa dell’uomo. Sopravvive ancora oggi ma a rischio estinzione invece, il rinoceronte di Java.
Le signore si soffermano nel salone con la guida per l’acquisto di prodotti di bellezza e farmaceutici locali, poi riprendiamo la marcia, attraversando foreste di mogano e passando su un ponte malandato sopra il fiume Begawan Solo, presso il paesino di Trinil, importante sito del ritrovamento dell’uomo di Java (Homo Erectus) e delle sue ossa fossili risalenti ad 1,7 milioni di anni fa! Purtroppo i reperti sono stati portati a Bandung e non ci è possibile vederli.
Ci fermiamo per il pranzo in un ottimo ristorantino, in cui assaggiamo i piatti migliori dell’intero viaggio: ottimo riso e ottima carne, accompagnati dall’immancabile tè locale. Ma la strada come al solito è ancora lunga, Teresa fa un po’ di stretching ricordando gli esercizi di pilates, Maurilio racconta qualche barzelletta, Ferruccio e Roberto controllano le reciproche foto dell’eclisse, Esther traduce instancabilmente le parole di Kholid e Serenella prende appunti.
In una delle svariate soste tecniche Kholid acquista alcuni frutti locali che ci fa assaggiare in pullman, come il Mangosteen, che all’interno di un guscio violaceo, offre spicchi bianchi teneri e dolci e il Rambutan, con un involucro spinoso ed un interno gelatinoso traslucido, dolce-acidulo.
All’imbrunire siamo sempre in pullman, ci stiamo lentamente avvicinando al Monte Bromo, nostra prossima affascinante meta e nella foschia compare la sagoma grigia di un alto vulcano, il monte Surabaya, accanto ad una cittadina che fu semisepolta dal fango durante un’alluvione del 2006, situata nella provincia di Java Est, nel distretto di Jember.
Traslochiamo noi stessi e i bagagli verso le 20.00 su un pullmino più piccolo e 2 jeep 4X4, visto che salire ancora di quota lungo una strada sempre più stretta e scivolosa, diventa impossibile per il nostro mezzo, siamo tutti decisamente stanchi e indolenziti dopo tante ore di pullman.
Entriamo così fra uno scossone e l’altro nel Parco Nazionale di Bromo Tengger Semeru e al nostro alloggio, il Bromo Cottages a 1700m di quota, presso il villaggio di Tosari. Fa un po’ più fresco e l’umidità è altissima, il cielo, quasi tutto coperto fa occhieggiare qualche stella, speriamo che più tardi la situazione migliori visto che prima dell’alba sono previste le uniche osservazioni astronomiche di questo viaggio, nel corso della salita al monte Bromo, con una mostruosa levataccia alle 2.30.
Il Cottage è molto caratteristico, in legno ed immerso nella giungla con un’ampia hall dove il sorridente personale ci sta attendendo per servirci il cocktail di benvenuto, un succo caldo energetico allo zenzero dal gusto decisamente piccante, ma l’ideale per ritemprarsi un po’.
Il tempo per sistemare i bagagli nelle stanze e ci apprestiamo per la cena direttamente nel salone principale, una cena non eccezionale, che consumiamo nel silenzio di una sala buia e vuota dove siamo gli unici avventori…Alcune foto appese alle pareti ci preparano allo spettacolo che vedremo fra poche ore, il vulcano Bromo e gli altri vulcani della zona sono spettacolari, speriamo che il meteo ci assista, qui sovente piove o c’è nebbia, ma Kholid dice che pregherà per noi…
Ore 2.00, la sveglia suona, raccattiamo la strumentazione fotografica e i cavalletti preparati qualche ora prima e partiamo per l’avventura, le jeep ci aspettano assieme ad un assonnato Kholid, il cielo fortunatamente è sereno, lo Scorpione e il Sagittario sono altissimi sopra le nostre teste. Attraversiamo piccoli gruppi di case dove qualcuno è già sveglio e sta accendendo fuochi per scaldare il tè, fra poco cominceranno ad arrivare i turisti e qua l’economia si basa proprio sulle escursioni al Bromo. C’è chi noleggia auto o attrezzature da Trekking, ma non mancano le baracche con souvenir e anche alcuni ristoranti.
In genere i turisti si ammassano sul monte Penanjakan a 2770m per ammirare l’alba da lassù, ma Kholid ci consiglia un altro luogo più in basso, a 2500m e lontano da luci e venditori ambulanti in modo da agevolarci nelle osservazioni astronomiche. Dopo qualche km le jeep si fermano, dobbiamo scendere, è buio pesto e Kholid ci indica una collinetta piuttosto ripida su cui dobbiamo scarpinare. Ci facciamo coraggio e carichi di strumentazione, illuminando i nostri passi con la luce dei cellulari, piano piano arriviamo in cima.
