UZBEKISTAN 2012: Venere in transito a Samarcanda
di Massimiliano Di Giuseppe
Eccoci di nuovo in viaggio, a solo due mesi dall’ultima impresa di Coelum viaggi in Islanda, la nostra meta è ora il lontano e misterioso Uzbekistan, in Asia Centrale, luogo prescelto per l’importantissima osservazione dell’ultimo transito di Venere sul disco del sole di questo secolo.
L’Uzbekistan in Giugno da garanzie di clima secco e sereno e consente un buon compromesso fra altezza del sole sull’orizzonte ( 50°all’uscita del pianeta) e durata del fenomeno, convincendoci rispetto ad altri possibili luoghi d’osservazione fra cui l’Italia stessa, in cui saranno visibili solo le fasi finali del fenomeno con il sole appena sorto e bassissimo sull’orizzonte.
Non meno allettante l’idea di andare alla a scoperta di questo affascinante paese attraversato in passato da viaggiatori e mercanti lungo la famosa Via della Seta, che si snodava tra città dai nomi evocativi e dalle forti suggestioni come Khiva, Bukhara e la mitica Samarcanda in cui prevediamo di fare l’osservazione del transito!
Ancora una volta l’organizzazione logistica è affidata a CTM Robintur e gli altri soggetti organizzatori, oltre alla rivista Coelum, sono Sait Puglia e Coop Camelot.
Siamo un bel gruppo, 33 persone e ci diamo appuntamento l’1 Giugno all’aeroporto di Malpensa per il volo notturno per Urgench, città anonima al confine col Turkmenistan. E ancora una volta si rinnova il rito dei saluti fra vecchi amici e compagni di avventure come Enrico Castiglia, Alberto Palazzi, Barbara Scura ( questa volta senza il marito Maurilio ), Carlo Muccini, Franca Baldecchi, Diego Pizzinat, Viviana Beltrandi, Paolo Minafra, Rosaria Colaleo, Gianpaolo Lucci, Mauro Tralli, Bruno Giacomozzi, Marco Marchiani, Giorgio Motta, Maurizia Negri, naturalmente Ferruccio Zanotti e i nuovi Paolo Banfi, Elena Mazzoleni Ferracini, Giorgio Ballabio, Maurizia Mattioli, Franco Catalano, Micaela Pederzolli, Giorgio Massignani, Roberta Ciorba, Roberto Cogliati, Paolo Leoni, Anna Gazzetti, Paola Lorenzetti, Giovanni Marletta, Silvana Rota, Flavio Turchi e Guerrina Scaglia.
Arrivati a Urgench e sbrigate le formalità doganali, usciamo all’aperto e un bel cielo limpido ci dà il benvenuto in Uzbekistan, per la guida e il pullman invece dobbiamo attendere una buona mezz’ora, prima dell’arrivo di Nutik, che si palesa nel piazzale dell’aeroporto e ci scorta al nostro pullman sulla cui fiancata campeggiano disegni di stelle e pianeti, speriamo siano di buon auspicio!
Dopo una mezz’ora siamo a Khiva, abbandoniamo il pullman prima della zona pedonale e siamo subito sopraffatti dalla bellezza dell’architettura uzbeka della città vecchia, la cosiddetta Ichan Kala dal 1990 patrimonio dell’UNESCO, perfettamente restaurata in epoca sovietica e racchiusa da un perimetro rettangolare di alte mura merlate.
Trasciniamo le pesanti valigie tra i vicoli sterrati le madrasse e i minareti variopinti, per raggiungere il nostro hotel Kheivak che si trova proprio nella città vecchia e un’atmosfera magica ci avvolge. Sembra di fare un viaggio nel tempo. Sono le 8 del mattino e c’è pochissima gente in giro, alcuni locali ci guardano incuriositi seguendoci con lo sguardo fino al nostro arrivo in hotel, bellissimo, con colonne in legno intagliato che sorreggono il tetto e il primo piano con balaustra panoramica. Depositiamo velocemente i bagagli e siamo subito pronti per immergerci nelle bellezze dell’oriente.
Nutik ci conduce lungo la strada principale che fiancheggia il bellissimo minareto di Kalta Minor, a forma tronco-conica veramente inusuale, interamente ricoperto di maioliche di tonalità verdi e azzurre, secondo la leggenda doveva raggiungere nel progetto iniziale i 70m, ma ci si fermò a 26 quando nel 1855 morì il suo committente, il khan.
