PIC DU MIDI 2014: Astromeraviglie sui Pirenei!
di Massimiliano Di Giuseppe
Questa volta ce l’abbiamo fatta, finalmente al secondo tentativo la spedizione di Coelum riesce a mettere piede sui Pirenei dopo il mancato raggiungimento del numero minimo di partecipanti lo scorso anno.
Gli osservatori del Pic du Midi, così come la Città dello Spazio di Tolosa erano da tempo fra i principali obiettivi dei nostri viaggi astronomici, così come l’area degli Alti Pirenei francesi, ricca di bellezze paesaggistiche e storico-artistiche di grande rilievo nonché famosa per il suo cielo buio e cristallino.
Questa zona è divenuta di recente anche un “Parco delle Stelle”, riconosciuto a livello internazionale dall’IDA ( International Dark Sky Association ) e protetto dall’inquinamento luminoso, la cosiddetta “Reserve Internationale de Ciel Etoilè du Pic du Midi”.
A darsi appuntamento il 25 Giugno all’aeroporto di Roma siamo in 11, tutti veterani di viaggi astronomici, oltre al sottoscritto e al collega Ferruccio Zanotti, l’inossidabile Esther Dembitzer, Alberto Severi, con noi al Cern nel 2013 e quest’anno in Finlandia, il gradito ritorno di Claudio Vitucci, visto l’ultima volta durante l’eclisse egiziana del 2006, Fausto Ballardini, di cui si erano perse le tracce nel 2010 in Giordania, il lappone Stefano Ottani e poi Antonella De Leonardis e Vincenzo Macciola, al Cern nel 2011 e sul Gran Sasso l’anno successivo e gli altri due super veterani Diego Pizzinat e Viviana Beltrandi.
Siamo a Tolosa nel primo pomeriggio con due ore e mezzo di ritardo a causa di uno sciopero dei controllori di volo e veniamo accolti all’aeroporto dalla nostra preparatissima guida Maria, che ci accompagna per un veloce giro panoramico della città.
E’ una città veramente bella che vale la pena di visitare, molto verde, ricca di storia, soprattutto medievale, ma al tempo stesso proiettata al futuro essendo la sede dell’Agencie Francaise dell’Espace ( CNES) e di Aerospatiale, industria di punta nel settore, che oltre a produrre il vettore europeo Ariane, fornisce alle compagnie aeree di tutto il mondo l’Airbus 380, il più grande e tecnologico aereo in circolazione.
Ma la città è nota anche per lo sviluppo dei settori industriali di microelettronica, robotica e biotecnologia, nonché per essere sede di Meteo France.
Il pulmino guidato dal sicuro Patrick, che rimarrà con noi per tutto il tour, ci deposita accanto al suggestivo Pont Neuv sul fiume Garonna, il grande e importante corso d’acqua che attraversa la città.
Passeggiando tranquillamente sulla riva alberata si commenta con Diego e Claudio il clima piacevolissimo che ci ha accolto: la giornata è limpida e soleggiata, l’afa casalinga un lontano ricordo.
Tolosa, ci dice Maria, è la quarta città di Francia ( 700.000 abitanti ) e molti di questi sono studenti, possiede infatti la seconda Università dopo Parigi, con ben 110.000 studenti residenti all’anno. Non tardiamo infatti ad accorgerci della giovane popolazione multietnica che riempie le vie del caratteristico centro storico.
E’ anche chiamata la città rosa, poiché molti edifici storici con mattoni a vista, al tramonto assumono questa colorazione, ma anche la città violetta, per via del fiore simbolo di Tolosa e del lilla e del blu pastello con cui sono colorati molti infissi e persiane.
Tra i sorrisi delle ragazze nei locali all’aperto e i profumi del pane e delle pasticcerie, arriviamo all’imponente Chiesa dei Giacobini, uno dei pochi esempi di chiesa domenicana originale a due navate. E’ un gotico particolare, con un curioso campanile tronco a pianta ottagonale, l’interno poi ci lascia senza parole: due navate altissime sorrette da 7 colonne di 22m, da cui si dipartono una serie di nervature verso l’abside, che fanno assumere all’insieme il curioso aspetto di un palmeto.
Ci sediamo ammirando tanta grandiosità, con le gigantesche vetrate multicolori da cui filtra una luce soffusa e Maria inizia a raccontarci la storia di questa chiesa, nata e voluta dai frati predicatori domenicani, per combattere l’eresia dei Catari, che poco prima del 1200, avevano trovato in questa regione molti adepti.
Ascolto con attenzione le parole della nostra guida, ricordandomi diverse leggende legate a questi “uomini puri”, che volevano tornare al modello ideale di Cristianesimo descritto nei Vangeli, ripudiando la ricchezza e il potere della Chiesa di Roma. Essi avrebbero conservato e custodito in un qualche luogo segreto, il misterioso “Santo Graal”, la coppa con la quale, secondo la tradizione, Gesù celebrò l’ultima cena e in cui Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Cristo dopo la sua crocifissione…
Purtroppo l’avventura dei Catari terminò sanguinosamente nella crociata del 1208, voluta da papa Innocenzo III, che causò in pratica il loro annientamento.
Mentre usciamo, passiamo di fianco alla tomba di S.Tommaso d’Aquino, altra importante figura ecclesiastica e Dottore della Chiesa.
