di Massimiliano Di Giuseppe
Dovevamo andare in Patagonia argentina nel Dicembre 2020, in occasione di un’eclisse totale di sole per la quale avevamo anche raggiunto il numero minimo di partecipanti, ma a mettere il bastone tra le ruote è arrivato il Covid e di conseguenza il viaggio è stato annullato. C’è voluto qualche anno ma finalmente il viaggio è diventato realtà, si parte per la Patagonia, una terra mitica che ha alimentato per tanto tempo i nostri sogni di astro-viaggiatori! Questa volta non seguiremo però un fenomeno celeste particolare, ma ci godremo i panorami fuori dal mondo e speriamo un bellissimo cielo.
E così il 22 Novembre mi ritrovo con il gruppo di Esploriamo l’Universo/Gattinoni, prima a Bologna con gli storici Alessandro Bartoli che non vedevo dal mitico viaggio a Baikonur con il lancio di Luca Parmitano del 2019 , Andrea Battistella dal recentissimo Messico e con i nuovi Giovanni Alfieri, Edmea Becchi e Roberto Righi. Una volta a Roma siamo poi raggiunti dall’imprescindibile Esther Dembitzer e dalle nuove conoscenze Carlo Micciullo, Antonietta Converso e Lucia Spataro direttamente dalla Calabria. Con noi per la prima volta anche Diego Bonata ex presidente di Cielobuio, con cui da tanti anni collaboriamo nell’ambito della lotta all’inquinamento luminoso.
23 Novembre
Il volo per Buenos Aires è veramente lungo, quasi 15 ore, ma lo trovo meno pesante dell’ultimo in Messico di Aprile visto che stavolta riesco a dormire un po’ di più. Atterriamo nella capitale argentina alle 7.00 di mattina, accolti dalla nostra guida Fabian del tour operator locale Quarum, che ci accompagnerà oggi e domani in giro per la città. Passiamo in pullman di fianco ai grigi casermoni dell’immensa periferia del quartiere Constitution, abbelliti da qualche grande murales come i più famosi dedicati a Maradona e Messi, realizzati dall’artista Martin Ron. Qui il calcio è molto sentito ci dice Fabian e lui stesso conosce perfettamente tutti i calciatori argentini, presenti e passati, che hanno militato nelle squadre italiane.
Ci avverte inoltre di fare attenzione ad eventuali borseggiatori, rivolgendosi soprattutto a chi dispone di macchine fotografiche voluminose e costose, Buenos Aires come le altre grandi metropoli, non è troppo sicura. Eccoci dunque al nostro Hotel Kenton Palace dove ci attende una colazione abbondante e un po’ di riposo. Nel primo pomeriggio Fabian ci raccoglie per iniziare la visita guidata della città, una megalopoli di 11 milioni di abitanti che ha saputo conservare le antiche tradizioni nonostante sia una città moderna e dinamica.
Iniziamo con la Plaza de Mayo, probabilmente la piazza più famosa dell’Argentina, che ha giocato un ruolo chiave nella storia del Paese. Originariamente chiamata Plaza de la Victoria, venne battezzata con il suo attuale nome quando l’Argentina ottenne l’indipendenza dalla Spagna con la Rivoluzione di Maggio.
Il clima è perfetto, il sole caldo, il cielo limpido, alberi lilla di Jacaranda spuntano tra gli edifici e i monumenti, che prontamente Fabian ci descrive. Al centro della piazza ecco la Piramide de Mayo, un pilastro bianco alto 18m, edificato per onorare la storia del paese, proprio qui il 25 Maggio 1810 i cittadini si sono riuniti per ottenere l’indipendenza. Su un lato della piazza si trovano poi il Cabildo, la prima sede del governo e la Cattedrale Metropolitana, risalente al 1580 la cui architettura è una perfetta commistione di stili, con influenze soprattutto del Rinascimento spagnolo e del Barocco.
Entriamo a visitarla, uno degli aspetti più rilevanti della cattedrale è il mausoleo che ospita i resti di José de San Martín, uno degli eroi dell’indipendenza argentina. E’ stata anche la prima chiesa parrocchiale di Papa Francesco, ci dice Fabian, che tuttavia da quando è stato eletto papa non è più tornato nella sua terra natale…Terminiamo il giro della piazza con la Casa Rosada, sede del governo argentino e residenza del presidente. È uno degli edifici più emblematici dell’Argentina, deve il suo nome al caratteristico colore rosa pallido delle sue pareti, risultato di una vernice che, all’epoca, era fatta di calce e sangue di bue. E’ famosa inoltre per essere il luogo in cui Evita Peron tenne i suoi appassionati discorsi.