Fotografando e filmando in continuazione, seguiamo Nutik fuori dalla porta principale, Ota Darvoza, con due torrette poste ai suoi lati e ci affacciamo su una piazza in cui si trova la statua di Al-Khorezmi, più noto come Algorithm, inventore dell’algebra, nativo proprio di Khiva. Si trova proprio di fronte alla Madrasa di Mohamed Amin Khan, della metà del XIX secolo, trasformata in albergo in epoca sovietica.
La nostra visita prosegue con la Moschea del Venerdì, o Moschea Juma del X secolo , peculiare perchè non ha portali nè cupole ma una grande e buia sala con 218 colonne di legno di olmo intagliato, alcune delle quali risalgono all’epoca dell’edificio originario e ci godiamo un po’ di frescura.
Osserviamo quindi all’interno della vicina moschea di Said Niyoz Shalikarbay del 1842, un vecchio Imam dalla lunga barba bianca che accetta di farsi fotografare in cambio di qualche piccola offerta e poi dopo una rapida visita al bazar sostiamo al palazzo di Tosh-Khovli, la residenza estiva del khan di Khiva: con harem, aula del tribunale, sala per le accoglienze ufficiali e oltre 9 cortili dalle pareti riccamente decorate da maioliche, fu realizzato tra il 1830 e il 1838.
Con il caldo in rapido aumento raduniamo a fatica il nostro gruppo numeroso alla madrasa di Kutlug Murad Inak del 1804 e al bellissimo minareto di Islam Khodja, eretto nel 1908 sotto l’ordine del primo ministro del Khan, considerato il simbolo di Khiva, alto 46,6m con una base di 9,5m è diviso in fasce parallele in cui si alternano mattoni cotti e maioliche smaltate. Il caldo però, anche se secco, ha superato i 40° e Nutik decide di riportare il gruppo, stanco e sfilacciato in albergo per il pranzo e per una sosta corroborante, le visite riprenderanno alle 17.00.
Con la luce meno accecante delle ore pomeridiane, i monumenti ora sembrano ancora più belli, a cominciare dalla madrasa di Mukhammad Rakhim Khan II del 1876, una delle più grandi di Khiva, con due cortili , una biblioteca e un piccolo museo dedicato ai costumi dell’epoca, per proseguire con il Kunja Ark, ovvero il palazzo-fortezza voluto dai sovrani di Khiva, costruito a più riprese a partire dal V secolo, che custodisce al suo interno, una prigione, una moschea, un harem, scuderie e una caserma.
Da qui si può salire all’antico bastione di Ak Sheik Bobo, dalla cui sommità godiamo di una magnifica vista sulla città, con le splendide mura dall’andamento serpentiforme: e’ il momento di una foto di gruppo.
All’uscita, alcune anziane tentano di venderci calzettoni e babbucce di lana realizzate rigorosamente a mano e tipici colbacchi, ma la spedizione ha in mente solo la cena.
Questa viene organizzata da Nutik in un locale all’aperto, il clima mite della sera invita a rimanere a chiacchierare, si fa conoscenza con i nuovi compagni di viaggio, alcuni come Giovanni e Roberto, hanno veramente girato il mondo e ci raccontano le loro avventure, mentre Nutik ci propone uno spettacolino folkloristico con 4 curiosi personaggi , tre suonatori dai denti d’oro( tipica usanza del luogo), una danzatrice piuttosto stagionata e un bambino con un colbacco bianco più grande di lui che canta, balla e si percuote la bocca creando curiosi schiocchi.
Al termine io e Ferruccio invitiamo tutti al riconoscimento delle costellazioni in un angolo appartato e silenzioso fra i vicoli e le Madrasse, riparato dalla poche luci tra l’altro perfettamente schermate e a norma delle più stringenti leggi europee in materia di inquinamento luminoso. La Luna che sale dietro ai minareti, tuttavia con il suo splendore ci impedisce di utilizzare i telescopi per osservazioni deep sky più approfondite, ma questo lo sapevamo e siamo comunque felici e rilassati in questa atmosfera decisamente romantica.
3 Giugno, Nutik ci prepara spiritualmente alle 11 ore di pullman su strade dissestate che ci attendono per il nostro trasferimento di 480 km a Bukhara, faremo solo qualche sosta tecnica e il pranzo, coraggio…
La cosa curiosa è che accanto alla disastrata pista dei tempi della Via della Seta che stiamo percorrendo, c’è una bellissima strada asfaltata nuova fiammante, ma Nutik ci dice che non possiamo percorrerla perchè non è stata ancora inaugurata ufficialmente dalle autorità, mah!
