ALGERIA 2007:GEMINIDI DAL TASSILI
di Massimiliano Di Giuseppe
Questa volta all’aeroporto di Roma-Fiumicino siamo solo in 5: Alberto Palazzi detto “Albertofi”, già con noi ad Antigua, Austria e Capo Verde, Maurilio Grassi, vecchia conoscenza dei nostri viaggi, due volte in Cile e poi in Libia e Marocco, l’immancabile Esther Dembitzer ( Zambia, Norvegia,Cile,Capo Verde, Libia, Egitto e Marocco), la new-entry Giovanna Giovannini di Ferrara ed il sottoscritto.
Il viaggio organizzato come di consueto in collaborazione con la rivista Coelum e l’agenzia viaggi CTM Robintur di Modena si prospetta più avventuroso del solito, la meta è infatti l’Algeria, un luogo estremamente affascinante in cui osservare la pioggia di stelle cadenti Geminidi, che ogni anno attestano uno ZHR di oltre 100 meteore all’ora, ma piuttosto problematico per l’ottenimento dei visti d’ingresso, subordinati ad un preciso divieto di portare strumentazione astronomica .
Questo fatto, unito ai recenti attentati, fa sì che l’8 Dicembre l’aereo per Algeri parte con pochi temerari che vi giungono alle 18.00, curiosi dei controlli a cui saranno sottoposti. Io per ovvi motivi rinuncio a portare il fedele Dobson da 25 cm e la stessa cosa fa Esther con la sua strumentazione, Alberto, munito di teleobiettivo Spotting-scope passa indenne i controlli, mentre a Maurilio e Giovanna vengono prontamente requisiti i binocoli.
Gli addetti sono gentili e si scusano per i sequestri, ma gli ordini sono ordini. Dobbiamo a quel punto trasferirci all’aeroporto dei voli nazionali per raggiungere a notte fonda Tamanrasset, nel cuore del massiccio dell’Hoggar, ove arriviamo alle 3 di notte, in un aeroporto assolutamente buio,in questo viaggio non avremo certo problemi di inquinamento luminoso. Mentre attendiamo i bagagli veniamo salutati dalle guide della Tucano viaggi, l’anziano Moloud e Moussa Boutegui, responsabile dell’hotel Bois Petrifie, in cui alloggeremo poche ore prima dell’inizio di un’avventura con la A maiuscola.
Moloud è gentile e comprensivo e dopo il nostro breve riposo ci attende per la colazione e per un breve giretto in mattinata del paese, situato a 1400m di quota. Confortati da un cielo limpidissimo, attraversiamo il vivace mercato e diamo uno sguardo alle botteghe dell’artigianato in cui campeggia un simbolo a forma di forcella chiamato la “chiave dell’Hoggar” e poi ci attende il fortino, prima casa di padre De Foucauld, figura leggendaria di missionario, il primo degli europei che all’inizio del XX secolo si avvicinò ai Tuareg e ne studiò la lingua e la cultura. Pranziamo all’hotel e poi saliamo sui fuoristrada che ci accompagneranno fin sulla cima dell’Assekrem a ben 2726m! Siamo diretti verso le cime vulcaniche dell’Atakor, la parte centrale della catena dell’Hoggar.
Il paesaggio di sabbia scompare corrugandosi in grandiosi canyon, rocce gigantesche e pinnacoli. Il picco lavico di Hinaren è molto simile al “picco del diavolo” di incontri ravvicinati del terzo tipo nel Wyoming, con le ripide pareti con evidenti scanalature.
Ma tutto il paesaggio è molto simile all’Arizona, solo che qui il colore dominante è il giallo anziché il rosso: la spedizione è entusiasta. Facciamo una sosta nella stretta gola rocciosa dell’Ouet Melet, dove si aprono 5 cavità naturali ( le cosiddette marmitte dei giganti) che raccolgono l’acqua piovana e ove affiora una sorgente sotterranea.
Alcuni ripidi e stretti tornanti ci portano infine all’Assekrem e qui con il sole ormai al tramonto, arriviamo presso una semplice costruzione in pietra, un rifugio, dotato di camerate con materassi e coperte, una sala per mangiare adornata da splendidi tappeti e una cucina. Decidiamo di effettuare subito l’ascesa al colle per ammirare il tramonto dall’eremo di Charles De Foucauld, che raggiungiamo dopo una mezzoretta di cammino.
