di Massimiliano Di Giuseppe
L’ultimo viaggio di questo intenso 2015 astronomico, ha come meta l’Andalusia spagnola e il poco noto deserto di Tabernas in cui tenteremo di osservare la pioggia delle Geminidi, le meteore dicembrine che difficilmente deludono le aspettative.
Il 9 Dicembre, all’aeroporto di Malpensa, siamo solo in 4, oltre al sottoscritto, le veterane Marica Draghetti, Esther Dembitzer e la nuova adepta Teresa Cavalletti, pochi ma buoni e determinati!
Dopo un breve e tranquillo volo siamo a Malaga, capoluogo dell’Andalusia, in cui ci incontriamo con l’ultimo partecipante proveniente da Roma, il vecchio amico Roberto Iorio, con Jose, la nostra eccellente e coltissima guida e con Xavier, il simpatico e gioviale autista, che ci accompagneranno in un tour panoramico della città.
Saliamo innanzitutto al “Parador” la collina presso il Castillo di Gibralfaro e anche se la giornata è un po’grigia e nuvolosa, godiamo di una bella vista sulla città, sulle antiche vestigia dell’Alcazaba e della Cattedrale, e sulla Costa del Sol ed il Mediterraneo, tra boschi di pini marittimi e profumo di salsedine.
La temperatura è gradevole (19°) nonostante l’autunno avanzato e scesi in città, camminiamo serenamente tra le viuzze di Malaga e le sue belle piazze, come Plaza de la Merced, in cui si trova la casa natale di Pablo Picasso e Plaza de l’Obispo, adornata con rosse e vivaci piante di Stelle di Natale, proprio dietro al Palazzo Episcopale e alla Cattedrale dell’Incarnazione (1528) detta la Manquita, poiché le manca la torre di destra.
Jose, che si fa per comodità chiamare Giuseppe o Beppe, è prodigo di spiegazioni, soffermandosi sullo stile degli edifici e sulla storia del paese antica e recente, dimostrando una grande erudizione ed una conoscenza perfetta di svariate lingue, compreso l’arabo!
Ci svela ad esempio particolari curiosi, come il termine Andalusia, che deriverebbe dall’arabo Al-(V)Andalus, la terra dei Vandali, il popolo che anticamente transitò in queste zone e si sofferma sul mudejar, lo stile architettonico veramente unico degli edifici di questa zona, una mescolanza di arte cristiana e musulmana.
Con andatura tranquilla ma costante, da buon camminatore, Josè procede tra i vicoli e i negozietti di uva passa, con cui si producono ottimi vini passiti e noi lo seguiamo diligenti, come un gregge che segue il suo pastore…
Ecco il Teatro Romano, proprio sotto l’Alcazaba, l’antica fortezza-palazzo musulmana di epoca nasride (XIII sec.), la chiesa di Santiago, il palazzo Comunale e per finire, la piazza della Costituzione il cuore nevralgico della città, oggi abbellito dalle decorazioni natalizie, che ritroviamo anche nel vicino locale El Pimpi, un’antica osteria in cui hanno transitato tantissime celebrità.
Mentre cala l’oscurità veniamo condotti a Torremolinos, vicina località marittima e al nostro bell’hotel Cervantes, in cui riposiamo un po’ prima della cena a buffet e di un giro lungo il viale principale, che ci fa ammirare la vegetazione tropicale della zona: palme, banani ma soprattutto i curiosissimi alberi bottiglia, con una particolare forma panciuta del fusto, dovuta ai liquidi immagazzinati.
10 Dicembre, di buon mattino siamo pronti a partire in pullman per Siviglia, una delle più belle città spagnole, il cielo è velato e fa un po’ più fresco di ieri, attraversiamo un paesaggio collinare in cui banchi di nebbia si alternano a distese infinite di ulivi e vigneti, i prodotti agricoli principali del paese.
Alzandoci di quota Josè ci fa notare la grande varietà dei colori del terreno di queste zone, dovuta ai diversi minerali che lo compongono, soprattutto il rosso e il bruno del ferro e quando giungiamo al passo di Anteguera, notiamo in lontananza il profilo di una montagna che ricorda in modo perfetto una testa di indiano d’America, con tanto di capelli, gola e pomo d’Adamo!
Entriamo a Siviglia dal ponte sul fiume Guadalquivir e percorriamo il largo ed elegante viale delle ambasciate fino alla prima tappa della giornata, nei pressi della rotonda del Cid Campeador: la Piazza di Spagna, un’enorme piazza di 50.000 mq a forma di semicerchio con un diametro di 200 metri che culmina in due alte torri alle estremità.
Questa piazza, ci dice Josè, si deve all’architetto Annibale Gonzalez, che in occasione dell’Esposizione Iberoamericana del 1929, volle mostrare a tutto il mondo cos’era la Spagna in un unico monumento!
La piazza è veramente magnifica, una delle più belle che abbia mai visto, elegante, in stile neomoresco, decorata in mattoni a vista, marmo e ceramica che danno un tocco rinascimentale e barocco, è percorsa addirittura da un canale navigabile sormontato da 4 ponti, quasi una piccola Venezia.
Non sorprende che George Lucas l’abbia utilizzata come set nell’estate del 2000 per girarvi alcune scene dell’Episodio II di Star Wars “L’attacco dei cloni”, ambientate sul raffinato pianeta Naboo.
Josè si ferma accanto all’impressionante portico semicircolare sormontato da balaustre e ci mostra alla base una serie di panchine decorate con maioliche e mosaici che raffigurano le 54 province spagnole e i principali eventi storici.
Poi ci lascia liberi di passeggiare per un po’ nella piazza, tra ponticelli, torri, carrozze coi cavalli, fino al suo centro in cui si trova una bellissima fontana. Il cielo si sta completamente rasserenando.
Lasciamo a malincuore questa piazza per dirigerci al quartiere di Santa Croce, il Barrio de Santa Cruz, forse il più suggestivo angolo di Siviglia con piazzette raccolte, belle chiese barocche, la casa del pittore Murillo ed il quartiere ebraico pieno di viuzze.
Da qui approdiamo come per magia davanti alla cattedrale di Siviglia, la più grande cattedrale gotica del mondo ed il terzo edificio religioso per dimensione dopo la basilica di S.Pietro in Vaticano e la cattedrale di Saint Paul a Londra. Ci avviciniamo passando da un portico sul cui soffitto sono curiosamente appesi un coccodrillo impagliato e zanne d’elefante, regali di Alfonso X.