Il cielo è stupendo, l’inquinamento luminoso trascurabile: la Via Lattea è intensa e piena di chiaroscuri con il rigonfiamento nel nucleo proprio sopra la testa, verso ovest stanno invece tramontando Eta Carinae, la Croce del Sud ed Alfa e Beta Centauri e sotto di noi ci sono i vulcani, ancora avvolti dalle tenebre della notte. Siamo gli unici quassù, fa piuttosto freddo (7°) e dobbiamo indossare maglioni, berretti col pelo, sciarpe e pesanti giubbotti che più di una volta hanno incuriosito gli addetti ai controlli negli aeroporti.
Verso nord e verso il mare incombono nubi temporalesche con lampi che illuminano l’orizzonte, speriamo rimangano dove sono, ma in ogni caso meglio affrettare le operazioni di montaggio degli strumenti, ogni secondo è prezioso.
Esther Ferruccio e Roberto sono pronti a scattare foto io prendo il laser per il consueto ripasso delle costellazioni e poi procediamo con le osservazioni col telescopio Pentax di Esther.
Prima di tutto l’imponente ammasso globulare Omega Centauri, che non vedevo dal viaggio in Perù-Bolivia del 2013, sempre eccezionale come dimensioni e quantità di stelle, uno spolverio di 500.000 soli gli uni ammassati sugli altri. Teresa, Serenella e Maurilio guardano compiaciuti, Kholid invece decide di tornare alla jeep, è infreddolito e stanco, ma comunque felice per noi.
E’ quindi la volta degli ammassi aperti M6 ed M7 nella coda dello Scorpione, visibili chiaramente come piccole nubi anche ad occhio nudo, ma che col nitido telescopio di Esther esplodono in centinaia di stelle luminose. Stesso discorso per gli ammassi che circondano la nebulosa Eta Carinae, anch’essa molto bella pur essendo ormai prossima all’orizzonte.
Non può mancare all’appello lo Scrigno dei gioielli, il colorato ammasso aperto nella Croce del sud, e naturalmente i pianeti, Giove e Saturno, sempre affascinanti al telescopio.
Verso est un’intensa luce zodiacale precede il sorgere di Venere, luminoso e gibboso all’oculare, poi lentamente inizia ad albeggiare e solo ora il paesaggio prende forma mostrandoci in quale luogo magnifico ci troviamo: nella penombra grigiastra del fondovalle compare il fumo del Bromo, un basso cono vulcanico nascosto dal bizzarro monte Batok e più lontano indoviniamo il vulcano Semeru, che con i suoi 3676m è la cima più alta dell’Indonesia. L’emozione è forte.
Sorge il sole dal mare di nubi a est accompagnato da trionfali raggi crepuscolari ed il paesaggio si illumina e si colora diventando bellissimo e strano allo stesso tempo: il Batok sembra un budino con scanalature perfette quasi fossero opera di un gigantesco pettine, il fumo bianco del Bromo prende coraggio e si fa più vistoso, ma anche il Semeru in lontananza da spettacolo, con frequenti sbuffi che si colorano di rosa, il tutto immerso in un paesaggio primordiale e selvaggio, come fossimo catapultati sulla Terra di milioni di anni fa.
Il silenzio è rotto dalle nostre grida di stupore, si fanno foto a raffica e si rivede Kholid, compiaciuto del nostro entusiasmo, la giornata non poteva essere migliore. “Se volete, c’è anche la possibilità di andare a cavallo e di salire sul cratere del vulcano Bromo!” ci chiede. Come rinunciare a questa opportunità?
Scendiamo così con le jeep in una vasta pianura di fango grigio vulcanico, il cosiddetto “mare di sabbia” e parcheggiati i mezzi, io, Ferruccio, Teresa ed Esther saliamo sui docili pony, pronti a farci trasportare alle pendici del vulcano, mentre gli altri decidono di aspettarci.
I cavalli affondano gli zoccoli nel fango, spronati dal conducente che ci segue a piedi e che li incita nei passaggi più difficili con forti pendenze in salita e discesa, fino a che ci troviamo di fronte ad un’alta scalinata, lasciamo i pony e compiamo l’ultimo sforzo prima di arrivare sulla bocca del cratere, a 2392m. E’ un luogo grandioso, con spirali di fumo acre e sulfureo che si sollevano dalla caldera, spinte dal vento in mezzo ad un paesaggio lunare. Fa impressione camminare sul ciglio di un vulcano attivo che ha eruttato l’ultima volta nel 2011, ma che anche di recente si è reso protagonista di qualche sussulto, rimanendo chiuso al pubblico fino a pochi giorni fa.