Di fronte alla Casa Rosada spicca il monumento equestre al generale Manuel Belgrano, inventore della bandiera argentina e spesso citato da Fabian nel corso del tour. Una statua di bronzo su un piedistallo di granito con ai piedi un cumulo di sassi portati lì dalle madri dei Desaparecidos, per lo più giovani oppositori del regime fatti sparire dal dittatore Videla negli anni ’70. Dopo aver cambiato un po’ di euro in pesos, riprendiamo il pullman per attraversare il caratteristico quartiere di San Telmo in cui spuntano qua e là piccole statue di personaggi dei fumetti argentini come Mafalda, qui incredibilmente popolare e creata dal disegnatore Quino, e dei suoi amici Manolito e Susanita, ma anche altri minuscoli tributi a Mordillo ad esempio o all’Eternauta.
Fabian ci accompagna quindi al quartiere La Boca, nato durante la costruzione del porto sul Rio de la Plata e che oggi ospita uno degli stadi di calcio più importanti del mondo e il più iconico di Buenos Aires, la “Bombonera”. Dipinta con i colori della squadra del Boca Juniors, blu e giallo, ha una forma simile ad una scatola di cioccolatini. Qui ha giocato ai suoi esordi Diego Armando Maradona.
Scendiamo dal pullman e ci avviamo a piedi a visitare la caratteristica strada “Caminito”. In questo quartiere, ci racconta Fabian si trovavano le case degli immigrati genovesi dell’800, erano edifici poveri chiamati “conventillos” costruiti con materiale di scarto dei cantieri navali, quindi essenzialmente legno, ferro e zinco. Utilizzando le vernici navali in avanzo, gli operai coloravano le facciate delle abitazioni e dei negozi, con tinte accese e accostamenti coraggiosi.
Negli anni ’50 del ‘900 gran parte di quelle strutture venne abbattuta per far posto a palazzi in muratura molto più grandi. La zona dove un tempo sorgevano le case degli operai dei cantieri navali, diventò una discarica e a metà del ‘900 era ormai un quartiere poverissimo e degradato. Un abitante decise però di provare a risollevare la zona puntando proprio sul fascino delle vecchie, precarie ma coloratissime case di un tempo. Chiese aiuto a un pittore, Benito Quinquela Martin e ricostruì una trentina di edifici lungo una via di circa 100 metri, seguendo lo stile delle abitazioni originarie, colori compresi. Battezzò la strada Caminito, ispirandosi all’omonimo e celebre brano di tango degli anni ’20.
Fabian ci lascia quindi liberi di passeggiare per un’oretta in questa strada pittoresca, divenuta un vero museo a cielo aperto, raccomandandosi di non andare oltre la ferrovia, una zona che può risultare pericolosa per i turisti. Cerco quindi di tenere il gruppo compatto durante l’attraversamento di questa strada strapiena di gente, facendo attenzione che nessuno rimanga indietro.
E’ una vera bolgia di colori, di odori e di suoni, le case coloratissime ospitano ristorantini all’aperto con salsicce appese, negozi di souvenir e ballerini di tango improvvisano qualche passo tra gli applausi dei turisti. Lo stomaco brontola, molti di noi oggi non hanno pranzato, è il caso di fare una sosta in un locale all’aperto con qualche “choripan” ( panino farcito con salsiccia chorizo e salsa chimichurri) e bife de chorizo. Ci accomodiamo…un attimo, mancano Giovanni Esther e Alessandro…qualche istante di ricerca e li ritrovo più indietro intenti a guardare le bancarelle dei souvenir. Ci siamo tutti, possiamo ordinare e in breve siamo serviti con la gustosa merenda, accompagnata dal suono dei tamburi e degli schiocchi di frusta di alcuni musicisti di strada e saltimbanchi.
Le nostra visite riprendono con Puerto Madero il quartiere più moderno ed elegante della città, riqualificato negli anni ’90 e ora uno dei più in voga e visitati dai turisti. La sua architettura combina edifici storici restaurati con grattacieli moderni tra i quali spicca il Puente de la Mujer,sul Rio de la Plata, opera del famoso Calatrava, Il suo design rappresenta una coppia che balla il tango, uno splendido omaggio alla cultura argentina. Lo ammiriamo dal pullman notando accanto anche la Fragata Sarmiento, una nave-museo incentrata sulla storia navale dell’Argentina.