L’impressione di grandiosità è evidente sia nel cortile degli aranci, da cui si può ammirare la Giralda, il minareto in stile Almoiade dell’antica moschea su cui fu costruita la cattedrale, che all’interno, con 5 altissime navate, l’imponente Pala dell’altare maggiore, La Sacrestia, il coro in legno di mogano, due grandi organi del 1600 e la tomba di Cristoforo Colombo.
Seguiamo le scrupolose spiegazioni di Josè mentre i nostri passi riecheggiano nella penombra, sui lucidi marmi della cattedrale, poi usciti all’esterno guardiamo l’orologio: è ora di pranzo!
Su consiglio di Marica proviamo le Tapas, tipici stuzzichini della cucina spagnola, serviti in piccole porzioni, ma in tantissime varietà, tanto da comporre insieme un pasto completo e nel bel locale in cui ci sediamo ci vengono servite fra le altre, Tapas a base di carne di pavone, guanciale, calamari, fritto misto, ma anche coda di toro e alghe!
Tutti alla fine sono molto soddisfatti anche se un po’ appesantiti. Sempre con il conforto delle spiegazioni della nostra guida camminiamo fino, all’Alcazar, la fortezza reale, un tempo forte dei mori e successivamente ampliato da Pietro I di Castiglia a partire dal 1364 in stile mudejar. Purtroppo riusciamo a visitarla solo parzialmente a causa delle riprese della famosa serie televisiva “Il trono di spade” che stanno girando al suo interno (no comment!).
Passando dalla Puerta del Leon, accediamo così al grande cortile della Monteria, dove il re radunava i cavalieri prima di andare a caccia, poi entriamo in un salone laterale in cui sono conservati numerosi arazzi e antiche carte geografiche, proseguendo poi negli immensi giardini.
Tra labirinti di siepi, altissime palme, magnolie e terrazze in cui sono raccolte una grande varietà di piante e fiori, notiamo la combinazione degli stili dei giardini italiani, arabi e francesi, in particolare nel giardino dell’Estanque (dello stagno), con al centro una vasca con giochi d’acqua ed una statua di Mercurio. Anche in questo caso set di Star Wars, questa volta nell’Episodio I La minaccia fantasma.
Uno sguardo da lontano al palazzo del governo e ad alcune scuole di Flamenco e siamo di nuovo sul pullman con destinazione Torremolinos, che troviamo di nuovo immersa nell’umida nuvolaglia.
L’indomani, 11 Dicembre, ci attende la visita di Cordoba, un’altra importante meta di questo tour in Andalusia e come ieri, usciamo a rivedere il sole non appena superiamo il passo di Anteguera. Dopo un’oretta di comoda autostrada, Josè ci mostra in lontananza il profilo scuro della Sierra Morena, segno che siamo quasi arrivati a destinazione.
Già ad un primo impatto dal pullman, Cordoba ci appare come una città ricca di storia, con il ponte romano sul Guadalquivir, l’imponente Mezquita, la Moschea-Cattedrale e le intatte mura merlate lungo il Viale della Vittoria. Una città millenaria dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco con un’eredità storico-artistica derivante dalle diverse culture che qui si sono susseguite: capitale dell’Hispania Citeriore durante l’impero romano e poi del califfato degli Omayyadi.
Ci incamminiamo a piedi, Josè si liscia i baffi ed inizia a descriverci le meraviglie della città. Si comincia dalla La Plaza de las Tendillas, la Piazza delle piccole botteghe, così denominata perché un tempo popolata da molti piccoli negozi, qui ancora oggi vi convergono le principali vie commerciali. Si tratta di una piazza molto frequentata, che ospita ogni anno la celebre “Festa dell’uva” dove è consuetudine mangiare dodici chicchi d’uva per gli ultimi dodici secondi dell’anno, scanditi dal caratteristico orologio le cui campane sono state sostituite, da accordi di chitarra che riproducono melodie di flamenco. Al centro della piazza sorge il monumento equestre al generale Gonzalo Fernandez de Cordoba, “El Gran Capitan”.
A pochi isolati di distanza, raggiungiamo i resti di un antico tempio romano rinvenuto negli anno ’50 e risalente alla metà del I secolo d.C., a cavallo tra l’Impero di Claudio e Domiziano, probabilmente la sua funzione era quella di celebrare il culto imperiale.
Poco dopo ecco la Plaza de la Corredera del XVII secolo, una bella ed ampia piazza di forma rettangolare in cui si svolgevano le corride, vicina al mercato ortofrutticolo e del pesce. Qui Josè ci mostra un frutto tropicale chiamato chirimoya, dalla polpa bianca e dai grossi semi neri, che incuriosisce Teresa.
Una breve pausa in qualche negozietto di souvenirs, primi fra tutti i ventagli, mentre Josè si beve la consueta Coca Cola e riprendiamo la marcia tra piccole stradine, case basse con inferriate alle finestre e chiesette bianche, fino alla bella Piazzetta del Potro, con al centro una fontana del 1577 coronata da un puledro che da il nome alla piazza. Proprio qui, in una locanda che esiste ancora oggi, trovò alloggio Miguel de Cervantes, il celebre autore del Don Chisciotte della Mancia.
A questo punto, mentre ci stiamo avvicinando alla Mezquita, nostra prossima meta, perdiamo Esther nel dedalo di vicoletti e a nulla vale tornare indietro svariate volte rifacendo la strada a ritroso. Il suo telefono è staccato e dopo averla attesa un po’ davanti all’ingresso della Mezquita, Josè decide di fare un ultimo tentativo e ci lascia in compagnia della bella Nani, con lei inizieremo la visita della Juderia, il quartiere ebraico, mentre lui cercherà Esther.
Procediamo così, scoprendo una bella trama di strette vie e cortili bianchi con tantissimi vasetti blu di fiori appesi alle pareti, fino ad arrivare alla Sinagoga del XIV secolo in stile mudejar, nei pressi della quale si trova la statua del filosofo ebreo Mosè Maimonide, a testimonianza di come la città fosse anche un centro intellettuale del sapere e della conoscenza, che ha visto nascere tra l’altro figure come Seneca ed Averroè.
Ma ecco in lontananza con passo veloce arrivare Esther e Josè, che si ricongiungono alla comitiva, la nostra compagna di mille avventure purtroppo ad un certo punto ci aveva perso di vista e temeva di non trovarci più, ma tutto è bene quel che finisce bene.
Seguiamo gli inconfondibili pantaloni gialli a pois verdi di Nani tra i vicoli sempre più stretti fino ad arrivare all’altare della vergine delle lanterne, in una suggestiva piazzetta al termine dell’omonimo vicolo, letteralmente tappezzato di piccoli vasi di fiori con lo sfondo del minareto della Mezquita, magnifico!