Quando il fumo diventa irrespirabile torniamo sui nostri passi rientrando al cottage per una robusta colazione, quello che ci vuole per affrontare una nuova faticosa giornata di trasferimento in pullman.
Fuori la luce è bianca e accecante, Il cottage è immerso nella nebbia, ci è andata veramente bene pensiamo, mentre scattiamo qualche foto ai vialetti pieni di fiori colorati e a grossi ragni appesi a tele grandi come lenzuola tra la vegetazione.
Risaliamo sulle jeep e Kholid ci indica piantagioni di patate e tabacco sui crinali dei monti e poco dopo carichiamo di nuovo le valigie sul nostro pullman, lasciando quindi che l’autista, veramente bravissimo si districhi ancora una volta nel traffico indonesiano, un vero incubo! Dopo la pausa pranzo nel consueto ristorante locale, costeggiamo un po’ di mare, pieno di mangrovie e pescatori in attesa su piccole barche a bilanciere, passando di fianco ad alti alberi di Tamarindo.
Ancora una volta si arriva col buio all’hotel, il bellissimo Ijen Resort, sempre immerso nella giungla, divenuta se possibile ancor più rigogliosa ed è un vero peccato non poter vedere tutto questo con la luce del sole, visto che domattina lo abbandoneremo molto presto, una nuova levataccia per avventurarci verso una nuova meraviglia: il cratere Ijen.
A cena siamo solo io Ferruccio, Roberto e Serenella, serviti con la consueta cortesia e riverenza dalle graziose cameriere, gli altri sono distrutti e già a letto in camera. Alle 4 purtroppo suona la sveglia, siamo pronti a partire con le jeep, attraversando villaggi rurali, piantagioni di caffè e chiodi di garofano, fino ad una delle ultime foreste pluviali di Java.
Con Roberto controlliamo tuttavia sullo smartphone il risultato della partita di Champions Leauge Bayern Monaco-Juventus, è finito il primo tempo e la Juve sta vincendo 2-0, speriamo bene!
E’ l’alba e il cielo si sta rischiarando quando siamo al Park Ranger Post, da qui inizierà il trekking per il cratere, due ore di cammino per coprire 400m di dislivello circa.
Consumiamo la colazione al sacco seduti su panche di legno, osservati da galli curiosi e intraprendenti in compagnia di Kholid che rimarrà lì ad aspettarci: “Siete ancora una volta fortunati!”, afferma, osservando il cielo e ci lascia nelle mani di Malik, un giovane che ci farà da guida lungo la faticosa salita.
Un passo dopo l’altro, con Maurilio ricordiamo i trekking fatti insieme in passato, il monte Sinai nel 2008, oggi improponibile a causa di cellule fondamentaliste presenti in quella zona e soprattutto le due ascese sull’altopiano del Tassili in Algeria nel 2007 e 2009, esperienze uniche che rimarranno per sempre nella nostra memoria.
Via via che si sale in mezzo alla vegetazione lussureggiante, si fanno sempre più frequenti operai che trasportano zolfo con sgangherate carriole cigolanti, lo raccolgono in cima al cratere e lo trasportano al villaggio più vicino, una fatica immane. Alcuni con la carriola vuota si offrono di caricare i turisti più stanchi ed anche a noi ci viene fatta la richiesta a più riprese, ma al momento decliniamo l’invito.
Si alternano tratti ripidi e scivolosi ad altri più comodi, la vegetazione diventa più rada e cominciano a comparire rocce con vistose incrostazioni gialle di minerali di zolfo, aumenta invece il numero di operai, alcuni si riposano dal tremendo lavoro sul ciglio della strada, Malik ci dice che la loro vita media non va oltre i 40-50 anni, sia per l’inalazione dei tossici vapori sulfurei, sia per la fatica nel trasportare fino a 80 kg per volta…poveretti!
Arriviamo in cima ed il panorama è mozzafiato, un lago azzurro tenue compare dentro al cratere Ijen, in mezzo alle nubi e alle fumarole gialle che fuoriescono da alcune rocce sul bordo del lago stesso. Ci incantiamo in silenzio a guardare questo ennesimo prodigio della natura. “Spettacolare…”, sussurra Maurilio.
Il lago craterico è conosciuto come il più grande lago acido nel mondo, con un ph dell’acqua di 0,5 dovuto alla presenza di acido solforico e cloridrico, sostanze mortali per chi vi si volesse immergere. Queste acque velenose defluiscono anche nel fiume Banyupahit, con conseguente inquinamento purtroppo dell’ecosistema della valle.