Di ritorno in hotel mi concedo una nuotata rilassante in piscina prima della cena che prevede Insalata caprese con crostini croccanti, petto di pollo con salsa al curry e patate, brownie al cioccolato con gelato. Ma è anche il compleanno del buon Alessandro e lo staff gli offre una doverosa torta con le candeline, tra lo stupore dei commensali e dello stesso festeggiato. Assieme a Diego terminiamo la serata con un giro a piedi fino a Puerto Madero che pullula di bar, caffè e discoteche con una discreta movida. Un’occasione per vedere da vicino il Puente de la Mujer che di fatto è un ponte pedonale con una struttura girevole che permette alle barche di passare.
Di notte, l‘illuminazione scenografica rende il ponte ancora più suggestivo, riflettendosi sulle acque circostanti. Un’illuminazione tutto sommato non troppo abbagliante e sgradevole, ad un occhio esperto di Diego non sfuggono infatti diversi impianti abbastanza a norma che consentono di osservare, pur trovandoci al centro della capitale, le stelle più luminose come Sirio, Canopo, la costellazione di Orione e Giove. A riprova di ciò un gruppo di astrofili sul lungo fiume sta facendo osservare ai turisti proprio il gigante gassoso con alcuni telescopi. Una birra in un locale nella limpida serata e poi è il momento di riposare, ci attende un’altra impegnativa giornata.
24 Novembre
Dopo la colazione, Fabian ci porta col pullman di fronte al grande Palacio del Congreso che si trova al termine della grande Avenida 9 de Julio. Sede del Parlamento e del senato argentini, il Palacio ha un’ architettura neoclassica caratterizzata da una grande cupola alta 80m che ricorda il Campidoglio di Washington D.C . Qualche foto e ripercorriamo l’Avenida 9, la strada più larga del mondo (140 metri) con le sue diciotto corsie, il suo nome rende omaggio all’indipendenza dell’Argentina, proclamata in quella data nel 1816.
E’ fiancheggiata da giganteschi alberi della gomma di 170 anni, da alberi di Ceibo, il fiore nazionale e dalle onnipresenti Jacarande. Più o meno a metà della via si trova l’iconico Obelisco, un monumento alto 68 metri costruito per commemorare i 400 anni dalla fondazione della città, attorno al quale passeggiamo un po’ nella giornata limpidissima.
Risaliamo sul pullman passando di fianco al monumento di metallo di Eduardo Catalano la “Floralis Genérica”, una scultura che rappresenta un gigantesco fiore realizzato in acciaio inossidabile e alluminio, con sei petali che si aprono e si chiudono a seconda dell’ora del giorno. Simboleggia il rinnovamento e la speranza del popolo argentino, ci dice Fabian.
Siamo diretti verso gli eleganti quartieri Palermo e la Recoleta , quest’ultima conosciuta come “Le Petit Paris” per la sua architettura con evidenti rimandi alla Belle Époque con forte influenza europea. Passeggiamo tra parchi e palazzi signorili fino al Cimitero Monumentale, che ospita molti mausolei con statue e tombe di importanti personaggi argentini tra cui Evita Peron.
E’ ora di pranzo, che effettuiamo al ristorante “La Bistecca”in cui naturalmente ci abbuffiamo di carne alla brace argentina. Interessante anche il dolce: fette di ananas ricoperte di cioccolato liquido che cola da una vera e propria fontana. Arriva quindi il momento di salutare Fabian all’aeroporto dei voli nazionali, ci attende quello per Puerto Madryn. La spedizione entra ufficialmente in Patagonia!
All’arrivo ci attende la nostra nuova guida Claudia, detta Pitu, che ci accompagna a Puerto Madryn e al nostro hotel Yene Hue, dandoci appuntamento per l’indomani mattina per la prevista escursione alla Penisola di Valdès. La hall dell’hotel è caratteristica, con una cascatella d’acqua che scorre lungo una delle pareti ed anche la stanza non è male, comoda e spaziosa con un’ampia vetrata con vista sul mare. Il cielo è sereno, stasera potremmo tentare qualche osservazione astronomica dalla spiaggia. Così dopo un po’ di riposo il nostro gruppo si ritrova a cena, ascoltando le innumerevoli battute di Giovanni tra una degustazione di gamberi locali ( tartar, ceviche, carpaccio), un poutin di pesce gratinato con brioche e spinaci e per finire una crema pasticcera alla vaniglia e lavanda con crema al mandarino.
Quasi tutto il gruppo mi segue poi alla vicina spiaggia, dove al riparo di qualche lampione fastidioso, illustro col laser verde stelle e costellazioni. Ecco Orione a “gambe in su”, poi Sirio, la stella più luminosa del cielo e Canopo, la seconda più luminosa ed invisibile dall’Italia, compaiono poi Achernar, la più brillante della costellazione dell’Eridano, anch’essa invisibile alle nostre latitudini così come la Croce del Sud che appare pure lei ribaltata.