Ci spostiamo a questo punto verso la piazza principale, la Place du Capitole, o del Campidoglio, sede dell’Università, del Teatro e del Municipio. Passiamo sotto ad un porticato e qui Maria ci fa notare un tipico negozietto di violetta, il cui utilizzo va dalle saponette alle confetture, indicandoci sopra di noi, sui soffitti, una serie di pitture, la Galerie des Arcades, che raccontano la storia della città.
Tra le bancarelle della piazza, un grande disegno sul pavimento attira la nostra attenzione , si tratta di un’opera dell’artista Raymond Moretti rappresentante la Croce Occitana, o la Croce dei Catari, di derivazione celtica, presente anche nello stemma della città: le braccia simboleggiano i punti cardinali mentre le 3 piccole sfere su ogni braccio, i segni dello zodiaco.
Entriamo anche nelle belle sale del Municipio, con la sala affrescata degli Uomini Illustri, la Sala Gervais e la Sala Henri Martin, impreziosita da splendide tele del pittore della scuola Impressionistica Puntinista.
Salutiamo Maria nei pressi di una fontana in cui bambini sguazzano allegramente, ringraziandola per le dettagliate ed interessanti spiegazioni e ci facciamo condurre da Patrick al nostro Hotel Ibis fuori città a Lavaur, un paesino 40 km ad est di Tolosa, immerso nel verde della campagna che ricorda a me e ad Esther alcune località friulane come Aquileia.
Dopo aver sistemato i bagagli, raggiungiamo a piedi il ristorante con tipica cucina francese Les Rosiers de Cocagne situato in centro, ove nell’aria limpida della sera, seduti all’aperto, veniamo rifocillati con insalata di salmone affumicato e gamberi, bistecca di manzo alla cipolla di scalogno e crema brulèe.
Un’ultima passeggiata prima del meritato riposo ci fa scoprire alcune tipiche case a graticcio, ma anche che il buio completo arriva solo alle 23.30, infatti, alla lunga durata del giorno tipica del periodo, si deve sommare la longitudine del luogo, decisamente più ad ovest rispetto a noi, con conseguente ritardo nel tramonto del sole. Ne terremo conto per le prossime serate osservative.
26 Giugno, è l’importante giorno della visita alla Città dello Spazio, la Citè de l’Espace, il gigantesco parco a tema scientifico inaugurato nel 1997 ed esteso su una superficie di 5 ettari, il cui logo campeggia davanti all’ingresso affollato da decine e decine di scolaresche in visita.
Una volta fatti i biglietti usciamo nei giardini del parco e ci troviamo di fronte all’enorme e perfetta riproduzione del razzo europeo Ariane 5, alto 53m, con relativa rampa di lancio, che domina l’intero complesso, accanto troviamo il satellite di osservazione della Terra ERS 2 ( European Remote Sensing Satellite), l’astronave russa Soyuz e il telescopio spaziale per i raggi X, XMM Newton.
La spedizione è entusiasta e si disperde tra queste meraviglie dell’ingegno umano ed i relativi pannelli esplicativi, io mi fermo appoggiandomi ad una ringhiera panoramica e guardando in alto la punta dell’Ariane che si staglia fiera nel cielo, non posso fare a meno di ricordare il Kennedy Space Center visitato in Florida nel 2011 assieme alla famiglia e quella bellissima vacanza.
Esther scompare dietro ai motori dell’Ariane, la rivedremo solo al termine della visita, la maggior parte del gruppo si ricompatta invece al Planetario, sta per iniziare una proiezione dedicata al sistema solare, non possiamo perderla! Seduti comodamente, ammiriamo le suggestive immagini che si proiettano sulla cupola emisferica di 600mq, 15 m di diametro, che contiene 280 posti a sedere. Io e Ferruccio inevitabilmente facciamo i confronti con i nostri ben più piccoli planetari itineranti, che tuttavia suscitano le stesse ooooh di meraviglia nel pubblico scolastico e non.
All’uscita, proviamo l’emozione di entrare in una capsula Soyuz e di capire gli spazi veramente angusti in cui gli astronauti sono confinati. Mentre entro assieme al mio compagno cosmonauta Fausto, ricordo l’incontro avvenuto nel Febbraio 2012 con l’astronauta italiano Paolo Nespoli ai nostri “Venerdì dell’Universo”, quando ci raccontò le terribili sensazioni provate durante la fase di rientro in atmosfera, il calore estremo e le veloci rotazioni su se stessa di questa piccola capsula quasi in caduta libera.
Poi tocca a Stefano prendere posto all’interno assieme a Ferruccio e via via gli altri compagni di viaggio, tra cui Diego, che si trova perfettamente a suo agio visto che una decina d’anni fa è stato veramente nello spazio, seppure con un volo a 30 Km di quota con un Mig sovietico. “A quell’altezza si osserva benissimo la curvatura della Terra e il cielo diventa grigio scuro facendo comparire le stelle, un’emozione incredibile!”, ricorda il nostro compagno.
Subito accanto si trova una perfetta riproduzione della vecchia stazione spaziale sovietica MIR, che ha preceduto di qualche anno l’odierna ISS ( International Space Station), completa di tutte le attrezzature e visitabile all’interno.