Attraversiamo sterminate piantagioni di cotone volute ai tempi dell’URSS negli anni ’60 e ottenute deviando gli affluenti dei fiumi Amu Darja e Syr Darya per l’irrigazione intensiva, provocando uno dei più grandi disastri ecologici del mondo e cioè la riduzione di ¾ del volume del lago d’Aral, con conseguenze climatiche, ambientali e sanitarie ( introduzione di pesticidi e diserbanti ) catastrofiche.
Ci fermiamo in un punto panoramico sull’Amu Darja per scattare qualche foto poi riprendiamo l’estenuante attraversamento del deserto di Kyzil Kum tra sobbalzi, caldo e polvere e ci si mette pure un fastidioso ronzio del condizionatore del pullman che annaspa cigolando per contrastare sempre meno efficacemente il caldo feroce. Stiamo percorrendo la stessa strada dei mitici camion arancioni della spedizione Overland, che ha girato il mondo, passata di qua nel Maggio del’99 e rivivo l’incontro avvenuto recentemente, lo scorso Novembre a Nove ( VI) con Beppe Tenti, il capo spedizione.

L’incontro con Beppe Tenti-Overland
Sostiamo poi per il pranzo in una sorta di autogrill frequentato da camionisti di passaggio e a parte l’aspetto trasandato (in cucina ci sono numerosi nidi di rondini !), gli spiedini di carne sono veramente ottimi. Il pranzo si conclude con un immancabile bicchiere di Vodka, che facciamo bere con l’inganno anche all’astemia Elena, fra le risate generali.
L’odissea continua, la steppa è veramente monotona, molti dormono, Enrico ne approfitta per lavorare al computer e iniziare a comporre il consueto filmato del viaggio, Carlo e Ferruccio approfondiscono tecniche strumentali di ripresa del transito, altri ancora ridono allegramente nonostante i disagi.
Finalmente, quando sono ormai le 18.00 siamo in vista di Bukhara, la “nobile”, città medievale, che ha avuto il suo massimo splendore tra il IX e il X secolo quando era capitale dello stato samanide ed il cuore culturale e religioso dell’Asia Centrale.
Arriviamo al nostro Hotel Malika, anche questo in pieno centro storico e dopo esserci rinfrescati a dovere, ceniamo sul terrazzo dell’hotel prima di un breve giro della vicina piazza, che ospita il complesso del Lyabi-Khauz, con tre costruzioni storiche che si affacciano su una grande vasca con fontane, di cui la Madrasa di Nadir Divanbeghi è la più suggestiva, illuminata di verde.
Ma la stanchezza accumulata nel lungo trasferimento si fa sentire e ci ritiriamo presto nelle nostre stanze.
Il mattino del 4 Giugno ci riserva una sorpresa, nuvole grigie incombono su Bukhara e chi si è alzato alle 6 dice addirittura di aver assistito ad uno scroscio di pioggia! Le certezze sull’osservazione del transito cominciano a vacillare, anche se fra 2 giorni le previsioni continuano a promettere cielo limpido. Speriamo…
La prima visita prevede il prezioso mausoleo di Ismail Samani del 905 , a forma di cubo (un rimando alla Mecca), sovrastato da una cupola in mattoni simboleggiante l’universo, attorno al quale facciamo tre giri benauguranti in senso antiorario su consiglio di Nutik. Gli elementi architettonici derivano dalla tradizione zoroastriana, unita alle conoscenze matematiche più evolute del tempo.
Poi ci trasferiamo al vicino Chasma i Ayub, luogo sacro costituito da un gruppo di costruzioni del XII secolo di cui una con cupola conica, che conserva la “fonte di Giobbe”, il quale secondo la leggenda fece scaturire l’acqua miracolosamente dal terreno in un momento di siccità, ancora oggi la gente beve da questa fonte considerata curativa.
Le nuvole ora sono più sfrangiate e appare il cielo azzurro quando ci rechiamo alla moschea Bolo-Khauz, eretta nel 1712 e luogo di culto dell’emiro,è preceduta da un porticato di 20 colonne in legno di noce, olmo, pioppo e sicomoro che sostengono un soffitto riccamente decorato, l’ayvan, alto 12,5 m, che si riflette sull’acqua trasparente di una vicina vasca.