Entriamo finalmente in quello che è definito il monumento più importante dell’arte islamica in Europa, la Mezquita di Cordoba. La straordinarietà di questa moschea-cattedrale deriva dal fatto che alla bellissima costruzione musulmana si sono aggiunti stili rinascimentali, gotici e barocchi. L’edificio attuale è il prodotto di una moschea iniziale costruita dal califfo Abd al-Rahman I sulla basilica visigota di San Vicente del VI secolo, che è stata ampliata poi da Abd al-Rahman II, Al Hakam II ed Al Mansur, a partire dal 785.
Siamo veramente stupiti da una spettacolare infinità di colonne (circa 850) con archi sovrapposti, di marmo e granito che formano una serie alternanze di pietra bianca e rossa. Le colonne e i suoi archi sembrano degli alberi di palme che si aprono a ventaglio nell’enorme sala. Nani, sempre professionale, ci mostra un elemento di grande rilievo all’interno della moschea, la qibla, il muro orientato verso la Mecca e il mihrab, di suggestiva bellezza, ovvero la nicchia che custodisce il corano.
Nel XIII secolo il cristianesimo trasformò in parte l’edificio e per volontà di Ferdinando III furono soppresse alcune colonne al posto delle quali sorse la pianta a croce latina della prima cattedrale e le cappelle. Tra queste le principali sono la Capilla de Villaviciosa detta anche Lucernario che rappresenta il sontuoso ingresso all’oratorio di Al Hakam II e la Capilla Real decorata con stucchi mudejar e mosaici dorati.
Ancora abbagliati da tanta magnificenza, terminiamo la visita con il tesoro della cattedrale e con il cortile degli aranci, un enorme spazio ricco di arcate, alberi e fontane in cui salutiamo Nani, presi di nuovo in consegna dal nostro Josè, che ci fa riflettere come in questo caso l’amore per l’arte e la cultura di alcuni governanti abbia impedito la distruzione dell’antica moschea e anzi l’abbia integrata con ulteriori elementi architettonici, rendendola un tesoro veramente unico.
Dopo un pranzo al 101 tapas, in cui stavolta ne assaggiamo per citarne alcuni, al salmone, prosciutto serrano e tortillas di patate, passeggiamo un po’ nel tepore della giornata limpidissima accanto al ponte romano, prima di tornare nuovamente a Torremolinos, in cui concludiamo la giornata con balli e musica.
12 Dicembre, sbirciando fuori dalla finestra della hall dopo la colazione, ci appare un bel sole, speriamo che il cielo si mantenga così, visto che stasera in teoria abbiamo le prime osservazioni astronomiche dal deserto di Tabernas. Salutiamo i puntualissimi Josè e Xavier che sono pronti a condurci a Granada e salutiamo Torremolinos, stasera si dorme nel deserto!
Dopo un comodo viaggio in cui lentamente si sale di quota, abbiamo Il primo impatto emozionante con Granada dal punto panoramico Mirador San Nicolàs, nell’antico quartiere dell’Albaicìn: in mezzo alle brume, in controluce, ai piedi della Sierra Nevada, emerge di fronte a noi l’inconfondibile architettura araba dell’Alhambra, circondata dalle sagome turrite di numerose chiese. Sopra di noi un cielo blu limpidissimo in cui si diffondono le note di flamenco di menestrelli locali.
Scendiamo le stradine strette e tortuose, in quest’atmosfera gitana, tra i carmenes, le ville con giardini moreschi circondate da alti muri bianchi, incontrando qua e là bellissimi scorci e alcune chiese in stile nazaries, lo stile tipico di Granada, come quella di San Salvador e di San Miguel Bajo.
Arriviamo fino alla bella cattedrale gotica, davanti alla quale si sta celebrando un matrimonio e con i minuti contati andiamo a mangiare un panino in una salumeria dotata di bar ristoro, scelta dettata dal desiderio di Teresa e Marica di acquistare il famoso prosciutto Patanegra, tipico della zona.
Purtroppo la lentezza dell’inserviente consentirà solo a Teresa di portare a termine l’impresa, ma ora dobbiamo assolutamente ripartire, Josè è impaziente, non possiamo mancare l’appuntamento delle 14.00 all’Alhambra, lì sono severissimi e non ammettono ritardi, pena la cancellazione della visita.
Siamo puntualissimi, ma all’ingresso sorge un problema, il nostro codice a barre con la prenotazione non viene letto e siamo rimandati indietro, ci vuole tutta l’esperienza e le conoscenze di Josè per risolvere l’inghippo e farci comunque accedere all’antica cittadella.
Questo gioiello dell’arte araba a Granada, eretto fra il XIII e il XV secolo dagli emiri nasridi, oggi dichiarato patrimonio dell’Unesco, comprende all’interno delle alte e rosse mura, numerosi ambienti collegati tra loro mediante patii, giardini e fontane.
Cominciamo la visita dai Jardines e dall’Alcazaba, di cui oggi sopravvivono i bastioni e alcune torri, passando di fianco al Palazzo di Carlo V, alla chiesa di S.Maria de la Alhambra, a numerosi alberi di melograno, simbolo della città e siepi finemente lavorate.
Ci mescoliamo ai numerosi turisti, prima di entrare nello stupendo Palacio Nazaries, esibendo nuovamente il ticket. Composto da 3 edifici, il primo è il Mexuar, con la sala più antica, destinata alle udienze, una stanza sopraelevata, da cui il sultano poteva ascoltare senza essere visto ed una piccola abitazione, che serviva da sala di preghiera, dalla quale Josè ci indica in lontananza l’Albaicìn e la collina del Sacromonte, il vecchio quartiere zingaro della città, dove molte persone vivono ancora, per scelta, in caverne scavate nella morbida roccia.
Usciamo nel Patio del Quarto Dorado (la Camera d’oro), in cui si trova l’ingresso del Palacio de Comares, il secondo edificio, riconoscibile dalla facciata decorata con piastrelle, stucchi e intarsi e qui Josè dà sfoggio della sua conoscenza della lingua araba, traducendo ogni iscrizione che troviamo sulla nostra strada.
Il Palacio de Comares, costruito per l’emiro Yusuf I, era la residenza privata del regnante. Al centro del palazzo si trova il bellissimo Patio de los Arrayanes, il Patio dei Mirti, con la sua incantevole vasca. All’interno della torre de Comares, la torre settentrionale dell’edificio, si trovano invece la Sala de la Barca (sala di ricevimento o oratorio) e il Salon de Comares dagli splendidi soffitti in legno di cedro con rappresentati i setti cieli dell’Islam e finestre con vetrate colorate chiamate appunto “comares”.