Fioccano domande sulle distanze siderali e sulla natura di oggetti come galassie e buchi neri, poi il freddo umido ( sui 5 gradi ), consiglia al gruppo di tornare in albergo.
25 Novembre
Un’alba radiosa seguita da un’abbondante colazione ci danno il buongiorno, Claudia è già nella hall ad attendere il gruppo per un’intera giornata alla scoperta dell’area naturale protetta della Penisola di Valdès, patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Saliti sul pulmino Claudia è prodiga di spiegazioni, si dimostra competente ed entusiasta del suo lavoro. Durante il tragitto ci spiega che la Patagonia con una superficie di circa 800.000 chilometri quadrati, è una regione geografica che si estende nella parte meridionale del Sud America , sia del Cile che dell’Argentina. La densità di popolazione è di circa 1-2 persone per chilometro quadrato, fatto questo che la rende una delle regioni più scarsamente popolate del mondo.
E’ un vero paradiso naturalistico, in cui vivono molte specie animali: guanachi, nandù, armadilli, lepri patagoniche, oltre ad innumerevoli specie di uccelli stanziali e migratori.
Sulle spiagge della costa, a seconda della stagione, si possono poi incontrare pinguini, orche, delfini, otarie, elefanti marini e in alcuni periodi dell’anno, in genere da giugno a dicembre, si possono ammirare anche le balene. Proprio per vedere queste ultime, visto che siamo nel periodo giusto, abbiamo prenotato su suo consiglio un’escursione whale-watching da Puerto Piramides.“Vediamo cosa ci regala oggi la natura!” ci dice la nostra guida. Non è infatti garantito il loro avvistamento, ci vuole fortuna.
Mentre percorriamo l’istmo che collega la terraferma alla penisola individuiamo subito un gruppo di guanachi e poco dopo ecco svolazzare sulla steppa salmastra un Urubù o avvoltoio tacchino, che ha individuato una lepre morta sulla strada. Claudia poi ci mostra un fanone, un dente di balena che fa passare di mano in mano a tutto il gruppo. E’ costituito da setole che creano una rete di fitte maglie, fondamentali per un’efficace filtraggio del plancton di cui si cibano questi cetacei.
Dopo un’ora di viaggio entriamo nella penisola e facciamo una sosta al centro visite Carlos Ameghino, una sorta di museo delle ricchezze naturali della penisola con un torretta panoramica che offre una vista sullo sconfinato territorio. Sul pavimento dell’osservatorio c’è un disegno che ritrae uno “Sciapode”, un essere mitologico con una sola gamba ed un unico enorme piede che secondo le leggende dei primi esploratori, popolava queste terre. Dopo un caffè riprendiamo la marcia per Puerto Piramides.
Claudia ci introduce al mondo delle balene raccontandoci che in questa zona vivono le balene franche australi, una delle popolazioni più numerose ancora esistenti, composta approssimativamente da 2500 individui. La loro testa è caratterizzata da vistose callosità, escrescenze di pelle dura, la cui posizione è diversa in ogni individuo, come le impronte digitali per l’uomo e corrispondono più o meno al nostro labbro, ai baffi e ai capelli. La lunghezza complessiva del corpo è compresa fra i 14 e i 18 metri, per un peso medio di 54 tonnellate.
A Puerto Piramides, una volta fatti i biglietti e indossati i giubbotti arancioni di salvataggio, saliamo sul battello dove il capitano Ernesto ci da il benvenuto. Il cielo è un po’ annuvolato, la temperatura accettabile. Ci accomodiamo sulle panche e ognuno si prepara al whale-safari sfoderando la strumentazione fotografica, chi gli smart-phone, chi come Diego e Andrea i potenti teleobiettivi. Appena partiti, su un isolotto alcuni leoni marini si sollevano stancamente e girano la testa al nostro passaggio, un grosso maschio emette un grugnito a ribadire la supremazia sul suo harem di femmine incinte. Una ragazza dello staff assieme a Claudia ci illustrano via via gli animali incontrati: ecco ad esempio una colomba antartica e qualche cormorano. Dopo una mezzora di navigazione le vedette avvistano il primo getto d’acqua accompagnato dal rumore sordo di uno sfiatatoio e ad uno sguardo più attento lo scuro dorso, non c’è dubbio: ecco la prima balena!