Il nostro gruppo attraversa una strada trafficata e si ricompatta di fronte all’Ark, la fortezza, residenza dell’emiro, eretta 2000 anni fa, distrutta e ricostruita numerose volte, è circondata da mura fortificate poderose, alte dai 16 ai 21m, con un’entrata costituita da due torri collegate da una galleria. Noi tuttavia passiamo oltre, il programma prevede una sosta al bazar e successivamente la visita di una delle attrazioni più spettacolari di Bukhara, il complesso di Poi-Kalon, con il caldo in rapido aumento e con cielo completamente sereno.
Poi Kalon e’ composto dalla moschea del venerdì, dalla madrasa di Miri Arab e dal minareto Kalon, simbolo di Bukhara, alto 46 m, eretto nel 1127, che servì come un faro per le carovane dirette verso la città e ancora intatto dopo quasi 900 anni.
Entriamo nello splendido cortile della moschea del venerdì, in grado di contenere fino a 10.000 persone, circondato da una galleria di archi che si presta a suggestive inquadrature fotografiche.
Di fronte si trova la Madrasa di Miri Arab del 1535, con splendida facciata ricca di mosaici e due cupole turchesi che brillano al sole, ancora oggi centro importante degli studi islamici e quindi non aperta ai turisti, ci accontentiamo perciò delle spiegazioni di Nutik seduti all’ombra del portale.
La mattinata di visita termina con una sosta in un negozio di tappeti e di suzani(quelli di Bukhara sono particolarmente rinomati ) in cui ci vengono illustrate le principali lavorazioni e servito un te’, poi, dopo essere passati per il bazar coperto, torniamo brevemente in albergo per il pranzo e per un po’ di riposo.
Nel tardo pomeriggio passeggiamo nella residenza estiva degli ultimi emiri di Bukhara, ovvero il palazzo Sitorai Mokhi Khossa ( 1911 ), il cui nome tradotto significa ” dove la Luna si incontra con le stelle”, con padiglioni, giardini, parchi e un harem con piscina in cui l’emiro, dal suo baldacchino sfarzoso, sceglieva le concubine per la notte e poi dopo aver attraversato un dedalo di vicoli scalcinati arriviamo al più suggestivo dei monumenti visti a Bukhara, la madrasa Chor Minor ( 1807), composta da 4 minareti con le cupole turchesi che danno il nome alla madrasa.
Alte 17 m, le torri simboleggiano le 4 città Damasco, Bukhara, Samarcanda e Baghdad. Naturalmente ci arrampichiamo in cima ad una di queste per osservare il panorama dall’alto.
Le visite della giornata terminano infine con il complesso del Lyabi Kauz vicino al nostro albergo e Nutik ci mostra le decorazioni sul portale della madrasa di Nadir Divanbeghi, che raffigurano animali come uccelli mitologici e gazzelle cosa piuttosto inusuale per l’Islam.
Nel parchetto di fronte alla madrasa si trova anche la statua di Khodja Nasriddin su di un asino, il mullah più famoso dell’islam sufi, un saggio che protesse i poveri e lottò per la giustizia e quindi molto amato dal popolo. Nella parte ovest della piazza si trova invece il khonako di Nadir Divanbeghi in cui i Dervisci vaganti dormivano e pregavano e infine la madrasa di Kukeldash.
Mentre torniamo all’albergo attraversando la piazza notiamo molti uzbeki seduti su tipici letti conviviali chiamati sorè, intenti a chiacchierare e a giocare a domino all’ombra dei gelsi.
A cena torniamo alla madrasa di Nadir Divanbeghi nel cui cortile viene allestito un banchetto con contorno di suonatori e danzatrici con uno spettacolo folkloristico decisamente superiore a quello visto a Bukhara e una sfilata di moda conclusiva.
5 Giugno facciamo le valigie e siamo pronti per ripartire con il nostro pullman mentre un’anziana ci sparge incenso addosso in segno benaugurante, in effetti ne abbiamo bisogno, il cielo si sta riannuvolando e il transito avverrà l’indomani. Oggi ci aspettano 300km per arrivare a Shahrisabz, che raggiungiamo dopo aver toccato il punto più vicino al confine afgano nei pressi della città di Guzar.
Shahrisabz si trova invece vicinissima al Tajikistan ed è la città natale di Tamerlano ( 1336-1405), il condottiero qui considerato il padre della patria la cui statua campeggia nella piazza principale. Si cominciano a intravedere le montagne del Pamir, anche il clima è decisamente più fresco e gradevole.
A Shahrisabz purtroppo si possono ammirare solo le imponenti rovine di splendidi monumenti che abbellivano in passato la città, come la gigantesca entrata dell’Ak Saray, il palazzo bianco utilizzato come residenza estiva da Tamerlano, che un tempo mostrava archi larghi 22 m che sostenevano torri di 40 m, con decorazioni smaltate color oro blu e verde.