E’ ora di pranzo e ci fermiamo all’Astronaut Cafè prima di riprendere le visite con il Terradome, un emisfero terrestre di 25m di diametro al cui interno si racconta la storia dell’universo e della vita sulla Terra e con il vicino osservatorio solare, poi ci concediamo una nuova proiezione, questa volta con occhialini 3D al gigantesco Imax, in cui ci vengono mostrati gli osservatori dell’ESO in Cile tra cui la Silla ed il VLT con spettacolari immagini di nebulose e galassie.
Assieme a Claudio riviviamo le desolazioni del deserto di Atacama e la spettacolare avventura cilena vissuta assieme nel 2004, allora con noi c’erano anche Ferruccio, Esther, Diego, Viviana e Fausto. Ci sembra impossibile che siano passati già 10 anni.
Non è finita poiché ci manca ancora tutta la parte espositiva, circa 2500 mq di esposizioni temporanee e permanenti, all’interno dell’edificio principale!
Osserviamo quindi una riproduzione dello Sputnik 1, del rover marziano Curiosity, ambientato sul Pianeta Rosso, della sonda Rosetta e del suo lander Philae mentre si posa sulla cometa Churyumov-Gerasimenko, il cui arrivo è previsto proprio quest’anno a Novembre. E poi un’interminabile collezione di schermi tattili, animazioni interattive, esperimenti e cimeli spaziali tra cui spicca una preziosa roccia lunare, raccolta dagli astronauti della NASA e custodita in una piccola teca di vetro.
Particolari schermi trasparenti poi, creano un effetto olografico e permettono di dialogare con personaggi del passato, mentre in un’altra sala si possono scoprire le ricadute tecnologiche della ricerca spaziale nella vita di tutti i giorni: dal meteo alle telecomunicazioni, dai cellulari al GPS ecc. ecc. Si può perfino sperimentare l’assenza di gravità saltellando sulla superficie lunare con una speciale imbragatura o partecipare da una sala controllo al lancio di un satellite.
Nel tardo pomeriggio, al termine della visita e dopo l’acquisto degli immancabili souvenirs, il gruppo è estremamente soddisfatto, la Citè de l’Espace si è rivelata un luogo veramente istruttivo e divertente adatto a tutte le età, a un’ora di volo dall’Italia e che consigliamo a tutti coloro che non avessero la possibilità di recarsi al Kenndedy Space Center o al museo del volo di Washington e volessero approfondire le tematiche legate all’astronautica e all’astronomia in modo semplice e spettacolare.
Di ritorno a Lavaur e al nostro ristorante, veniamo accolti con insalata con formaggio cabecou e prosciutto serrano spagnolo, spiedini di petto d’anatra al timo, vino rosso e fichi e torta di mele al gelato di vaniglia!
Alberto, esperto gastronomo inizia un corso che proseguirà anche sui Pirenei dedicato ai vari tipi di prosciutti e all’aceto balsamico di Modena, riscuotendo l’attenzione e il vivo interesse della platea, Ferruccio con un occhio alla procace cameriera e un altro al cielo, controlla il meteo, stasera il cielo è un po’ annuvolato…
Più tardi, su consiglio di Antonella e Vincenzo, camminiamo fino al suggestivo e particolare duomo di Saint Alain, le nuvole nere e la scarsa illuminazione gli conferiscono un aspetto tetro che rimanda ad un’altra strage di 400 Catari, avvenuta proprio qui a Lavaur nel 1211 ad opera delle truppe del crociato Simon de Montfort.
Il paesino è deserto, solo un falegname sta lavorando nella sua bottega alla fioca luce di una lampadina, un vento fresco e qualche goccia di pioggia inducono il gruppo a tornare velocemente in albergo, domani sarà un’altra giornata impegnativa.
27 Giugno, dopo colazione iniziamo assieme a Patrick l’avvicinamento ai Pirenei, le cui cime innevate compaiono all’orizzonte nei pressi di Lourdes, ci stiamo lentamente alzando di quota e la pianura lascia il posto a dolci colline, tra banchi di nebbia che si alzano dai campi e velocemente si dissolvono rivelando un sole splendente. Qualche altocumulo di passaggio crea poi spettacolari fenomeni di iridescenze colorate di viola, verde e arancione, quasi un momento mistico proprio all’ingresso della famosissima località religiosa.
Lourdes, è divenuta luogo simbolo di pellegrinaggio e di turismo religioso,da quando nel 1858 la giovane contadina Bernadette Soubirous, ha avuto una serie di apparizioni Mariane, presso la grotta di Massabielle ai bordi del fiume Gave de Pau. Scesi dal pullman, ben presto ci troviamo immersi in una folla di pellegrini giunti da ogni parte del mondo, che avanzano lentamente con alti ceri in mano, facendosi spazio tra le bancarelle e i negozietti di un esagerato merchandising religioso che anima le vie nei pressi della basilica.
Ci mettiamo in fila per il Santuario di Nostra signora di Lourdes, in realtà tre basiliche una sopra l’altra con quella più alta, detta dell’Immacolata Concezione realizzata tra il 1866 e il 1871, con 3 alti campanili in stile neogotico. Vi si accede da due scalinate avvolgenti che arrivano sul sagrato da cui si gode di una spettacolare veduta sull’Esplanade, la grande piazza gremita di fedeli e malati fiduciosi in una guarigione.