Dopo la Megattera vista qualche anno fa in Norvegia e il Capodoglio al largo di Genova, sono quindi di nuovo a tu per tu con uno di questi cetacei, l’emozione è forte. Dopo qualche istante emerge la coda, segno che l’animale sta andando in profondità. Attendiamo pazientemente ma nulla, il battello si sposta in un’altra zona e poi in un’altra ma sembra che oggi le balene si siano rintanate altrove. Comincia a serpeggiare un po’ di delusione, quando dopo più di un’ora non abbiamo fatto altri avvistamenti. Stiamo per far ritorno alla base quando il capitano riceve una comunicazione da un’altra barca, c’è del movimento in quel tratto di mare… A tutta velocità raggiungiamo l’obiettivo, pare ci sia una mamma che sta giocando con il suo cucciolo.
Improvvisamente le balene saltano fuori dall’acqua, ribaltandosi di schiena una, due, tre volte, tra spruzzi e fragore, che spettacolo! Sulla barca c’è fibrillazione, tutti si spostano su un lato per ammirare e fotografare questi meravigliosi animali. Ci sentiamo in un documentario, il piccolo si appoggia alla madre e si fa portare, un comportamento molto raro ci dice lo staff. Davvero incredibile! Di nuovo altri salti, altri tonfi, ma la sorpresa si completa quando le balene passano accanto alla barca mostrandoci un occhio e la bocca da vicino. “L’universo ci ha fatto un regalo!” grida Claudia felicissima dalla torretta della cabina. Già proprio in extremis abbiamo centrato l’obiettivo con questo “incontro ravvicinato”, tutto il gruppo è estremamente soddisfatto.
Ritornati al pulmino raggiungiamo per il pranzo l’Estancia San Lorenzo, un tradizionale allevamento di bovini della Patagonia che ospita la più grande colonia di pinguini di Magellano al mondo. E’ una sorta di ranch con tanto di mulino a vento e cavalli in un recinto. In una grande stanza ci viene servito agnello arrosto, una specialità della casa, poi a seguire, dulce de leche. Rifocillati a dovere riprendiamo la marcia per raggiungere la colonia di pinguini che si trova a 7 km dall’Estancia. Alcuni nandù ( simili a piccoli struzzi) saltellano tra i bassi cespugli che nascondono buchi nel terreno, sono proprio i nidi dei pinguini, alcuni stanno covando altri passeggiano accanto, ce ne sono tantissimi, a perdita d’occhio! Scesi dal pullman Claudia ci fa avvicinare con circospezione ad un gruppo di questi pinguini dal caratteristico colore bianco e nero, spiegandoci che non hanno paura dell’uomo perché tiene lontano altri predatori.
E’ bene comunque non avvicinarsi troppo perché a volte possono avere un comportamento aggressivo. Percorriamo un piccolo sentiero tra i cespugli, osservando da vicino una gran quantità di nidi con uova e pulcini. Ci sono anche i genitori che controllano sospettosi i nostri movimenti. Cade qualche goccia di pioggia quando raggiungiamo la spiaggia con centinaia di pinguini, alcuni si tuffano in mare, altri passeggiano in fila simili ad un plotone in marcia, ondeggiando con la loro caratteristica andatura. Giovani maschi si beccano, un comportamento a metà tra il gioco e la sfida, sotto gigantesche ossa di balena piantate nella sabbia.
La penisola di Valdès ci riserva ancora qualche sorpresa nonostante siamo ormai alla fine del nostro tour. A Punta Norte si trova infatti un’altra riserva in cui osserviamo questa volta un gruppo di elefanti marini con la caratteristica proboscide, purtroppo non è stagione per le orche che a volte compiono vere e proprie sortite avventandosi sul bagnasciuga per assalire i lenti e goffi animali. Sulla strada del ritorno il pulmino si ferma per farci osservare una volpe e un maras, una specie di piccola lepre, quindi salutiamo Claudia ringraziandola per l’incredibile giornata e dandoci appuntamento l’indomani mattina.
A cena in hotel ci attendono Polpi della Patagonia e patate bouchon al limone, parmigiana di melanzane e Tuve al cioccolato con mousse al dulce de leche. Infine un giro serale sul lungo mare con Diego e Alessandro e una breve osservazione del cielo. Ci eravamo confrontati con Claudia per una possibile escursione serale allontanandoci dalle luci della città ma il clima è troppo variabile e il vento troppo forte, non è ancora il momento di sfoderare il Dobson…
26 Novembre
Dopo colazione con il gruppo quasi al completo ci ritroviamo assieme a Claudia per un giro facoltativo poco fuori città a Punta Loma per vedere leoni marini o otarie. La giornata è limpidissima e nei 32 km che ci separano dalla meta Claudia ci racconta qualcosa su Puerto Madryn, una piccola città di mare, che attira ogni anno un buon afflusso di turismo sia balneare che naturalistico viste le interessanti escursioni nel territorio circostante.