Alcuni minatori ci passano a fianco col loro pesante carico, lo estraggono proprio laggiù di fianco al lago, in mezzo ai vapori venefici e al calore della lava sulfurea, che si dice di notte assuma una strana luminescenza bluastra. Mossi a compassione, compriamo un po’ di minerale da un venditore che lo trasporta in grandi ceste di bambù appese ad un bastone caricato in spalla e ci fa un sorriso a 36 denti. Poco dopo, con un cambio di direzione del vento siamo investiti dalla nube solforosa che ci fa tossire e lacrimare, inducendo il nostro gruppo ad un veloce ritorno. Per pochi minuti abbiamo provato ciò che questi sfortunati subiscono tutto il giorno, tutti i santi giorni…
Di ritorno alle jeep siamo molto soddisfatti per i risultati fotografici del nostro trekking, un po’ meno io e Roberto per il risultato finale della partita (4-2 per il Bayern…) e seguiamo un sorridente Kholid che ci mostra con orgoglio una piantagione di caffè sulla strada. Siamo rassegnati ad una nuova estenuante giornata in pullman interrotta solo dal pranzo e da una breve sosta presso un pittoresco matrimonio lungo la strada, poi saliamo col nostro mezzo su un ferry boat diretto all’isola di Bali. La distanza da coprire sullo stretto di Bali fino a Gilimanuk è brevissima ma il traghetto ci mette un secolo a causa del traffico di barche in fase di approdo.
Siamo veramente esausti, complice anche il clima caldo e afoso, ma per fortuna l’impatto con Bali risolleva un po’ il morale, accanto alla strada che costeggia il mare, ci sfilano una serie di suggestive abitazioni con giardini, ognuna col suo pittoresco tempio, che testimonia la predominanza in quest’area della religione induista, tutto è ora più ordinato e pulito. Kholid prende il microfono, che poi passa ad Esther per la traduzione: ”Bali è un’isola di 150kmX112km con più di 4 milioni di abitanti, in cui il turismo la fa da padrone, tutti gli occidentali che non avevamo visto a Java, sono infatti concentrati qui!”
Sempre col buio arriviamo al nostro hotel sul mare, il Prama Sanur Beach, a Sanur nei pressi della famosa località di Nusa Dua e qui salutiamo il nostro Kholid, l’autista ed il suo aiutante ringraziandoli per la professionalità e per il loro prezioso aiuto. Una cena all’aperto con un ottimo dolce a base di cocco mette il suggello a questa intensa giornata.
19 Marzo, un cielo blu limpidissimo saluta il nostro ultimo giorno di permanenza in Indonesia, che decidiamo di passare in totale relax con un’ottima colazione vista mare e vita da spiaggia, sprofondando sui lettini sotto le palme. Alcuni provano a fare il bagno, ma l’acqua si rivela torbida e povera di pesci, per cui su consiglio di Esther, prendiamo una piccola barca a motore per dirigerci alla vicina isola delle tartarughe marine, un centro di salvaguardia e recupero di questi rettili.
Lungo il percorso c’è il tempo per un po’ di snorkeling al largo in un’acqua questa volta più pulita e ricca di pesci colorati, attirati anche dal mangime che ci viene fornito dai barcaioli. Sul fondo ci sono spugne, qualche corallo e alcuni turisti che si muovono al rallentatore con lo scafandro e l’attrezzatura da palombari! Notiamo anche diverse stelle marine, che ad una attenta analisi risultano però di plastica, no comment!
Arrivati sull’isola osserviamo alcuni stanchi esemplari di tartarughe all’interno di questo centro, in cui è presente anche un minizoo con varani, istrici, volpi volanti, tucani e serpenti e proprio questi ultimi, pitoni per la precisione ci vengono messi al collo per foto ricordo piuttosto inquietanti.
Di ritorno pranziamo in un gazebo sulla spiaggia con una pizza indonesiana all’ananas, tutto sommato mangiabile e passiamo il resto del pomeriggio riposando in attesa del lungo volo notturno, che ci porta di nuovo a Dubai, sorvolando il famoso hotel “La vela” e le isole artificiali a forma di palma e infine atterriamo a Malpensa con una rotta che ci porta anche sopra le montagne innevate dell’Iran.
Porteremo con noi i ricordi di un bellissimo viaggio e di una bellissima eclisse che le geometrie orbitali hanno voluto ambientare in una sorprendente costellazione di culture e tradizioni, una terra avvincente e ricca di diversità, un concentrato di gruppi etnici e religiosi che vivono in sintonia fra loro e una fonte inesauribile di meraviglie storiche, panorami, suoni e bellezze. Ma soprattutto la terra di un popolo dalla gentile e genuina ospitalità raramente riscontrata in altri viaggi in giro per il mondo.
LE FOTO SONO DI: Teresa Cavalletti, Esther Dembitzer, Massimiliano Di Giuseppe, Roberto e Serenella Iorio, Barbara Scura e Ferruccio Zanotti