La seconda basilica è quella di Nostra Signora del Rosario terminata nel 1889, la cui cupola dorata emerge sul sagrato della chiesa precedente e l’ultima, detta anche basilica sotterranea è quella di S.Pio X.
Arriva il momento di avvicinarci alla famosa “grotta delle apparizioni” e di vedere da vicino il fervore religioso che anima i più credenti. Processioni continue di infermi su sedie a rotelle protendono le mani per toccare le pareti umide della grotta fino ad arrivare sotto alla statua della Madonna, realizzata proprio nel punto esatto delle apparizioni.
Proprio qui vengono celebrate Messe una dopo l’altra e non si può fare a meno di notare una perfetta organizzazione da parte delle associazioni di volontari che trasportano e gestiscono i malati, riconosciamo tra le varie l’Associazione Mariana Assistenza Malati d’Italia, ma anche lo SMOM, il Sovrano Militare Ordine di Malta.
Particolarmente seguito è poi il rito dell’immersione nelle apposite piscine riempite con l’acqua che sgorga dalla sorgente presso la grotta e che alimenta anche le fontane dalle quali i pellegrini bevono l’”acqua di Lourdes” riempiendo bottiglie e taniche da portare a casa.
La nostra è una spedizione scientifica, ma praticamente tutti riempiamo qualche boccettina d’acqua, chi per sé o da regalare a qualche famigliare particolarmente devoto.
Mentre abbandoniamo questo luogo si ragiona sull’effettiva guarigione dei malati e sui miracoli che qui sono avvenuti, quanto incide la fede e quanto la suggestione? Sta di fatto che dal 1905 qui è attivo un ufficio medico che valuta le presunte guarigioni miracolose e finora una settantina di casi sono stati riconosciuti autentici…
Patrick ci distoglie dai nostri pensieri indicandoci il Pic du Midi, una piramide di roccia isolata fra le numerose vette sullo sfondo, siamo quasi arrivati e cominciano ad apparire in cielo i primi avvoltoi Grifoni, che in questa zona dei Pirenei abbondano assieme alle aquile reali.
Dopo una mezz’ora ecco La Mongie, la località sciistica ai piedi del Pic, che ci appare totalmente deserta, solo un asino malandato si aggira tra le vie polverose mentre andiamo alla ricerca del nostro hotel La Mandia a 2000m di altitudine. Appena fuori dal paese sotto una curva della strada che prosegue sul colle del Tourmalet, troneggia un orrido casermone con centinaia di stanze, vuoi che sia quello?
Purtroppo sì, Patrick cerca l’ingresso ma appare tutto in stato di abbandono, non c’è anima viva.
Ci vuole un quarto d’ora e qualche telefonata perché si palesi Alex, il giovane proprietario che ci dà rapidamente indicazioni per raggiungere la hall prima di scomparire nuovamente. Mah, ci pare di aver capito di prendere gli ascensori e di andare al secondo piano e poi svoltare a sinistra. Con questo ordine Stefano e Claudio partono per primi verso l’ignoto. In quel momento arriva di corsa Patrick che ha scoperto che in realtà la hall è da tutt’altra parte ma ormai è troppo tardi le porte dell’ascensore si sono appena chiuse…
Attendiamo nella hall che tutti prendano le chiavi, ma dopo svariati minuti quelle di Stefano e Claudio sono ancora sul banco. Parte la ricerca dei dispersi. “Prendo l’ascensore!” dice Diego, “…meglio le scale…” suggerisce preoccupato Fausto. Il cellulare non prende, chiamiamo: Stefano! Claudio! Nulla…
E’ un vero labirinto, ci sembra di essere nel bel mezzo del film Shining, ci manca solo il famoso bambino col triciclo che pedala tra i lunghissimi corridoi di questo mastodonte di cui siamo gli unici occupanti. Il vento sibila ogni volta che apriamo una porta, la situazione comincia a farsi inquietante. Parte violentissima nel silenzio la suoneria del mio cellulare che ci fa sobbalzare.
E’ Stefano, la voce è ansimante e l’audio va e viene, ma appare chiaro che si sono persi. Cerchiamo di dare qualche indicazione e di capire dove sono ma non è semplice, ci vogliono ancora diversi minuti prima che Diego riesca a trovare Claudio e che Stefano in extremis si presenti nella hall, tutto è bene quel che finisce bene…
Per festeggiare andiamo a mangiarci una crepes al ristorante Schuss, in centro al paese, che provvederà anche al nostro sostentamento serale e intanto diamo un’occhiata al panorama circostante, bellissimo, con un cielo limpido che ci fa apprezzare i Pirenei in tutto il loro verde splendore, la roccia infatti comincia solo dopo i 2500m e la neve è solo a chiazze nelle zone più riparate dal sole.
Numerosi Grifoni volteggiano sopra di noi quando ritorniamo all’inquietante hotel, c’è giusto il tempo di montare l’attrezzatura astronomica per la serata osservativa, Dobson in primis, che siamo di nuovo allo Schuss, questa volta per gustare formaggio di capra fresco, bistecca di manzo con patate al forno e dolce tipico basco e anche in questo caso il servizio è ottimo e piacevole, i pochi autoctoni ci guardano curiosi, è arrivato anche il nostro bizzarro albergatore che si beve una birra in disparte.