Il panorama lungo la costa è sublime, i colori del mare variano dal verde al blu intenso e nell’entroterra lo sguardo spazia fino a orizzonti lontanissimi grazie alle eccezionali condizioni di visibilità, con nuvolette bianche in un cielo blu che rendono il tutto ancora più pittoresco. Ecco, questo è il cielo della Patagonia che ho sempre immaginato, limpido e terso grazie ai venti antartici, costanti e tesi anche quest’oggi.
Arriviamo sul ciglio di un promontorio con alte falesie bianche e da qui sulla spiaggetta in basso Claudia ci fa notare un bel numero di leoni marini che si sta crogiolando al sole. Fioccano le foto, di gruppo e singole, certamente un luogo splendido. Si ride e si scherza nell’aria leggera. Il giubbotto rosso di Andrea e quello giallo di Claudia contrastano con l’azzurro intenso dell’oceano e del cielo, il bianco delle dune di sabbia e il verde degli arbusti bassi.
Sulla strada del ritorno in città ci fermiamo qualche istante al monumento all’Indio Tehuelche con lo sguardo rivolto verso il mare, un omaggio ai nativi di queste zone. Lo fotografiamo mentre gli svolazzano attorno alcuni pappagalli verdi e gialli , i “ Loro Barranquero”. Siamo raggiunti dal resto del gruppo per un pranzo a base di pesce ( ottimi i gamberi e le capesante), in un ristorante direttamente sul mare con doverosi brindisi e ringraziamenti a Claudia, che ci accompagna poi all’aeroporto di Trelew con destinazione Ushuaia nella Terra del Fuoco.
Ma poco prima un’ultima fermata per fotografare lungo la strada una riproduzione in dimensioni reali di un Titanosauro, probabilmente il dinosauro più grande mai esistito (20 m di altezza 40 di lunghezza 77 tonnellate di peso), i cui resti sono stati recentemente trovati proprio qui in Patagonia.
Durante il volo sale l’emozione per un altro luogo mitico, la Terra del Fuoco, che evoca in tutti noi l’epopea dei primi esploratori e navigatori che giunsero qui alla “fine del mondo” secoli fa. Dai finestrini, in fase di atterraggio abbiamo il primo impatto con questo territorio: montagne innevate che sprofondano in mare e lunghi fiordi illuminati dal sole basso del tramonto, bellissimo!
All’aeroporto ci attende Georgina, la nostra nuova guida che ci porta all’hotel Los Naranjos che si trova in una via del centro di Ushuaia, una strana cittadina di frontiera con la tipica architettura fueguina, un miscuglio di stili con case in legno dei primi coloni fino ad edifici più moderni in muratura. Espletato il check in nell’hotel e salutata Georgina ( la rivedremo l’indomani ), il nostro gruppo è pronto per andare a cena al vicino ristornate Salitre Ushuaia, che si trova sulla sommità di una ripida scalinata.
Il ristorante è piccolo ma caratteristico e degustiamo con soddisfazione Ceviche Fueguino con rane e cozze, branzino con verdure alla griglia e tiramisù. Usciamo per fare 2 passi su una strada panoramica di fianco al ristorante. Sono quasi le 22.30 ed è ancora in corso un lunghissimo tramonto che avvolge in una luce rosata i tetti delle case ed il porto sul Canale Beagle . Andrea mi guarda “ Eh, faremo fatica qui a fare osservazioni, farà buio completo a mezzanotte…” Già, la bassa latitudine di 54° Sud ha come controindicazione una breve durata della notte durante l’estate australe, andrà un po’ meglio quando saremo a El Calafate.
Il cielo è comunque sufficientemente scuro da poter individuare agevolmente i pianeti Giove Venere e Marte e le stelle più luminose sopra i monti Martial che circondano la città. Una situazione di luce molto simile a quella vissuta alle isole Svalbard qualche anno fa.
Scendiamo sul viale principale pieno di agenzie che propongono escursioni naturalistiche e tantissimi negozi di elettronica (qui i prodotti hi-tech hanno un regime fiscale agevolato), c’è anche l’ Hard Rock Cafè più a sud del mondo. La temperatura è di 4 gradi, il freddo è secco e non è fastidioso così come il vento. Arriviamo fino al porto quando sono passate di poco le 23.00 ed il crepuscolo non accenna a terminare, con bellissime nubi rossicce e violacee all’orizzonte. Noi tuttavia tiriamo i remi in barca, è stata un’altra lunga e impegnativa giornata e domani ci attende un’altra interessante escursione.