La vista sulle cime dell’Atakor è davvero mozzafiato: le guglie dell’Akar Akar sono immerse nella violacea ombra della Terra, rendendo ancora più affascinante quello che viene definito il “castello di Antinea”, la mitica regina di Atlantide, il favoloso regno che alcune leggende volevano sorgesse proprio tra queste montagne.
Il silenzio è assoluto, l’Assekrem è proprio il luogo adatto per una vita di misticismo come quella scelta da padre De Foucauld.Quando le prime stelle occhieggiano in un cielo che si fa sempre più scuro cominciamo la discesa; non è prudente viaggiare nel buio anche se confortati dalla luce della torcia.
Al rifugio ci contiamo…manca Albertofi, arriverà…qualcuno dice di averlo visto dietro di noi…ma sì, non c’è da preoccuparsi. Tuttavia il tempo passa e di Albertofi nessuna traccia, avvertiamo Souliman, uno dei due autisti, un simpatico e allegro Tuareg, con la faccia profondamente segnata da rughe.
Ci dice che è impossibile perdersi, ma non siamo tranquilli ed io con Maurilio decidiamo di ripercorrere il sentiero che porta all’ermitage chiamando a gran voce il disperso. Cominciamo a temere seriamente che sia caduto in qualche dirupo.
Guardo in alto il cielo è gremito come non mai e la cometa Holmes di terza magnitudine, è un pallone nebuloso in Perseo. Scrutiamo l’oscurità, vediamo una lucina in lontananza che scende incerta lungo il sentiero. Chiamiamo:” Alberto!”Nulla, ma la luce si avvicina, si intravedono due ombre più scure dell’oscurità, una delle due visibilmente claudicante.
E’Alberto con Souliman che ci ha preceduto facendo una scorciatoia!Gli andiamo incontro”Cos’è successo? Come stai?Con un filo di voce ci dice di essere inciampato e ruzzolato giù dall’eremo perdendo tra l’altro gli occhiali. Ha passato un brutto quarto d’ora e senza occhiali pensava proprio di essere perduto.
Non si sa come e dobbiamo benedire in questo caso il sesto senso dei tuareg, Souliman è riuscito a scovarlo e addirittura ha trovato gli occhiali. In sostanza gli è andata di lusso, con una leggera ammaccatura del ginocchio. Andiamo quindi tutti a cena festeggiando l’avvenuto ritrovamento e ringraziando ancora una volta Souliman.
Nel frattempo la temperatura è precipitata abbondantemente sotto lo zero e dobbiamo indossare tutta l’attrezzatura invernale. Un’oretta di osservazioni con binocolino e teleobiettivo di Alberto che ci mostrano un assaggio di ciò che potevamo vedere con il Dobson, salutiamo Canopo e Achernar e come di consueto aiuto Esther a fotografare qualcosa, mentre Giovanna è letteralmente entusiasta per tutto ciò che ha visto in questa prima intensa giornata algerina.
Ci ritiriamo nella camerata in un discreto gelo. Mi sveglio alle 6, guardo ad est, l’orizzonte è tinto di rosso e di giallo e il sole sta per sorgere dietro al castello di Antinea! Si svegliano anche gli altri e sfoderano l’attrezzatura fotografica. Semplicemente magnifico! Dopo una frugale colazione salutiamo il rifugio e l’Assekrem per dirigerci nuovamente a Tamanrasset. Sulla strada Souliman avvista lontanissime gazzelle, che riesco a scorgere solo mettendo al massimo lo zoom della telecamera. Pranziamo ancora una volta al Bois Petrifie in cui ci attende Moloud, prima di dirigerci attraverso una lunga pista sterrata che ci porta nei pressi del villaggio tuareg di Irafok e del’oasi di Ideles.
I paesaggi sono sempre diversi e gli spazi immensi tolgono il respiro. Finora non abbiamo incrociato nessun altro turista. Poco prima del tramonto ci apprestiamo a preparare il campo tendato nello sperduto Oued Telouat, un antico fiume prosciugato in cui cresce una rada vegetazione cespugliosa. Brodo con carne per cena mentre sopra di noi il cielo è ancora una volta eccezionale.