Siamo tutti ansiosi di sperimentare il cielo dei Pirenei, sarà all’altezza delle nostre Alpi? Rimane il dubbio di capire quanto potranno dare fastidio le luci del paese e quelle dell’albergo e prima di piazzare gli strumenti facciamo un sopralluogo per individuare il luogo più adatto e buio. Bisogna camminare un po’ ma alla fine lo troviamo, proprio al termine dell’immenso residence per fortuna deserto e quindi sufficientemente oscuro.
Alle 23.40 le stelle brillano con il tipico splendore dell’alta quota, Marte, Saturno e Antares sono bassi sui profili dei monti, ove si sta appoggiando anche la spettacolare Via Lattea estiva, ma il cielo è molto variabile ed è un continuo andirivieni di nubi e velature, è impossibile usare il telescopio. Ci limitiamo quindi ad un ripasso delle costellazioni, comprese quelle più difficili e meno conosciute, come Lucertola Cavallino e Volpetta, in compagnia di quasi tutto il nostro gruppo soddisfatto di questa opportunità.
Quando la stanchezza attorno all’1.00 comincia a far chiudere gli occhi ai partecipanti ci ritiriamo nelle camere sperando di non ricevere la visita di qualche serial killer e solo Ferruccio continuerà a fare foto dal balcone della nostra camera con un cielo in rapido miglioramento, bisogna dire con ottimi risultati.
Il mattino dopo, 28 Giugno, alle 8.00 precise, il nostro Alex ci prepara la colazione,nella sala con la grande vetrata che si affaccia su una splendida giornata di sole, l’ideale per la salita al Pic du Midi de Bigorre, finalmente un altro sogno che si realizza.
Patrick ci porta alla base della moderna funivia, realizzata nel 2000 per favorire il turismo astronomico e prendiamo posto al suo interno.
Durante la salita, la prima cosa che notiamo è la gigantesca antenna televisiva che si eleva per ben 103 m dalla sommità della montagna e subito sotto gli edifici amministrativi e la decina di cupolette bianche di questo importante complesso di osservatori. Attorno alle 10.00 siamo sulla vetta, a 2877m di quota, il cielo è blu, solcato da qualche bianchissima nube, la purezza e la trasparenza del cielo del Pic du Midi unitamente alla lontananza da grossi centri abitati, ne hanno fatto uno dei luoghi migliori al mondo per le osservazioni astronomiche, soprattutto in termini di seeing, è veramente un’emozione trovarsi quassù.
Unico rimpianto quello di non potervi rimanere alla sera, la cosa infatti era fattibile solo se il nostro gruppo avesse prenotato a Gennaio, ma in quella data non si era ancora raggiunto il minimo di partecipanti. Questo tra l’altro pregiudica anche la visita all’interno degli osservatori, rigidamente riservata solo a chi pernotta al rifugio e a nulla vale insistere sul fatto che siamo astrofili e che due di noi sono reporter della rivista italiana di astronomia Coelum.
Pazienza, rimane comunque una visita del museo e degli osservatori dall’esterno.
Mentre attendiamo la nostra guida, lo sguardo spazia per 430 km su tutta la catena dei Pirenei e le sue cime di granito, dalla Catalogna ai Paesi Baschi, fino ad arrivare in lontananza, verso nord ai primi contrafforti del Massiccio Centrale, una vista indimenticabile. Preoccupato della quota, Fausto misura a tutti la quantità di ossigeno nel sangue, attraverso un piccolo apparecchio da applicare ad un dito: la situazione per fortuna è sotto controllo!
Paul, la guida, si palesa sulla grande terrazza e prende in consegna il nostro gruppo facendoci un rapido excursus sull’avventura umana e scientifica del Pic, dai tempi eroici dei primi appassionati di montagna, come il colonnello Charles de Nansouty, l’ingegnere Xavier Vaussenat e il dottor Arnaud Costallat che nel 1878 qui posero la prima pietra di un osservatorio meteorologico lavorando in condizioni veramente proibitive, fino ai giorni nostri che vedono nel Pic du Midi uno degli osservatori astrofisici d’alta quota più moderni ed attrezzati al mondo, specializzato sopratutto nello studio del Sole.
Inizia quindi ad indicarci una ad una le cupole: la più antica, ci dice, è la cupola Baillaud, realizzata nel 1907, nella quale storicamente si sono avvicendati diversi strumenti, dal rifrattore con eccellente obiettivo Henry da 38 cm, con il quale Bernard Lyot, Audouin Dollfus e Henri Camichel realizzarono una serie di eccezionali fotografie durante l’opposizione di Marte del 1941, fino alla batteria di coronografi Lyot su montatura equatoriale, che vedremo all’interno del percorso museale.
E’inevitabile da parte mia e di Ferruccio, ricordare l’anziano astronomo Dollfus ( 1924-2010), quando nel 2001 partecipò come ospite d’onore al nostro meeting CielOstellato dedicato all’Alta Risoluzione, presso le Valli di Ostellato (FE), sede del nostro osservatorio e come fosse rimasto sorpreso dall’ottimo seeing del luogo.