Ci spostiamo successivamente al mausoleo di Dorus Siadad, costruito dopo la scomparsa prematura di due dei figli di Tamerlano. La parte più visibile di questo sito è la torre di Jenhangir con annesso mausoleo dedicato al figlio omonimo, alta 27 m. Nel giardino la leggenda voleva che si trovasse anche la cripta di Tamerlano, ma in questa tomba, riscoperta solo nel 1963 da una bambina che vi cadde dentro accidentalmente , furono trovati due corpi le cui identità rimangono ancora oggi un mistero.
Poi la vicina moschea blu Koz Gumbaz, dalla cupola blu costruita nel 1435,con un raccolto cortile davanti all’entrata molto bello, con alberi di gelso e ciliegi, in cui si affacciano anche la casa della meditazione Dorut Tilyavat e la moschea del venerdì. Il cielo è di nuovo limpido e le previsioni per domani sono perfette, tutto il gruppo tira un sospiro di sollievo.
Dopo un ottimo pranzo, il migliore di tutto il tour, riprendiamo la marcia di avvicinamento a Samarcanda, antica capitale dell’impero di Tamerlano, Timur lo zoppo, mancano ormai solo 170 km. Il primo impatto ci restituisce una città ordinata e immersa nel verde, con l’immancabile statua di Tamerlano alla prima rotatoria. Ma ci preme arrivare in tempo all’osservatorio di Ulug’beg, luogo che abbiamo scelto per l’osservazione del transito , faremo un primo sopralluogo per verificare l’orizzonte libero da ostacoli e la disponibilità di corrente elettrica.
Dopo una scalinata, arriviamo in cima alla collina di Kukhak in cui sorgeva l’antico osservatorio e l’orizzonte si allarga su un gigantesco piedistallo circolare in pietra tagliato in due da un tunnel semicilindrico collegato a sua volta ad un portale ornato di maioliche. Entrando dal portale ammiriamo la parte interrata di un gigantesco sestante posizionato lungo il meridiano della città.
E’ tutto ciò che resta dell’osservatorio eretto nel 1428 da Ulug’beg, principe-astronomo nipote di Tamerlano, che volle realizzare il più grande osservatorio astronomico del mondo con un sestante di 40m di raggio, in parte scavato nella roccia e in parte eretto in muratura. Attorno al sestante fece erigere un edificio cilindrico su 4 livelli alto 35m e largo 60. Ogni livello poggiava su decine di pilastri e si apriva su una serie di 28 portali simboleggianti le 28 case del ciclo lunare, mentre sul tetto si trovava un gigantesco regolo parallattico per il calcolo dell’azimut e un grande foro utilizzato dall’osservatore per traguardare gli astri spostandosi su un telaio provvisto di sedile che scorreva lungo il sestante. L’osservatore posizionato sul sedile, tra due muri paralleli, con un sistema di mire, misurava con precisione quando l’astro passava in meridiano. Tutto ciò permise a Ulug’beg di compilare un catalogo stellare, il “Zidji Kuraganiy”, con le coordinate di 1018 stelle, misurate con la precisione per l’epoca straordinaria di 2″d’arco!
L’osservatorio rimase in funzione fino alla morte di Ulug’beg avvenuta nel 1449, attirando astronomi da ogni parte dell’Islam, poi andò rapidamente in rovina e addirittura ci si dimenticò dove sorgeva fino alla sua riscoperta avvenuta nel 1908 dall’archeologo Vladimir Vyatkin. Dopo un conciliabolo sul punto esatto in cui sorgerà il sole con tanto di bussole e arditi calcoli, siamo tutti d’accordo ,l’indomani all’alba saremo lì! Ci divideremo però in due gruppi, il primo, quello dei più stoici partirà prima dell’alba alle 4.30, il secondo più comodamente arriverà alle 8.30, tanto il transito durerà fino alle 10 del mattino.
Arriviamo quindi al nostro hotel Konstantin, decisamente sovietico nell’architettura e a cena festeggiamo i 30 anni di matrimonio di Diego e Viviana con relativa torta prima di coricarci per qualche ora di sonno.
6 Giugno, ore 3.45, la sveglia suona, ore 4.00 carico il telescopio rifrattore Borg 102 mm con montatura e cavalletto Tansutzu sul pullman, seguito alla spicciolata dagli altri compari, il cielo è stellato. Ore 4.15 facciamo colazione nell’apposita sala con tè e dolcetti e alle 4.30 mentre saliamo sul pullman avvistiamo nel cielo cobalto la ISS, per molti del gruppo è la prima volta.