Identifico lo scultore, molto alto e con il teleobiettivo diventano evidentissimi la galassia NGC 253 e l’ammasso globulare NGC 288. Passiamo in rassegna i principali oggetti invernali con una spettacolare M 42, ma purtroppo non posso chiedere allo Spotting Scope di rintracciare i deboli oggetti che mi ero prefissato.
Ci ritiriamo in tenda ancora una volta al gelo mentre vicini dromedari lanciano di tanto in tanto grugniti e gorgoglii. All’alba le nostre tende sono incrostate di ghiaccio, arrivano due bambini tuareg che assistono alla nostra colazione e ai nostri goffi tentativi di chiudere le tende prima di ripartire.
Abbandoniamo le ultime propaggini montuose dell’Hoggar per sfociare nell’ampia piana dell’Amadror e costeggiamo il tetro vulcano anulare di Teleghteba che ci appare viola scuro in lontananza dopo essere saliti su una grande duna di sabbia bianca.
E’ la prima volta che vedo le dune con un cielo veramente limpido, dopo aver collezionato svariati deserti ed è uno spettacolo grandioso, la spedizione al completo sale sulla duna per le foto di rito. Ci fermiamo poco dopo per il pranzo a base di tonno fagioli e datteri e poi riprendiamo il percorso lungo la carovaniera che collegava Tamanrasset a Djanet e ci fermiamo davanti al vecchio fortino francese di Serouenout, oggi occupato da una guarnigione algerina che prontamente ci blocca per i controlli dei passaporti. Tutto ok, proseguiamo per una trentina di km e ci fermiamo sul fare del tramonto presso un’altra gigantesca duna per fare il campo.
Tutti assieme saliamo su una vicina collina rocciosa per dominare con lo sguardo la smisurata piana, mentre il sole tramonta dietro i lontanissimi rilievi dell’Hoggar, lanciando un doveroso green flash. Alberto si siede su una roccia a forma di trono, con in testa un turbante e in mano un bastone e con fare solenne proclama: “Ho il mondo ai miei piedi, battezzo questo posto il castillo!”, mentre noi contempliamo tanta magnificenza 360° di cielo limpidissimo. Fa capolino all’imbrunire la prima sottilissima falce di luna e poco dopo un’evidente luce zodiacale, vista anche le sere precedenti completa un quadretto sontuoso.
Dopo cena ci soffermiamo un po’ a riconoscere le costellazioni australi: ecco sotto allo Scultore la Gru e la Fenice, piuttosto vaste, sotto al Capricorno l’anonimo Microscopio e poi di fianco all’interminabile Eridano, a ovest la Fornace, a Est l’Orologio. Mi ritiro in tenda ma la notte mi riserva una sorpresa, vengo svegliato da grida e risolini sguaiati seguiti da piccoli passi velocissimi presso il nostro campo. L’indomani scoprirò trattarsi dei Fennec, abbondanti in questa zona così come in molte aree del Sahara.
Il 12 Dicembre il cielo è ancora limpidissimo e dopo le piatte distese di sabbia e ciottoli del reg, il deserto pietroso, penetriamo nell’Erg d’Admer percorrendo magnifiche piste che serpeggiano tra imponenti dune. Moloud ci fa compiere una deviazione non prevista nel canyon di Tikobauine dove ci coglie quasi di sorpresa una distesa di colonne di arenaria fra le quali si insinuano corridoi di sabbia finissima, una zona del tutto simile all’Akakus libico.
Pranziamo lì e poi proseguiamo per Djanet, un tempo punto di passaggio obbligato per le carovane che collegavano il Mediterraneo con l’Africa Nera e qui prendiamo posto nelle stanze del caratteristico Tenerè Village. Salutiamo Souliman e lo ringraziamo per tutto quello che ha fatto per noi e poi ceniamo assieme a Moloud e all’altro giovane e taciturno autista. Andiamo a dormire presto perché l’indomani la sveglia è prevista alle 5 per affrontare un lungo e difficoltoso trekking che ci porterà sulla sommità dell’altopiano del Tassili a 2000 m di quota.