Ascoltiamo attenti e ci guardiamo attorno mentre ci vengono indicate le altre cupole:la cupola Pecantet, oggi sede dell’ascensore panoramico che conduce al museo, la cupola del Siderostato, che permette di proiettare l’immagine in diretta del Sole, la cupola Coronografo, che studia la corona solare 365 giorni all’anno e la cupola Chervin, messa a disposizione del pubblico per le osservazioni serali e per la formazione universitaria.
Discorso particolare merita poi la cupola Gentili che ospita un telescopio riflettore da 107 cm, oggi dedicato alla planetologia, frutto della collaborazione con l’U.S.Air Force e con la Nasa, a cui nel 1963 interessavano una serie di fotografie lunari ad alta risoluzione in preparazione delle missioni Apollo. Con questo telescopio, tra l’altro, Dollfus inidividuò nel 1966 il satellite di Saturno Janus.
Paul prosegue imperterrito nonostante il forte vento: la cupola Tourelle, dice, contiene un telescopio rifrattore Texereau da 50 cm equipaggiato con spettrografo in grado di osservare sul sole dettagli di un centinaio di km. La cupola infatti è concepita in modo tale che non ci sia comunicazione tra l’aria esterna e lo strumento, inoltre l’obiettivo sporge parecchio all’infuori in modo da non essere disturbato da correnti di aria calda che salgono dalla cupola, riscaldata dal sole. Le immagini della granulazione fotosferica risultano quindi eccezionali.
Infine la cupola del Telescopio T60, attualmente destinato alle associazioni di astrofili e verniciata all’esterno con la curiosa immagine di un casco delle truppe imperiali di Guerre Stellari e la Cupola Robley per lo studio della planetologia e fisica dell’atmosfera tra cui il monitoraggio della quantità di ozono.
Ferruccio ricorda come il telescopio T60, fosse stato noleggiato nel Marzo 2004 da alcuni astrofili italiani, per una spedizione a cui doveva partecipare lui stesso, con un preciso programma di ricerca approvato dagli astronomi del Pic, che prevedeva riprese planetarie di Marte e Giove, purtroppo contingenti impegni col nostro planetario itinerante gli impedirono la partenza…
A quel punto manca la cupola più importante, quella del telescopio da 2m Bernard Lyot, che si trova dietro la grande antenna, ma Paul inizia ad accompagnarci lungo le interminabili gallerie che si snodano dentro alla montagna per 4km, mostrandoci l’immenso lavoro fatto dai pionieri, per carità tutto molto interessante, ma possibile che non riusciamo ad entrare nemmeno in una cupola?
Esther, timidamente prova a ricordargli la nostra passione, rinnovando la richiesta di vedere da vicino un telescopio. Paul, impietosito prende la radio e chiede il permesso ad un suo collega che sta proprio adesso iniziando la visita con un gruppo di francesi al grande telescopio Bernard Lyot.
Qualche istante di attesa, poi dall’altra parte arriva il via libera, Paul sorride bonario: “ Ora avete la possibilità di entrare nella cupola del più grande telescopio di Francia, le plus grand de la France!”
Caspita che colpo! Una porta laterale si spalanca e ci troviamo all’esterno proprio sotto la grande cupola di 14m di diametro appoggiata su un’alta torre cilindrica di 28m, il gruppo di francesi ci guarda con aria interrogativa, ma la nuova guida, con tanto di cappello da ranger ci dà il benvenuto ed inizia a raccontarci qualcosa di questo osservatorio.
Fu concepito nel 1968 con uno schema ottico che permettesse due diversi impieghi: quello solare e planetario con una lunga focale e quindi forti ingrandimenti e quello di grandi campi stellari e nebulari con un rapporto focale basso. Si realizzò quindi un Newton f/5 che poteva passare allo schema ottico Cassegrain, nel rapporto f/25. Per il primo impiego venne realizzato uno specchio parabolico di 46 cm davanti al fuoco principale, per il secondo invece, uno specchio piano di 115 cm disposto a metà focale.
Dal 1980 divenne operativo e per molto tempo rimase uno dei più potenti mezzi a disposizione della comunità astronomica internazionale, prima dell’avvento dei grandi osservatori cileni e hawaiani e naturalmente del telescopio spaziale Hubble, ma ancora oggi svolge il suo lavoro egregiamente con indagini spettroscopiche ad alta risoluzione e lavori sui campi magnetici stellari unici al mondo.
Seguiamo la guida con cautela lungo una scricchiolante scala di legno e approdiamo nella grande cupola, il gigante è lì, troneggiante sopra di noi! Tutti quanti ringraziamo Esther, è merito suo se ci troviamo in questo importante luogo. Fa piuttosto freddo, alcune tubature sono pesantemente incrostate di ghiaccio e alla guida con cappello si affianca Christian, il tecnico che lavora attualmente al telescopio da 2m, che ci rivela che qui astronomi e tecnici vengono selezionati anche in base alle loro doti di alpinisti e di adattabilità al duro ambiente dell’alta montagna, non di rado infatti capita di doversi arrampicare tra i tralicci della cupola per risolvere particolari guasti, a temperature bassissime.