Siamo affascinati dalle delicate decorazioni, dagli azulejos e dagli stucchi merlati che sembrano pendere dall’alto come stalattiti. Ovunque ci sono stucchi decorati con motivi di conchiglie, fiori di lilla, stelle ed iscrizioni.
Infine, in un’escalation di bellezza, il terzo edificio, il Palacio de los leones, che ospitava l’harem reale e con l’omonimo patio circondato da un portico con 124 colonne dal fusto sottile, un po’ in stile indiano e con al centro una meravigliosa fontana in marmo con le 12 bocche dei leoni. Non a caso Il palazzo rappresenta il paradiso islamico, diviso dai quattro canali che convogliano l’acqua fonte di vita nella fontana.
A conclusione di questa impegnativa camminata, a cui Josè è evidentemente abituato, ci aspettano i giardini del Generalife, tra sentieri, laghetti, fontane, siepi e fiori. Nel Generalife si trovava anche la residenza estiva dei governanti arabi, con il bel Patio de la Acequia, dove c’è una fontana ottocentesca, e il Jardin de la Sultana, con un tronco di cipresso di circa 700 anni.
Un ultimo sguardo al bel panorama sulla città, sulla pianura e sulla Sierra Nevada, da uno dei terrazzi dei giardini e salutiamo Granada, risalendo sul pullman con destinazione Tabernas.
Il sole al tramonto ci coglie all’ingresso del deserto, a Guadix, con il paesaggio che cambia bruscamente e diventa arido, molto simile all’Arizona, non a caso questi luoghi sono stati scelti come set di numerosi “spaghetti western”. Eleganti pale eoliche si alternano a pinnacoli di arenaria erosa dal vento, il cielo ed il paesaggio si confondono in unico colore rossastro. Quando entriamo a Tabernas ed al nostro alloggio Casa Rural Jardin del Desierto il cielo si sta però decisamente annuvolando, chissà se stasera riusciremo ad osservare qualcosa….
Siamo accolti da Guillermo, il proprietario che ci invita calorosamente nel suo piccolo ma delizioso alloggio, mostrandoci le nostre stanze, tutte molto curate e arredate con gusto, aiutandoci con i bagagli. Gli addobbi e l’albero nella sala ci ricordano che il Natale è vicino, l’atmosfera casalinga ci fa sentire bene mentre la moglie apparecchia la tavola per la cena.
Stasera ci dice Guillermo zuppa di legumi con crostini di pane fritto e paella! Si passa la serata in allegria prima di un giretto in paese con Roberto e Marica, in cui notiamo gli svariati manifesti di film western che si alternano a quelli elettorali, fra tutti spicca il candidato del PSOE, un giovane che aveva già fatto sospirare anche nei giorni scorsi le donne del nostro gruppo.
In quel momento comincia a cadere qualche goccia di pioggia, fatto rarissimo da queste parti, ma che conferma il nefasto potere meteo degli astrofili e che convince tutti ad andare a dormire, stasera niente osservazioni…
Il mattino del 13, il cielo per fortuna è tersissimo e dopo un’abbondante colazione servitaci naturalmente da Guillermo, siamo pronti per addentrarci nel deserto di Tabernas. Ci troviamo 30 km a nord di Almeria, nella zona più arida dell’Europa occidentale, dove un susseguirsi di rilievi aridi e inospitali, colline erose, e aspri canyon si aprono sui rilievi della Sierra Nevada e della Sierra de Filabres. Proprio lassù in cima spuntano le bianche cupole dell’osservatorio di Calar Alto, che visiteremo nel pomeriggio. E’ doverosa una foto di gruppo.
Il regista Sergio Leone, colpito dalla morfologia del territorio, ha scelto questo deserto, l’unico nel Vecchio Continente, per girarvi negli anni ’60 alcuni dei suoi spaghetti western più famosi come “Per un pugno di dollari”, Per qualche dollaro in più” e “Il buono, il brutto e il cattivo”.
A cavallo tra il 1960 e il 1970 Tabernas è stato infatti il set ideale per le riprese di oltre 300 film western, con attori del calibro di Clint Eastwood, Charles Bronson, Alain Delon, Henri Fonda, Yul Brinner, Bud Spencer & Terence Hill, ma anche per film storici e d’avventura come “Lawrence d’Arabia” e “Indiana Jones e l’ultima crociata”.
Tre vecchi set sono rimasti intatti come allora, il più famoso dei quali è Mini Hollywood, all’interno del Parque Oasys, un parco tematico con una superficie di 30 ettari che ospita anche una riserva zoologica con 800 animali di 175 specie diverse e che ci apprestiamo a visitare.
Entriamo sulle note di Ennio Morricone in questo tipico villaggio polveroso del vecchio West e ci si guarda attorno: non manca niente, c’è il saloon, ci sono gli uffici dello sceriffo con le prigioni e la banca, il vecchio negozio del barbiere, ma anche il piazzale dove sfidarsi a duello. Attorno si aggirano su cavalli pigri attori e stuntman con perfetti costumi da pistoleri, siamo solo noi e loro, qualche folata di vento alza e fa rotolare lontano piccoli cespugli, il sole ci scalda nonostante la stagione, sembra proprio di essere in un film Western…
A questo proposito con Marica si ricorda il recente incontro con l’attore Terence Hill, l’indimenticabile “Trinità”, conosciuto nei pressi di Dobbiaco, mentre girava alcune scene della fiction “Un passo dal cielo”, in cui veste i panni di un ranger detective e intanto entriamo nel saloon del villaggio a bere qualcosa passando di fianco a ballerine in costume che si stanno preparando per il “can can”.
Marica e Teresa decidono di posare, presso un vicino negozietto per qualche foto in abiti d’epoca e convincono anche me ed Esther a fare altrettanto in modo da portarci a casa un ricordo simpatico e alternativo. Procediamo nella visita passando di fianco al piccolo cimitero ed entriamo nel museo delle carrozze e nello zoo, mentre il pubblico sta decisamente aumentando, fra poco inizierà lo spettacolo di Mezzogiorno nell’ampio piazzale polveroso di fronte al saloon, non possiamo perderlo.
Arrivano le comparse che danno vita con l’adeguato sottofondo musicale, alle scene tipiche dei western: risse, duelli con la pistola, rapine alla banca, inseguimenti a cavallo, fino all’arresto con impiccagione del bandito da parte dello sceriffo. Uno spettacolino ben fatto che strappa applausi a scena aperta dal pubblico presente sulle gradinate.