27 Novembre
Dalla finestra della stanza si preannuncia una giornata stupenda e di nuovo un cielo limpidissimo. Dopo colazione veniamo raccolti da Georgina che ci invita a salire sul mini bus. Cerchiamo tuttavia di far salire Giovanni per ultimo, abbiamo infatti riservato per lui uno scherzo curioso appiccicando con lo scoch una banana sullo schienale del sedile di fronte al suo. La famosa “Banana di Cattelan” citata spesso dal nostro Giovanni, estimatore dell’arte contemporanea. Mentre tutto il gruppo sogghigna, l’ignaro compagno di viaggio si accomoda sereno sul suo sedile e rimane qualche istante a fissare la banana. Poi si gira con sguardo incredulo verso di noi: “ Complimenti…questa proprio non me l’aspettavo!” E parte una fragorosa risata da tutto il pulmino.
Georgina, anch’essa divertita inizia a raccontarci qualcosa su Ushuaia e i suoi dintorni: Ushuaia è considerata la città più a sud del mondo ed è la porta di accesso al Parco Nazionale della Terra del Fuoco, che oggi andremo a visitare, un’area protetta con montagne, ghiacciai, splendidi laghi , fitte foreste e fauna selvatica. Apre quindi una grande mappa geografica e ci mostra dove ci troviamo: “Ushuaia è qui nell’isola grande della Terra del Fuoco, separata dal resto del Sudamerica dallo Stretto di Magellano, di fronte abbiamo il canale Beagle oltre il quale si vedono l’isola piatta di Navarino e quella di Hoste ( con un po’ di neve) e sporgendosi ce le indica col dito dai finestrini. Queste isole sono separate dal canale Murray che collega Beagle con Capo Horn. Sempre nel canale Beagle si trovano poi gli arcipelaghi di Bridges, Willie e Les Eclaireurs.
Qualcuno chiede da dove provenga il nome Terra del fuoco. “Ebbene, risponde Georgina, lambendo le coste, il navigatore portoghese Ferdinando Magellano ed i suoi uomini notarono dei fuochi accesi che la popolazione indigena degli Yámana utilizzava per riscaldarsi e quindi la chiamarono “Terra dei Fumi” che divenne poi “Terra del Fuoco”.
Entriamo nel parco, Georgina sottolinea quanta fortuna abbiamo con il meteo, la giornata è eccezionale, non è per niente facile avere queste condizioni. Scendiamo a fare qualche foto ad una valle glaciale straordinaria, una gigantesca “U” ricoperta di boschi.
Poco dopo percorriamo a piedi un breve sentiero che ci porta alla “Diga dei castori” qui Il corso del fiume è stato modificato artificialmente da una diga, costruita con tronchi di legno da quei grandi ingegneri che sono i castori.
Questi animali rappresentano in realtà uno dei problemi principali del Parco, ammette Georgina, mostrandoci numerosi tronchi di alberi rinsecchiti. Le dighe create da questi roditori allagano vaste porzioni di territorio, mettendo a mollo le radici degli alberi che di conseguenza muoiono. Tra l’altro non si tratta di animali autoctoni. Furono importati dal Canada nel 1946. Vennero liberati nel Parco una cinquantina di esemplari con l’intento di porre le basi di una industria della pelliccia.
L’investimento si rivelò però ben presto sbagliato perché la pelliccia degli animali non aveva la stessa qualità di quella canadese. Il clima della Terra del Fuoco è molto meno freddo rispetto al clima del Canada ed i castori hanno sviluppato pellicce meno folte rispetto a quelle dei castori canadesi, rendendole poco competitive sui mercati. Inoltre i predatori naturali del castoro, come l’ orso, il lupo e la lince, non esistono nella Terra del Fuoco e questo ha contribuito a determinare un loro rapido sviluppo, con importanti conseguenze ecologiche che hanno portato ad uno squilibrio nell’ecosistema.
Si stima che in breve tempo i castori si moltiplicarono fino ad arrivare a circa 50.000 unità! Nonostante questo è molto difficile osservarli, così come risulta difficile la loro caccia, che viene autorizzata per ridurne il numero. Proviamo a scrutare tra i tronchi rosicchiati, ma nulla, solo una gran quantità di zanzare, che ci induce a tornare rapidamente al pulmino.