D’inverno si raggiungono tranquillamente i -20°C, che possono essere percepiti anche come -50°C a causa del vento che può arrivare fino a 200 km/h.
Un’ultima foto di gruppo, poi, ringraziando calorosamente le guide per la splendida opportunità, ci prepariamo alla visita dell’Espace Museographique, salendo con l’ascensore della cupola Pecantet agli spazi espositivi, dotati da una ricca collezione di plastici, fotografie e pannelli esplicativi.
Entriamo quindi nella cupola Baillaud, con i coronografi di Lyot, che inventò questo strumento rivoluzionario nel 1930, grazie ad un dischetto di metallo che copriva esattamente il disco solare, permettendo per la prima volta di creare un’eclisse artificiale e di studiare la parte esterna dell’atmosfera solare.
Nella saletta attigua si proietta un filmato dedicato al Pic, con immagini d’epoca e recenti e impariamo che nel 1994 il complesso di osservatori ha rischiato di chiudere per mancanza di fondi e che la cosa è stata impedita solo grazie alla caparbietà e tenacia della gente dei Midì Pirenees, che hanno saputo trovare le risorse necessarie, reinventando questa istituzione e proiettandola nella dimensione del turismo culturale internazionale.
Uscendo di nuovo sulla terrazza siamo accolti da un vento selvaggio e da un cielo che si sta facendo decisamente nuvoloso, meglio ritirarsi all’interno del rifugio, tra l’altro è ora di pranzo e da qualche anno è aperto un ristorante d’alta quota in cui è possibile assaggiare prodotti del territorio di ottima qualità e naturalmente il nostro gruppo non si lascia sfuggire questa occasione.
Alle 16.00 scendiamo a valle, qualcuno vorrebbe farlo a piedi dalla seconda stazione della funivia ma non è possibile, una nuova crepes allo Schuss un po’ di riposo e poi di nuovo al ristorante per la cena, questa sera lo chef consiglia zuppa al cavolfiore con legumi, sformato gratinato di patate con pancetta e formaggio e torta ai mirtilli.
Usciamo decisamente sazi, ma il pasto ipercalorico è adatto al clima invernale che improvvisamente ci accoglie, ci sono 5 gradi, sta piovigginando nella nebbia e ci dicono che al Pic nevichi con bufera, pensa un po’ se avessimo pernottato in quota…
Decido di incamminarmi a piedi per smaltire la cena mentre gli altri approfittano del passaggio di Patrick, ma tutti quanti ci troviamo presto bloccati in mezzo ad un foltissimo gregge di pecore che ha deciso di fermarsi per la notte proprio davanti all’ hotel. Ci vuole tutta la bravura di Fausto improvvisatosi pastore, per disperdere il gregge e consentirci l’accesso alla Mandia.
Stanotte naturalmente niente osservazioni, si rimane un po’ nella hall a chiacchierare e a guardare sul tablet di Claudio alcuni resoconti di viaggi passati. Antonella teme per l’indomani e per l’escursione a piedi al Cirque de Gavarnie, le previsioni meteo non sono buone e sarebbe una vera scocciatura, oltre che pericoloso, fare chilometri in montagna sotto la pioggia.
Invece la mattina del 29 si presenta con un cielo variabile tendente al bello, è proprio vero che in montagna le previsioni, per quanto accurate, non sono proprio affidabili.
Dopo la consueta colazione, siamo tutti sul pulmino per dirigerci a Gavarnie, passando prima dal colle di Tourmalet, una delle tappe del Tour de France e poi attraverso le buie gole di Gavarnie, rese ancora più suggestive dalle nubi basse e grigie.
Dopo circa 1 ora e mezza arriviamo alla meta, il cielo è quasi tutto azzurro ed il Cirque de Gavarnie si vede già in lontananza dal paese, un circo naturale di montagne di origine glaciale nel pieno del parco Nazionale dei Pirenei con al centro la cascata più alta d’Europa, 422m, uno spettacolo emozionante!
Ci raggiunge la nostra guida Ivan, un curioso personaggio che si definisce pireneista e non alpinista e che ci accompagna ad acquistare presso un piccolo negozio di alimentari alcune baguette con Jambon e fromage, oggi saranno il nostro pranzo durante la lunga camminata. Siamo pronti, si parte!
Iniziamo con un facile sentiero che ci fa avvicinare al Cirque, ma sostiamo quasi subito alla piccola Chapel de Notre Dame con piccolo cimitero annesso, uno dei punti di partenza del famoso Cammino di Santiago di Compostela, il confine con la Spagna infatti è vicinissimo.
Dopo circa un’ora, il percorso si allarga in un magnifico punto panoramico sul Cirque de Gavarnie, non sorprende che lo scrittore e poeta Victor Hugo abbia definito questa meraviglia della natura: “una montagna e una muraglia al tempo stesso” e ”un Colosseo naturale”, ricordando ai visitatori che “… non somiglia a nulla di quanto avete visto prima…”. Come dargli torto? Siamo tutti in silenzio mentre ammiriamo questo imponente arco di calcare grigio, rosato e ocra con una circonferenza di 1500m e la sua fragorosa cascata che precipita da 3000m di quota, creando un ruscello che saltella nei boschi circostanti. Semplicemente grandioso!