Ore 4.45: la prima spedizione di Coelum sale lentamente nel buio i ripidi gradini che portano all’antico osservatorio astronomico di Ulug’beg, siamo avvolti dal silenzio, si odono solo i rumori dei nostri passi pesanti e i commenti euforici sul meteo.
Il cielo è limpidissimo.
Meno male, pensiamo, non ci saranno repliche del transito di Venere sul Sole fino all’11 Dicembre 2117 e pur non ponendo limiti alla provvidenza e ai progressi della medicina, riteniamo improbabile di camminare ancora sulla Terra in quella data.
Pensiamo alla diversa sorte capitata ad astronomi del passato come Alexandre-Guy Pingrè o allo sfortunatissimo Le Gentil de la Galisière: il primo dovette fare i conti con gli arrembaggi dei pirati per osservare il transito dall’Oceano Indiano, mentre il secondo non vide nè quello del 6 Giugno 1761 a causa di un conflitto tra Francia e Inghilterra nè il successivo del 3 Giugno 1769 a causa del maltempo. Tornato in patria dopo 11 anni scoprì che era stato dichiarato morto e di conseguenza aveva perso il posto di lavoro e la moglie aveva trovato nel frattempo un nuovo marito!
Continuiamo a salire sbuffando, ognuno di noi porta in spalla il proprio strumento e la propria attrezzatura fotografica, ce n’è per tutti i gusti, dal semplice binocolo alla faraonica attrezzatura di Carlo comprendente Montatura Celestron CG-5GT con contrappeso da 5 kg, barra Geoptik doppia, Telescopio Astro-Physics 92 con filtro Coronado 90 < 0,7A, Telescopio WO 66 ED con prisma di Herschel autocostruito e adattatore 2″-31,8mm di Adriano Lolli, Camera CCD DMK41 b/w, batteria Tracer 14 Ah agli ioni di Litio, Computer Netbook eeePC e per finire l’Homo Nero, un telo nero per avvolgersi interamente e vedere comodamente lo schermo del computer nonostante la forte luce solare!
Ma anche altri non sfigurano come il rifrattore William Optiks WO 80 APO con filtro Pentax Ultrawide di Enrico, lo Spotting Scope Leika Televid 77 APO di Alberto, il Nikon EDG 85 di Giorgio, lo Stellarvue 60 di Bruno e il raffinatissimo binocolo Swarovsky di Paolo.
Arrivati in cima, con un senso di trionfo e soddisfazione osserviamo ad est l’albeggiare metallico e ad ovest una luna argentea quasi piena che lentamente si avvia al tramonto. Cerchiamo di immaginarci come doveva essere questo vero e proprio colosso mentre saliamo sul piedistallo con il permesso del direttore dell’osservatorio e iniziamo a posizionare gli strumenti, Nutik, riesce anche a fornirci una prolunga con la corrente elettrica.
Inizia l’attesa, il sole sta per sorgere sono le 5.09, l’aria è fresca, ma ancora per poco, presto i cocenti raggi solari che ci hanno accompagnato in questi giorni si faranno sentire e tornerà utile la scorta di bottiglie d’acqua portate dall’albergo. Eccolo, il globo rosso del sole emerge dagli alberi di una lontana collina e va ad illuminare i primi contrafforti della catena del Pamir coperti di neve, un rapido sguardo con gli strumenti ci mostra il nerissimo dischetto di Venere che dalle 3.06 ora locale ha già iniziato a percorrere il suo transito sulla nostra stella, l’emozione è forte.
Partono i primi scatti anche se è ancora presto per ottenere qualcosa di buono, il sole è ancora troppo vicino all’orizzonte e la turbolenza si fa sentire, ma gli animi sono sereni, sono lontane anni luce le preoccupazioni sullo spread, le ansie del terremoto e tutti sono presi da un’atmosfera di meraviglia e di stupore davanti a un fenomeno così raro, che si verifica mediamente solo due volte in un secolo. Proviamo a immaginarci anche lo stupore di Ulug’beg, se oggi fosse qui con noi e potesse mettere un occhio all’oculare, chissà cosa penserebbe dei progressi dell’astronomia e cosa penserebbe della nostra spedizione, moderni carovanieri sulla Via della Seta, giunti dall’Italia per assistere a questo fenomeno dopo aver attraversato città da mille e una notte come Khiva, Bukhara, Shakrisabz, con le loro Moschee e Madrasse dalle cupole turchesi e dalle maioliche lucenti e aver sperimentato strade dissestate e polverose in mezzo alla steppa, ancora oggi identiche ad allora.