Dopo il pranzo a buffet in un ristorante del parco, siamo pronti per salire sulle montagne e visitare il famoso osservatorio di Calar Alto, una visita resa possibile grazie alla disponibilità del dr. Santos Pedraz, che ci consente un privilegio normalmente riservato solo ai professionisti del settore.
Mentre si sale ai 2168m dell’osservatorio il terreno brullo e rossiccio inizia a popolarsi di pini marittimi, che diventano boschi quando raggiungiamo la cima, purtroppo avvolta dal grigiore delle nubi, da cui emergono come sospese nel vuoto le cupole bianchissime dei telescopi. Fa piuttosto freddo e solo qualche caprone si aggira tra gli alberi sul terreno in pendenza.
Attendiamo pochi minuti di fronte alla cupola del telescopio principale l’arrivo di Gilles Bergond, un giovane astronomo che ci farà da guida in questo vero e proprio tempio dell’astronomia iberica. Si presenta sorridendo e mentre facciamo conoscenza ci invita ad entrare all’interno dell’edificio. “Il nome ufficiale dell’osservatorio è CAHA” ci dice Gilles salendo le scale, “Centro Astronómico Hispano-Alemán”, fondato nel 1973 in base ad un accordo tra il governo spagnolo e quello tedesco. Fino al 2005, l’osservatorio apparteneva esclusivamente al Max Planck Institute di Heidelberg, ora è gestito per un 50% anche dall’Instituto de Astrofísica de Andalucìa”.
“Si tratta del più grande complesso astronomico dell’Europa continentale”, continua Gilles “e possiede telescopi e strumenti all’avanguardia, che permettono alla comunità scientifica ricerche di punta in campo astrofisico!” Apre una porta che dalla sala controlli comunica col telescopio da 3,5m in funzione dal 1984 ed il bestione troneggia improvvisamente di fronte a noi, bellissimo, verniciato in azzurro, con una possente forcella, che sostiene l’enorme peso (400t) e gli permette precisissimi movimenti. E’ il telescopio più grande sul suolo europeo.
Josè mi si avvicina: “Meraviglioso, è la prima volta che vedo una cosa del genere!” Xavier lo segue a bocca aperta.
Siamo tutti entusiasti mentre scattiamo le foto di rito su una balaustra in posizione sopraelevata sullo strumento, mentre Gilles prosegue nelle spiegazioni: “la configurazione ottica è Ritchey-Cretièn, su montatura equatoriale, con specchi di qualità molto buona e negli ultimi anni si è passati da un sistema ottico adattivo a quello attivo. Qui si raggiunge la magnitudine limite 25 e si possono osservare oggetti lontani 1 miliardo di anni luce!”
Usciamo su uno stretto passaggio all’aperto in cima alla cupola e appoggiandoci alla ringhiera, nel vento freddo di una giornata ostile, ammiriamo le altre cupole più piccole, che ospitano i telescopi da 2,2 m, da 1,5 m (di proprietà della OAN di Madrid) da 1,23 m e da 80 cm (un Riflettore Schmidt). Quest’ultimo viene utilizzato in remoto in collaborazione con l’ESA (Agenzia Spaziale europea) per la sorveglianza dei NEO (Near Earth Objects), comete o asteroidi le cui orbite, possono intersecare o avvicinarsi molto a quella del nostro pianeta diventando quindi potenzialmente pericolosi.
Naturalmente questo luogo è stato scelto anche per il limitato inquinamento luminoso oltre che per il clima favorevole. Osservando il cielo plumbeo chiediamo a Gilles la percentuale di notti serene all’anno e ci risponde un 70% abbondante. “Purtroppo stasera le previsioni non sono confortanti”, rivela “Avete un po’ di malasuerte!” Già, ha ragione, sarebbe però seccante non osservare nulla, proprio questa notte e quella successiva che rappresentano il clou della pioggia delle Geminidi. Guardando le nostre facce, Gilles cerca di rincuorarci e si augura che possa accadere un miracolo e che il cielo si possa aprire, consentendoci di godere di un bello spettacolo.
Torniamo dentro e ci soffermiamo su un sofisticato strumento collegato al telescopio principale, ovvero “Carmenes”, costituito da 2 spettrografi infrarossi ad alta risoluzione che sarà utilizzato per cercare pianeti extrasolari di taglia terrestre e che ha visto la prima luce proprio lo scorso Novembre. Carmenes indagherà la zona abitabile di 300 stelle nane rosse vicine al Sole, di tipo spettrale M della sequenza principale.
Un altro strumento è il “Califa”, che sta osservando un campione statisticamente ben definito di 600 galassie del gruppo locale, utilizzando 250 notti di osservazione con il campo integrato PMA / PPAK dello spettrofotometro con immagini in simultanea a diverse lunghezza d’onda.
“La nostra indagine”, dice Gilles, “fornirà il più grande e completo studio sull’evoluzione delle galassie, grazie a mappe spettrali bidimensionali ottenute per un vasto e ben definito campione di questi oggetti, consentendo nuove e migliori conoscenze sulla formazione stellare, sugli urti e i moti delle stelle all’interno della galassia, sulla distribuzione del gas ionizzato e sulle abbondanze chimiche nelle stelle.”
Siamo tutti attenti alle spiegazioni della nostra guida, ma Teresa è incuriosita dai pulsanti della consolle della sala controllo del telescopio. Gilles si avvicina e le chiede se vuole provare a manovrarlo, basta un clic sul mouse del computer per aprire la cupola e un altro per ruotare lo strumento. Teresa strabuzza gli occhi davanti a tanta responsabilità, ma non se lo fa ripetere due volte e procede impeccabile nelle operazioni: un clangore metallico accompagna l’apertura della cupola e il lento raddrizzamento allo zenit del mastodonte, uno spettacolo!
Il tempo passa, ma prima di congedarci Gilles vuole mostrarci anche la cupola col telescopio da 2,2m a cui è collegato l’interessante strumento Myosotis, un cacciatore di asteroidi che sfrutta il transito di questi ultimi sulle stelle di fondo e le brevissime “eclissi” che ne derivano (circa 50 millisecondi), per ricavare preziose informazioni su questi oggetti. Altro strumento qui utilizzato è il “Panic”, una fotocamera tarata sul “vicino infrarosso”. Terminiamo la visita con il verde telescopio da 1,2m, il primo realizzato in questo sito nel 1975, equipaggiato fra gli altri con una Planet Cam (UPV).