Claudio, esperto fotografo, decide di fermarsi qui, ci troveremo nel pomeriggio al pullman, noi invece proseguiamo il cammino, tra campi di salvia profumata, fiori multicolori, ponticelli che scavalcano il Gave de Gavarnie e fitti boschi in cui dice Ivan, vivono anche gli orsi. Il percorso si fa più ripido e alcuni rimangono un po’ indietro, ma alla fine verso l’una siamo tutti al rifugio Hotel du Cirque e de la Cascade, proprio sotto alla cascata.
Mi guardo intorno, da qualche parte in cima al Cirque si trova la “Breccia di Orlando”, una gigantesca fenditura nella roccia, che la leggenda attribuisce ad un colpo di Durlindana, la mitica spada del paladino di Francia nipote di Carlomagno, quando tentò di distruggerla per non lasciarla in mano ai Saraceni. Non è però il caso di affrontare il sentiero per arrivare alla Breccia, il cielo si sta annuvolando e fa piuttosto freddo.
Ne approfittiamo per un pic-nic al rifugio, prima di riprendere la marcia di ritorno, purtroppo sotto una fastidiosa pioggerella, ma va bene così, siamo stati anche troppo fortunati viste le premesse meteo, ci mancherebbe giusto l’ultima notte di osservazioni per mettere la ciliegina su questo meraviglioso viaggio, ma siamo pessimisti.
Di ritorno a La Mongie, piombiamo infatti in mezzo alle nuvole e ci ritiriamo allo Schuss per scaldarci a dovere e gustarci l’ultima cena a base di insalata golosa, filetto di maiale con legumi e dolce al cioccolato. A sorpresa, le ultime previsioni meteo parlano di una possibile apertura verso le 23.00 che durerà fino all’indomani mattina, ma pochi ci credono e quasi tutto il gruppo si ritira esausto in camera.
Rimaniamo solo io Ferruccio, Stefano ed Esther ad attendere nella hall la possibile schiarita che in effetti puntualmente arriva, assieme ad un forte vento che spazza via le nubi. Non c’è tempo da perdere, recuperiamo la strumentazione e ci posizioniamo nello spiazzo della prima sera.
Il cielo è bellissimo, probabilmente meglio di quello delle cime delle nostre Dolomiti, forse più buio, la Via Lattea ed il suo intricato sistema di nubi chiare e scure, tra cui un’evidentissima Pipe Nebula, ci dà il benvenuto. Partono le prime foto.
Mentre finisco di collimare il Dobson si sentono dei passi in avvicinamento, è Diego, che ha visto il cielo e si è deciso ad unirsi a noi. Era da un po’ di anni che non metteva l’occhio al Dobson e sorride compiaciuto osservando lo stupendo globulare M13 in Ercole e la nebulosa della Lira.
A quel punto tento qualcosa di più difficile come la galassia spirale vista di taglio NGC 4244 nei Cani da caccia, nei pressi della stella sigma e senza troppa fatica entra nel campo dell’oculare un tenue fuso sottilissimo e allungato (dimensioni 16,6’X 1’,9), la cui luminosità si aggira attorno alla decima. E’ la componente più luminosa di un gruppo di galassie vicine al nostro Gruppo Locale, la sua distanza è di 16 milioni di anni luce.
In quel momento una luminosa Bootide solca il cielo ricordandoci che in questi giorni si registra il massimo di attività di questo sciame di meteore. Poco dopo se ne vede un’altra lunghissima che parte dal Bootes e arriva fino a Pegaso. Ferruccio e Stefano procedono nelle foto, notando che anche ad occhio nudo è evidente il rigonfiamento luminoso nei pressi del centro galattico in direzione del Sagittario.
Punto un’altra galassia nelle vicinanze della precedente, anch’essa mai vista prima, la NGC 4214, si tratta di una galassia irregolare, visibile al Dobson come un piccolo batuffolo piuttosto luminoso e contrastato, la magnitudine è di 9,8 e le dimensioni 8,5’X6,6’. Nelle fotografie appare vagamente somigliante alla Piccola Nube di Magellano.
Proseguiamo con altri più famosi ed evidenti oggetti come l’ammasso aperto M11 e le nebulose M16, M8 ed M17, quest’ultima, la nebulosa Omega, definita da Diego e Stefano, l’oggetto più bello della serata, per la ricchezza di dettagli mostrati ed il contrasto con il fondo cielo, anche senza l’utilizzo di filtri nebulari.
E’ arrivato alla fine il momento di chiudere la serata osservativa, la stanchezza del trekking si fa sentire e mentre ripercorriamo con la strumentazione in spalla la strada che conduce alle nostre stanze, un’enorme galassia di Andromeda, impressionante già ad occhio nudo, ci saluta e ci dà l’arrivederci in questi stupendi luoghi.
E’ il coronamento di uno splendido viaggio al di sopra delle aspettative, che ci invoglia a tornare presto nel Sud della Francia, magari con una puntatina in Alta Provenza, anch’essa terra di osservatori astronomici e di cieli tesissimi!
LE FOTO DI AMBIENTE SONO DI: Ferruccio Zanotti, Massimiliano Di Giuseppe e Stefano Ottani
LE FOTO ASTRONOMICHE SONO DI: Ferruccio Zanotti e Stefano Ottani