Strani personaggi questi astrofili, penserebbe. Forse scambierebbe qualche parola con Alberto, il dottore dal copricapo arabo che forse lo farebbe sentire a suo agio, o con Bruno, inginocchiato nelle osservazioni su un tappeto di Bukhara. O forse si intratterebbe più volentieri con la gentile Elena?
Gian Paolo guarda con inquietudine una sagoma nera e informe da cui spunta una sola mano: l’Homo Nero è entrato in azione, il Sole si è alzato e le macchine fotografiche e le telecamere funzionano a pieno ritmo. Il prisma di Herschel rivela una stupenda granulazione fotosferica, mentre i filtri h-alfa fanno emergere piccole protuberanze dal bordo solare.
Arriva il nostro secondo gruppo, preceduto da un vociare diffuso e allegro e tutti si precipitano all’oculare dei vari strumenti con esclamazioni di stupore. Sono tutti freschi e riposati ma si sono persi probabilmente la parte più suggestiva di tutto il fenomeno. Venere continua la sua marcia, il tempo scorre veloce mentre ci alterniamo ai vari strumenti e anche i locali, vincendo la timidezza accorrono per osservare il fenomeno.
Venere, la dea della bellezza si rispecchia nella grazia e nell’eleganza delle bellezze uzbeke, gli occhi a mandorla e i lineamenti tradiscono la vicinanza con l’oriente, ma è facile vedere anche tipologie più occidentali, d’altronde l’Uzbekistan è una terra di transito, in cui sono confluite tante razze fin dai tempi di Alessandro Magno, passando successivamente al dominio mongolo di Gengish Kahn, di Tamerlano fino ad arrivare alla più recente annessione sovietica, da cui il paese si è reso indipendente nel 1991.
Ormai siamo giunti quasi al termine del fenomeno, Venere vicinissima al bordo crea il suggestivo fenomeno della black drop, la goccia nera, che sembra congiungere il disco del pianeta al bordo del sole poco prima che vi sia il terzo contatto, ma si tratta di un artefatto dovuto alla turbolenza e non è visibile negli strumenti più raffinati. A Ferruccio riesce invece la difficile ripresa dell’atmosfera di Venere illuminata in controluce con il pianeta a metà del bordo solare.
Alle 9.54 avviene il quarto contatto, salutato da uno scrosciante applauso,la missione è compiuta, si posa assieme per una foto di gruppo, una foto storica per un fenomeno storico, perfettamente ambientato in un luogo simbolo che ha dato al transito un valore aggiunto veramente notevole.
Stanchi e accaldati ma felici visitiamo l’attiguo museo dedicato all’osservatorio e a Ulug’beg, una delle figure culturali più importanti in Uzbekistan insieme al già citato Algorithm e al medico-filosofo Avicenna , poi ci dirigiamo sulla collina di Afrasiab e al museo di storia nazionale che conserva affreschi del VII secolo.
E’ quindi il momento del Mausoleo di Tamerlano, bellissimo, chiamato Gur-Emir ed eretto nel 1404, divenne il sepolcro famigliare della dinastia di Tamerlano, i Timuridi. Il complesso è costituito da 3 costruzioni, il portale d’entrata, il khonako ( ospizio dei dervisci ) , una madrasa ed è coronato da una bellissima cupola di 12,5 m con 64 nervature rivestite di mattonelle blu.
Al suo interno troviamo i sarcofagi del grande Emiro, con una lapide di giada verde scuro, del nipote Ulug’beg, di altri suoi 2 figli e del suo maestro Sheikh Umar. Dopo il pranzo e un po’ di riposo ci rechiamo al complesso commemorativo dell’imam Al Bukhoriy, che raccolse la versione più completa degli scritti di Maometto, preceduto da un bellissimo roseto, che nella luce radente del tramonto crea un’atmosfera di pace e serenità , che ci accompagna tra cupole turchesi, maioliche e intarsi di onice veramente magnifici.
Rimaniamo poi bloccati una buona mezz’ora con il pullman per i festeggiamenti di un matrimonio mentre ci rechiamo all’ultimo monumento della giornata di cui rimangono solo i ruderi, il mausoleo di Ishrat Khana, detto la ” casa della gioia”.