Salutiamo il nostro Gilles, ringraziandolo per la visita estremamente esaustiva ed egli ci fa gli in bocca al lupo per le nostre osservazioni, sperando di rivederci in futuro. Calar Alto, dal Marzo 2016 diventerà accessibile al grande pubblico attraverso un programma di Astroturismo, un po’ sul modello del Pic du Midi francese, visitato lo scorso anno, in questo modo aumenteranno le risorse economiche che un domani potrebbero servire per realizzare il Gran telescopio Andaluz, il sogno di un telescopio di ben 6,5 m di diametro!
Tornando al pullman, notiamo che si sta aprendo qualche squarcio tra le nubi e il sole al tramonto, inaspettatamente, fa risplendere le cupole degli osservatori… e se il meteo si sbagliasse? Sulla strada del ritorno gli squarci aumentano insieme alle nostre speranze per la notte osservativa, che diventa certezza quando siamo al nostro alloggio, il cielo è incredibilmente quasi tutto sgombro! Ceniamo rapidamente e verso le 21.00 siamo raccolti da Ruben, un giovane dell’agenzia locale Malcamino’s, che come da programma con la jeep ci porterà in mezzo al deserto, in un luogo buio e adatto alle osservazioni.
Josè e Xavier ci salutano, è stata una giornata intensa e preferiscono archiviarla con un buon sonno. Mentre carichiamo il fedele Dobson da 25 cm autocostruito, il Pentax di Esther e l’attrezzatura fotografica, scopriamo che Ruben ci lascerà da soli a fare osservazioni nel deserto e ci verrà a riprendere solo all’1.00…Mah… siamo un po’ perplessi anche se lui cerca di tranquillizzarci dicendo che nel deserto non ci sono pericoli di alcun genere. Ci allontaniamo dal paesino, imboccando un sentiero sterrato che si inoltra in un canyon, ma tra la polvere sollevata dalle ruote notiamo le sagome di alcuni cani randagi che ci seguono correndo e abbaiando.
“Oddio io non scendo” dice Teresa! “Sì non se ne parla!” le fa eco Marica, Roberto ride nervosamente, io cerco di sdrammatizzare con qualche battuta, ma effettivamente non è il massimo osservare in questa situazione. Esther suadente si avvicina all’autista: “Rimani con noi Ruben, por favor…” Ruben si volta e ci guarda, siamo arrivati, ci dice, scende e accarezza uno dei cani, sono buoni, non c’è pericolo. Ma le donne faticano a scendere.
A quel punto dopo altre insistenze e preghiere, Ruben decide di rimanere con noi, ci aspetterà al caldo sulla jeep. Meglio così! Con rinnovato entusiasmo guardiamo il bel cielo stellato sopra di noi, solo ad ovest è rimasta qualche fastidiosa velatura, che diffonde un po’ di inquinamento luminoso di qualche lontano paesino, per il resto le luminose costellazioni invernali sono a nostra disposizione. Il Dobson è pronto e devo solo inserire l’oculare per iniziare le osservazioni, più complicate invece le operazioni di montaggio di Esther, che sovente chiede aiuto per fissare il tubo del Pentax o per puntare il Polarie. Il cane annusa il Dobson e gli altri strumenti, poi se ne va di corsa spaventato da qualche rumore.
Teresa e Marica si siedono su alcune rocce per osservare le Geminidi, tentando una registrazione metodica e rigidamente scientifica del fenomeno: “Eccone una!” grida Teresa, una luminosa meteora con un po’ di scia vola dai Gemelli verso Orione. “Meno male, prosegue Teresa, almeno un desiderio sono riuscita ad esprimerlo, devo però esprimere quelli per le amiche del Pilates…!” Non dobbiamo attendere molto per vederne altre, meno luminose ma sempre suggestive. Inizio a spiegare un po’ di costellazioni con il laser verde poi prendo di mira col Dobson la nebulosa di Orione, sempre spettacolare e l’ammasso M35 nei Gemelli. Proprio dal radiante vedo partire un’altra meteora piuttosto lunga, accompagnata dalle grida di stupore delle fanciulle.
Le Geminidi non tradiscono mai, sono fra le piogge di meteore più puntuali ed abbondanti che si possono ammirare durante l’anno, probabilmente meglio delle Perseidi di S.Lorenzo. “Massimiliano! Perché non vedo niente nella macchina fotografica?” Esther in lontananza mi chiama per un assistenza tecnica. Stanno aumentando le velature, piuttosto capricciose e attendiamo un po’ prima di vedere altre meteore, alla fine ne conteremo una ventina in due ore di osservazione, un discreto bottino considerando le frequenti incursioni di nuvole.
Ruben scende dalla jeep per dare un’occhiata alle Pleiadi e all’ammasso H e Chi Persei col Dobson, poi ci segnala che il tempo a nostra disposizione è scaduto, dobbiamo tornare all’albergo. Beh non è andata poi così male, Esther e Roberto sono riusciti ad effettuare qualche foto interessante e il conteggio dei desideri di Teresa e Marica è andato ben oltre le più rosee previsioni. Si può fare di meglio e per domani sera pianifichiamo le osservazioni direttamente a Calar Alto, fuori da foschie e inquinamento luminoso residuo, speriamo che il meteo collabori.
Ma la mattina del giorno dopo, 14 Dicembre, il cielo è di tutt’altro avviso e si presenta di un bel grigio compatto. Xavier ci attende sul pullman, oggi abbiamo l’interessante visita alla Piattaforma Solare di Almeria uno dei più importanti centri di sperimentazione dell’energia solare in Europa, con un campo di oltre 300 eliostati ( specchi riflettenti) ) che concentrano la luce del sole in cima ad alte torri e poi una serie di installazioni di specchi solari cilindro-parabolici e altri impianti che utilizzano il sole per processi chimici, trattamento termico dei materiali, dissalazione dell’acqua marina, bioedilizia, ecc.
Per entrare dobbiamo esibire i documenti ed è tutto severamente controllato, lasciamo che Josè sbrighi per noi tutte le pratiche burocratiche e finalmente si alza la sbarra del check point, abbiamo il via libera per visitare questo luogo ultra tecnologico. Immediatamente sale sul pullman Samar, la guida del Ciemat (Centro di ricerche energetiche, ambientali e tecnologiche) del ministero dell’Educazione e Cultura spagnolo, che inizia ad illustrarci le strutture ed il lavoro estremamente specializzato che qui viene svolto.
Dopo la crisi pertolifera del ’73, ci dice, l’Agenzia Nazionale dell’Energia ha deciso di compiere ricerche per la produzione di energia elettrica sfruttando il calore solare ed il clima favorevole di questa zona della Spagna, che regala quasi sempre splendide giornate di sole. Uno sguardo al cielo plumbeo ci ricorda che oggi non è una di quelle… Il pullman fa qualche centinaio di m poi si ferma accanto all’enorme distesa di specchi, scendiamo assieme a Samar che ci indica il campo di eliostati che seguono automaticamente il sole orientando il calore su una centrale ricevente situata in una torre alta 43m che produce 500 Kw, e su di un’altra di 83m dove si raggiungono 1,2 Mw.