Quando ci svegliamo, il 13 Dicembre è ancora buio e solo una sottile striscia iridescente ad est annuncia un’alba ancora lontana. Facciamo colazione e veniamo accompagnati da Moloud in un pianoro chiamato Agba Tafelelet e qui troviamo una decina di asini che si caricheranno dei nostri pesanti bagagli per trasportarli lungo l’impegnativa salita e gli impervi sentieri, un’altra guida tuareg, due asinari e il cuoco.
Comincia l’ascesa, dobbiamo superare un dislivello di 700m per arrivare in cima al Tassili, un immenso altopiano lungo 750km e largo 100. Poco dopo la partenza ci rendiamo conto che le 3 ore di marcia previste da programma saranno molto più lunghe, viste le inevitabili soste e l’intrinseca difficoltà dei passaggi che dobbiamo affrontare.
Ci addentriamo in canyon misteriosi come l’Agba Tin Zezega, rimanendo in equilibrio sul baratro lungo sentieri appena accennati. Il nostro gruppo assomiglia decisamente alla Compagnia dell’Anello della trilogia del “Signore degli anelli”attraverso le difficili piste della terra di Mordor. Pranziamo con qualche scatoletta in una stretta gola prima dell’ultima salita, la più difficoltosa, mentre la processione di asinelli ci raggiunge e ci supera. Meber, giovane tuareg in blu ci guida sicuro e alla fine siamo in cima, davanti a noi un brullo e infinito altipiano, una sassaia assolutamente sconcertante. Tamrit, la nostra meta, è ancora lontana e procediamo in colonna tra le sferzate del vento, piccoli puntini persi nell’immensità e nella desolazione. Sopra di noi qualche cirro in un cielo sempre blu. Finalmente ecco un gruppo di pinnacoli, quasi un tempio diroccato con le colonne in precario equilibrio, ci annuncia l’arrivo a Tamrit, un posto incredibile, sembra di essre circondati da castelli di sabbia.
Montiamo le tende e ci apprestiamo a cenare riparati all’interno di una grotta, riscaldati dal consueto fuoco acceso dai Tuareg. Proprio loro durante il pasto avvertono una presenza che a noi era totalmente sfuggita: un estraneo si è avvicinato titubante al nostro accampamento.
E’ un poveraccio che ha provato ad attraversare il vicino confine libico e si è perso, sono 2 giorni che non mangia. Prontamente gli offriamo qualcosa e Alberto trova il modo di esercitare la sua professione di medico, curandogli un piede ferito. Astronomicamente parlando, per la prima volta in questo viaggio il cielo si sta decisamente velando e la luce della luna disturba alquanto.
Ripieghiamo quindi nelle tende perché fa piuttosto freddo. Nella notte vengo svegliato prima dai fennec, estremamente rumorosi e poi verso le 3 da Esther, che, bussando sulla tenda mi avverte di aver visto in mezz’ora più di 20 geminidi. Strano penso, il massimo è previsto l’indomani notte, che abbiano anticipato in barba alle previsioni?Indossato maglione e giubbotto esco all’esterno dove noto con piacere un cielo totalmente sgombro da nubi e non tardo ad avvistare qualche gialla geminide.
Mi piazzo accanto ad Esther ed iniziamo un conteggio e poco dopo ci raggiunge una raggiante Giovanna. In 20 minuti ne contiamo 65, stimando così uno ZHR di circa 200 meteore per ora. Però!Appaiono per lo più corte e di media luminosità e in quel cielo superlativo sono decisamente uno spettacolo.
Attendiamo ancora un po’ prima di tornare in tenda, dobbiamo essere freschi per la prossima notte, la notte clou, chissà cosa ci aspetta. La sveglia come al solito è all’alba, gli asinari cominciano a preparare i docili animali, il cuoco bolle il consueto tè alla menta e Mebèr è già pronto per condurci alla misteriosa località di Sefar in cui ci attende il Grande Dio Marziano, inquietante pittura rupestre risalente a quasi 10.000 anni fa.
Non dobbiamo infatti dimenticare che il Tassili è la più grande e fantastica galleria d’arte preistorica del mondo, che ci testimonia come qui il clima migliaia di anni fa era profondamente diverso. E così lungo la strada per Sefar attraversiamo un incredibile caos di rocce, canyon labirintici in cui solo grazie alla nostra guida riusciamo a districarci e di tanto in tanto ci vengono mostrate le raffigurazioni di animali, scene di caccia e personaggi mascherati che evocano misteriosi riti ancestrali. Il silenzio avvolge tutto, tutto è sospeso, magicamente..