Il 7 Giugno è il giorno della magnifica piazza Registan ( luogo sabbioso nella traduzione delle parole ), una delle piazze più belle del mondo, delimitata scenograficamente da 3 imponenti madrase con i loro minareti, che realizzano uno dei più straordinari esempi di arte islamica di tutta l’Asia Centrale.
La prima che visitiamo è quella di Sher Dor ( 1619), o dei leoni, raffigurati sulla facciata principale con il sole alle spalle, derivano probabilmente dal culto preislamico dello Zoroastrismo. Poi entriamo in quella di Tillya Kari ( 1646), nome dovuto alle pitture dorate presenti nell’interno che si mescolano alle citazioni del Corano.
Nutik ci spiega che in Uzbekistan la religione islamica è decisamente moderata e difatti le donne circolano tranquillamente senza chador sia nelle strade che nelle madrase. Tra l’altro quasi tutte le stanze che si affacciano sui cortili interni delle tre madrase sono oggi adibite a negozietti di souvenir e particolarmente interessante risulterà la visita ad un negozio di strumenti musicali in cui il titolare si presta a farci sentire il suono di quelli a corda , a fiato e a percussione. Pure il sottoscritto avrà l’onore di sperimentare una sorta di liuto tra l’entusiasmo del pubblico. Altro momento saliente un negozio questa volta di costumi tipici fatti indossare comicamente ad alcuni del nostro gruppo.
Infine la madrasa più antica, quella di Ulug’beg (1417 ) in cui si studiava non solo la teologia ma anche discipline laiche come l’astronomia, la matematica, la geografia e la filosofia come testimoniano all’interno del cortile un gruppo di statue in bronzo che raffigurano l’astronomo con i suoi discepoli.
Poi ci dirigiamo alla bella moschea di Bibi Khanum ( 1399), dedicata alla moglie preferita di Tamerlano, era una delle moschee più grandi e per la sua costruzione furono impiegati addirittura gli elefanti. E’ composta dal portale d’entrata, dalla moschea grande e da altre due moschee piccole ai lati del cortile nel cui centro si trova un grande leggio di marmo sul quale il venerdì veniva posato il Corano di Osman, ritenuto il più antico del mondo, oggi a Tashkent. La leggenda vuole che il luogo abbia poteri miracolosi e notiamo a questo proposito alcune anziane girare attorno al monumentale leggio pregando.
Dopo un veloce passaggio al vicino mercato Siab, ci rechiamo a pranzo nello stesso ristorante del giorno precedente e dopo un po’ di riposo ci aspettano le ultime visite a Samarcanda come la necropoli dei nobili di Shaki Zinda e i suoi 11 edifici monumentali funebri di altissimo livello tecnico ed estetico, il più antico dei quali risale al 1350, a cui si accede da una scalinata di 40 gradini.
In uno di questi mausolei si dice riposi Qusam ibn Abbas, colui che diffuse l’Islam in questa regione e cugino di Maometto. Ripassiamo per l’ultima volta al Registan e al mausoleo di Tamerlano nella luce del tramonto e ritorniamo infine in albergo per l’ultima cena a Samarcanda, con visione di foto e filmati di questo viaggio ( splendidi i filmati del transito di Ferruccio e Carlo!).
L’8 Giugno ci dirigiamo a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan, dopo aver superato il fiume Syr Daria e rimaniamo impressionati dalle enormi piazze e dai giardini ben curati di questa città, così come ci avevano impressionato la pulizia, l’ordine e i perfetti restauri dei siti storici visitati in tutto il nostro tour.
Tashkent, ai piedi della catena del Tien Shan, confinante col Kazhakstan è la principale metropoli dell’Asia Centrale con ben 2,3 milioni di abitanti ed è un insolito connubio tra il passato islamico ed il più recente dominio sovietico. Ci fermiamo a pranzo in un lussuoso ristorante in cui ci viene servito addirittura pesce e all’aeroporto alla fine salutiamo Nutik, il suo favoloso paese decisamente al di sopra delle aspettative e la sua gentile e cordiale popolazione che hanno reso ancora più affascinante e indimenticabile questo transito di Venere.
Appuntamento a questo punto al 20 Agosto del 2030, quando il transito sarà visibile da Marte e Coelum Viaggi sarà ormai da tempo una realtà del turismo spaziale privato!
resoconti di viaggi che rimangono impressi nella memoria e tingono di azzurrite ricordi ancorati in cieli luminosissimi, impreziositi da parole che arrivano e si accomodano nel cuore. Grazie Max!