Ci spostiamo quindi ad una serie di collettori cilindro-parabolici utilizzati per concentrare i raggi solari in un liquido che raggiunge il grado di ebollizione, il vapore è usato per spostare una turbina che genera elettricità (motore Stirling). In questo modo si evitano 2000 t di emissione all’anno di C02 per ogni Megawatt prodotto. Poco distante c’è anche un forno solare per testare materiali sottoposti a calore come ad esempio le fibre ottiche, le pastiglie dei freni e addirittura le rocce lunari!
Samar ci spiega che di recente è stato inaugurato l’impianto pilota Hidrosol II, che mira a produrre idrogeno dalla scissione dell’acqua (H2O) utilizzando il sole come fonte di energia. Una scommessa di notevole valore scientifico, ma anche commerciale, e soprattutto ambientale.
Mentre finora l’idrogeno è stato ottenuto in gran parte dai combustibili fossili (carbone, metano, gas naturale), in processi inquinanti, da oggi potrebbe essere prodotto mettendo in gioco due elementi presenti in grande abbondanza sulla superficie terrestre (acqua e sole) con un impatto sull’ambiente praticamente nullo.
Ci auguriamo veramente che presto trovino ampio sviluppo queste tecnologie alternative e salutiamo Samar per dirigerci ad Almeria, una città piuttosto anonima in cui effettuiamo il pranzo ed in cui passeggiamo un po’lungo il viale principale e nella piazza che ospita la chiesa di Santiago, notando l’Alcazaba sulla cima di una collina in lontananza.
Inaspettatamente, come ieri, nel tardo pomeriggio il cielo migliora e sulla strada del ritorno le nubi si diradano con un bel sole che torna ad illuminare il paesaggio desertico. Non ci resta quindi che preparare la serata osservativa a Calar Alto, nei pressi dell’osservatorio e dopo una cena a base di pollo e Chirimoya, sarà questa volta il nostro pullman ad accompagnarci. Dobbiamo però salutare Xavier, che il giorno dopo ha una impegno inderogabile, sostituito temporaneamente da un altro Xavier (evidentemente un nome comune per gli autisti spagnoli!)
Josè è curioso di dare un’occhiata al telescopio e sale con noi, ci avventuriamo quindi su per i tornanti cercando uno spiazzo sufficientemente ampio dove parcheggiare. La serata promette bene e dal finestrino durante il viaggio osserviamo diverse Geminidi proiettarsi verso un sottile spicchio di Luna crescente che sta tramontando a ovest.
Ecco un pianoro adatto a noi. Scendo per dare un’occhiata al sito osservativo e mi appare un cielo magnifico, completamente sgombro e decisamente più buio e ricco di stelle della sera precedente. Quasi ce ne fosse bisogno per aiutarmi a decidere, un luminoso bolide verde parte dai Gemelli e sfreccia parallelamente all’orizzonte perdendosi lontano: una Earth Grazers, meteore che lambiscono la nostra atmosfera e per questioni geometriche, col radiante ancora basso, riescono a sopravvivere a lungo prima di spegnersi.
Anche l’ambientazione è suggestiva, siamo circondati dal bosco di pini marittimi e la pace è completa. Do il segnale: “Tutti giù, il luogo è ok!” Procediamo come la sera precedente nell’allestimento dei nostri strumenti, il cielo è veramente notevole e le meteore stasera pare vogliano dare spettacolo. “Eccone un’altra!” esclama Teresa. “Stavolta l’ho vista anch’io!” Interviene Marica. Spiego al gruppetto che queste meteore sono associate all’asteroide/cometa Fetonte, uno sciame piuttosto giovane, segnalato infatti solo dopo il 1750 e destinato i prossimi anni a scomparire, non dobbiamo quindi perderci questa opportunità!
Gli avvistamenti si moltiplicano, anche Josè ne vede qualcuna mentre scende dal pullman per mettere l’occhio all’oculare del Dobson. Gli mostro orgoglioso la nebulosa di Orione e Josè si china cercando nel buio l’oculare. “Eccola…che cosa magnifica!” commenta aggiustando la messa a fuoco. “Sembra di volare nello spazio!”. Stasera è proprio bella, convengo, piena di particolari e delicati filamenti. Il vecchio Dobson fa sempre il suo dovere e non posso fare a meno di ricordare quante persone ha meravigliato nel corso di questi anni in giro per il mondo: dagli autisti libici sulle dune dell’Acacus, alle guide nelle steppe mongole o sugli altopiani Boliviani, fino alle montagne dell’Azerbaijan. Senza dimenticare i tanti compagni di viaggio vecchi e nuovi che hanno condiviso con noi le avventure di notti passate sotto cieli stellati memorabili.
“Come va Esther?” Chiedo. Il potente fanale legato sulla fronte illumina la piazzola di azzurro, “Stasera tutto bene Massi!”.” E tu Roberto, sei riuscito a riprendere qualche meteora?” “Speriamo!” Mi risponde. Torno al Dobson dove Josè e Xavier attendono di osservare la galassia di Andromeda, altissima sopra le nostre teste. Prendo il laser e punto la tenue nuvoletta ben visibile ad occhio nudo, una galassia lontana 2 milioni di anni luce, che al telescopio mostra un luminoso ovale allungato accompagnato dalle piccole galassie satelliti M32 ed NGC 205. Josè e Xavier sono increduli.
Punto ancora una volta le azzurre Pleiadi e l’abbagliante Sirio, mentre altre Geminidi solcano il cielo, non vorrei sbagliarmi, ma secondo me lo ZHR (il tasso orario zenitale) supera le 120 all’ora, quasi tutte sono luminose e con una scia lunga e persistente, tutto un altro spettacolo rispetto alla sera prima, che pur non era andata male. Decido a quel punto di prendere di mira qualcosa di più difficile e mai osservato in precedenza: le galassie NGC 821 e 697 nella costellazione dell’Ariete.
La prima è una galassia ellittica di medio piccole dimensioni (3’,3X2’,3), visibile a sud della costellazione, vicino al confine con la Balena. Al Dobson è piuttosto evidente (mag.10,7), anche se la sua osservazione visuale mostra un’ellisse chiara priva di dettagli, parzialmente oscurata dalla luce di una stella gialla di magnitudine 7. Non bisogna tuttavia dimenticare che dista dalla Via Lattea 68 milioni di anni luce. Josè e gli altri si cimentano in questa difficile osservazione, ma a quel punto la nostra guida, intirizzita dal freddo e non vestita adeguatamente si ritira sul pullman, comunque entusiasta per ciò che ha visto stasera.