Ma ecco i meandri e i cunicoli si fanno più bui, non perdiamo mai d’occhio la nostra guida, chi rimane indietro è perduto, Maurilio è in testa, Alberto arranca col bastone. Cominciano ad apparire gli uomini dalla testa rotonda, spesso con un occhio solo, e poi isolato su una grande parete di roccia, il Marziano, che si erge assurdo su una manciata di indigeni in atteggiamento adorante. Cosa rappresenta? Un extraterrestre in visita, come suggerisce la strana testa e il futuristico abbigliamento? Con queste domande allestiamo le tende all’interno di uno stupendo spiazzo circolare, attorniato da basse pareti di pinnacoli rocciosi. Quale luogo migliore per l’osservazione delle geminidi? Arriva la sera e le rocce che ci circondano diventano nere e simili a creature mostruose incombenti sul nostro campo.
I cosiddetti Jiin, gli spiriti malvagi che abitano queste zone. L’atmosfera è piuttosto inquietante, complice anche la vicinanza del “Marziano”, e la somiglianza di quello spiazzo circolare ad un vero e proprio luogo di atterraggio. Ceniamo rapidamente subito attratti da qualche lunga geminide. Il massimo è previsto per le 18.00 TU, proprio adesso, non c’è tempo da perdere. Maurilio, Esther e Alberto si accomodano dentro ai sacchi a pelo sui materassini con gli occhi sgranati, il cielo è ancora una volta superlativo.
Le geminidi tuttavia titubano, qualcuna sì, ma ampiamente sotto gli standard. Io ed Esther accendiamo comunque la telecamera e con il binocolo di Alberto avvisto una nuova cometa, la P/Tuttle, visibile come una piccola stella sfocata tra Alderamin in Cefeo e la stella Polare. Ecco una luminosa geminide con scia persistente. Giovanna lancia un grido, sembra per un attimo che ci sia un aumento di attività, ma è solo un’impressione.
Osserviamo fino alle 2, poi alla spicciolata i membri della spedizione si ritirano in tenda. Solo Esther rimane stoicamente tutta la notte al centro del grande spiazzo, confermando l’assenza del massimo previsto delle geminidi, che a questo punto ha inevitabilmente anticipato la sera prima.
L’indomani 15 Dicembre, affrontiamo il ritorno a Tamrit ripercorrendo a ritroso la stessa pista e nel pomeriggio è la volta di un’altra tappa significativa, la Valle dei Cipressi.
Si dice che abbiano più di 3000 anni e fa una certa impressione toccare quei tronchi giganteschi e nodosi, sapendo che hanno attraversato la storia e potrebbero raccontarci la nascita e la fine di intere civiltà. Deviamo per Uan Tuami, dove da una sorta di terrazza panoramica appare la straordinaria bellezza del Tassili, con un gigantesco e profondissimo canyon che provoca un senso di vertigine.
Quella sera diamo un ultimo saluto al bellissimo cielo algerino e l’indomani scendiamo in sole 4 ore dal remoto altopiano. Al campo base ci attende Moloud, che ci saluta a braccia aperte e ci conduce in uno sgangherato alberghetto di Djanet per una doverosa doccia, per accompagnarci poi ad una veloce visita della cittadina e del suo mercato.
Sorseggiamo l’ultimo tè alla menta ipotizzando con Moloud un nostro ritorno in Algeria per visitare ben tre crateri meteorici e l’altro famoso Marziano della località di Jabbaren, più grande ed impressionante di quello che abbiamo visto. Siamo ospiti per la cena da un amico di Moloud un gigantesco tuareg del Niger alto 2 metri, e qui attendiamo la mezzanotte per recarci in aeroporto. Salutiamo Moloud, una guida eccezionale, probabilmente la miglior guida mai sperimentata nei nostri viaggi astronomici e con lui questo sorprendente e bellissimo paese, veramente al di sopra di ogni aspettativa, sperando di tornarvi presto e questa volta con i telescopi…
LE FOTO ASTRONOMICHE SONO DI ESTHER DEMBITZER E ALBERTO PALAZZI