Prendo di mira anche la seconda galassia, decisamente difficile anche per me visto che la luminosità si aggira attorno alla tredicesima, una tenue spirale di 4’X1,3’poco distante rispetto alla precedente sullo Sky Atlas, ma distante ben 128 milioni di anni luce da noi! A quel punto noto alcune nubi che stanno avanzando da Nord, chissà forse sono solo di passaggio…”Secondo me arriva una perturbazione!” sbotta Teresa.
In effetti quando sono le 23.30 ormai più di metà cielo è coperto, rimane solo Orione, che resiste all’avanzare delle nubi, l’unico angolo di cielo in cui sfrecciano ancora belle e numerose Geminidi, che testimoniano come in quel momento il fenomeno sia veramente notevole.
Poi, quando anche il gigante cacciatore si arrende capiamo che le osservazioni sono finite e a malincuore smontiamo tutto, impareremo in seguito che quella sera lo ZHR arriverà alla ragguardevole intensità di oltre 150 meteore/ora…! C’è naturalmente un po’ di rammarico per non aver assistito al clou della pioggia, tuttavia rispetto alle disastrose previsioni meteo della vigilia, tutto sommato ci è andata bene e in queste 2 sere abbiamo totalizzato più di 5 ore di osservazioni.
15 Dicembre, dopo la consueta abbondante colazione, salutiamo Guillermo e la moglie ringraziandoli per la squisita ospitalità, un soggiorno che ci sentiamo di consigliare a quanti volessero esplorare il bellissimo deserto di Tabernas e riprendiamo la marcia questa volta diretti alla Sierra Nevada, la giornata è limpidissima. Josè ci dice che stanotte ha sognato di volare nel cosmo tra nebulose e galassie e sorridendo sotto i baffi, mentre ripassiamo per Guadix ci fa notare numerose grotte scavate nel tufo, antiche dimore degli abitanti della valle, alcune delle quali oggi restaurate e affittate ai turisti per brevi permanenze.
Nei pressi di Granada cominciamo a salire decisamente di quota, costeggiando un lago azzurro molto bello, ed entriamo nel Parco Nazionale della Sierra Nevada, la catena montuosa più alta d’Europa dopo le Alpi, con più di 20 vette che superano i 2000m, le più alti delle quali sono il Mulhacèn (3482m) e il Pico del Veleta (3393m). Il Parco ospita più di 2000 specie di piante e una popolazione di più di 5000 stambecchi, un paradiso per gli escursionisti, per gli amanti del birdwatching e del trekking, anche se noi l’unico animale che riusciamo a vedere è un toro che ci osserva minaccioso dal ciglio della strada!
Di neve, pur essendo quasi in inverno ce n’è poca, quest’anno le precipitazioni sono state veramente modeste, la vediamo soltanto in cima alle vette, mentre saliamo sulla strada che porta fino a 2500m in un punto panoramico ai piedi del Veleta. La nostra attenzione è attirata però da un radiotelescopio che appare in lontananza sul crinale del monte, si tratta dell’osservatorio Iram, gestito dall’Istituto di astrofisica dell’Andalusia situato sulla collina di Dilar a 2850m con un’antenna parabolica di 30m di diametro.
Le sue osservazioni indagano nell’intervallo delle onde millimetriche, tra 0,8 e 3 mm (da circa 80 a circa 300 GHz). Con i recettori SIS ed Hera si possono osservare le tracce molecolari del mezzo interstellare, di comete, pianeti e satelliti del sistema solare. Con il bolometro invece si possono osservare oggetti molto freddi o distanti con grandi spostamenti verso il rosso nelle righe spettrali, per esempio, nubi di polveri e lontane galassie.
Peccato non poterlo visitare, così come il vicino Osservatorio della Sierra Nevada localizzato poco più in alto a 2896 m, con le cupole bianche dei due telescopi Ritchey-Cretièn da 1,5m e 90cm, anch’esse visibili in lontananza, promettiamo di tornarci prima o poi e di fare osservazioni anche da quassù. Il pullman si ferma, più avanti di così non si può andare, possiamo proseguire solo a piedi seguendo le indicazioni di Josè e arrampicandoci fino al vicino Santuario della Madonna delle Nevi.
E’ un monumento triangolare in pietra con una statua della Madonna in cima, piuttosto moderno, che raggiungiamo dopo una breve scarpinata che ci fa apprezzare lo stupendo panorama sulle cime della Sierra, non una nuvola in cielo. Dietro al Santuario spunta pure un altro piccolo osservatorio, il Mojon del Trigo su una vicina montagnola, con una cupola metallica su un edificio in muratura rossa, ormai in disuso da anni.
Rimaniamo qualche minuto a respirare l’aria pura dell’alta quota (2700m) e a scaldarci al tepore dei 17°di questa anomala stagione, prima di scendere al pullman, calpestando qualche chiazza di neve che sopravvive tenace qua e là nelle zone d’ombra. Ci contiamo, manca Esther, non è possibile, l’abbiamo persa di nuovo! Io e Teresa risaliamo a cercarla e fortunatamente dopo qualche minuto di comprensibile preoccupazione (ci sono diversi strapiombi lungo il percorso), l’inossidabile compagna di viaggio fa capolino sulla strada che scende a valle.
Ricuperata Esther, scendiamo con Josè al paesino di Pradollano, la stazione sciistica principale della Sierra Nevada e la più meridionale d’Europa, in cui facciamo un giretto a piedi. E’ molto pittoresco con edifici colorati di verde e di rosso e molte casette in legno, sembra di essere in Alto Adige, ma con i pini marittimi al posto degli abeti, ci sono anche diversi alberghi e ristoranti quasi tutti chiusi, c’è poca gente in giro, forse a causa dell’assenza di neve. Risaliamo sul pullman e pranziamo a Granada all’aperto, ancora una volta con ottime tapas, mentre Josè accompagna Marica a comprare il sospirato prosciutto Patanegra, questa volta con successo.
In serata torniamo all’hotel di Torremolinos per l’ultima notte in Andalusia che mette il suggello ad un viaggio veramente interessante e ricco di spunti, con un grazie speciale al nostro impeccabile Josè e l’indomani ci attende il ritorno in patria, in tempo per la prima di Star Wars Episodio VII-Il risveglio della Forza!
FOTO di: MASSIMILIANO DI GIUSEPPE, ESTHER DEMBITZER e MARICA DRAGHETTI