Carlo salendo si controlla preoccupato le tasche e guarda sotto il sedile. “ Acccidenti mi dev’essere caduto il cellulare lungo il sentiero, mentre ho saltato una staccionata… torno indietro a controllare!” Questa non ci voleva, pensiamo, speriamo bene… Dopo qualche minuto, ad uno sguardo più attento, Georgina trova il suddetto cellulare nella tasca del sedile di fronte a quello di Carlo, più o meno nella posizione della “Banana di Cattelan”. Ricuperiamo Carlo, rasserenato per la felice soluzione, possiamo proseguire…
Eccoci dunque a Bahia Lapataia, uno dei luoghi più scenografici del parco, oggi ancora di più grazie alla splendida giornata. In uno spiazzo in terra battuta un cartello in legno ci avvisa che qui termina la RN 3, l’interminabile strada che, partendo da Prudhoe Bay, in Alaska, attraversa tutto il continente americano con un percorso di 17.848 chilometri, siamo proprio alla “fine del mondo”! Georgina ci spiega che Lapataia in lingua indigena significa “bel bosco” ed in effetti siamo circondati a perdita d’occhio da colline coperte da una fitta vegetazione, dietro a queste, in lontananza, spunta la cordigliera di Darwin innevata. Davanti a noi si apre invece la baia vera e propria, particolarmente suggestiva, creata dal canale Beagle e con vista sulla Isla Redonda, una baia azzurra ricca di molluschi e cozze a quanto si dice.
E’ il momento di una foto di gruppo. Georgina ci chiede poi di seguirla lungo un piccolo sentiero in salita tra cespugli di fiori gialli che si addentra nella foresta subantartica ricca di Lengas ( una sorta di Faggio, una delle ultime specie di alberi che riescono a crescere in questi climi ), torbiere e arbusti nani. Il paesaggio mi ricorda molto la valle di Hessdalen in Norvegia in cui nel 2003 andammo a caccia di “luci anomale”…
Questo bellissimo sentiero forestale segue il fiume Lapataia fino alla sua convergenza con il Lago Acigami o Lago Roca, un impressionante lago glaciale dalle acque blu condiviso da Argentina e Cile. Qualche foto allo splendido paesaggio e riprendiamo la marcia tra alberi di vischio, oche magellaniche, ciuffi gialli, facendo attenzione a non sprofondare nella insidiosa torbiera. Siamo arrivati all’Alakush visitor center, un caratteristico centro visite in cui effettueremo il pranzo, con un grande finestrone che offre alla clientela una vista magnifica sul lago e sulle montagne scavate da un’altra imponente valle glaciale. Oggi ci viene servita Empanada di carne, Entrecote di manzo con patate dolci, zucca e carote a spicchi e al termine gelato.
Prima di lasciare il Parco abbiamo ancora un altro punto scenografico da visitare: la Bahia Ensenada. Qui abbiamo forse la vista migliore di questa escursione, la baia si apre a ventaglio sul canale Beagle e le cime innevate dell’isola Hoste, cilena. Siamo praticamente da soli, il grosso dei turisti ormai se n’è andato. Il luogo merita una sosta e lo sguardo si perde in questi incredibili orizzonti. Sulla spiaggia c’è poi una piccola capanna in legno su una palafitta, tappezzata di adesivi e bandiere, è l’ufficio postale più a sud del mondo, in questo momento purtroppo chiuso, rimedieremo qualche timbro più tardi ad Ushuaia.
Guardo i compagni di viaggio, Diego è steso sull’erba a meditare, Alessandro sorride discorrendo con Edmea e Roberto, Andrea fa foto a raffica, non sono da meno Esther ed il gruppo calabrese di Carlo, Antonietta e Lucia, Giovanni è assorto, indeciso su quale battuta offrire al gruppo. Dietro di noi una fila di alberi piegati dal vento che da queste parti durante l’inverno deve soffiare davvero impetuoso.
Georgina rompe l’incantesimo, è il momento di riprendere la marcia, attraversiamo un ponte sul fiume Pipo e arriviamo al Ferrocarril Austral Fueguino, il trenino della fine del mondo. Una stazione dei treni pittoresca con tetti spioventi azzurri ed il tipico trenino rosso trainato ancora da una locomotiva a vapore. Non c’è purtroppo il tempo per un giro e ritorniamo verso Ushuaia che vediamo dall’alto da un bel punto panoramico presso la partenza di una seggiovia ora chiusa.
Io Diego e l’inossidabile Esther ci arrampichiamo per un po’ fino a vedere più da vicino i Monti Martial innevati, Diego ed Esther si abbeverano anche da un ruscello. Si torna momentaneamente in città per i doverosi timbri all’ufficio postale e per l’altrettanto doverosa foto di gruppo presso la grande scritta Ushuaia al porto. Poi di nuovo sul pulmino per un tè con torte offerto dall’agenzia presso Los Cauquenes Resort un bellissimo albergo con vetrate panoramiche con vista impagabile sul canale Beagle . Diego decide di scendere perfino nella spiaggetta privata per mette i piedi in acqua mentre noi iniziamo la merenda.
Dopo il rientro in hotel questa sera abbiamo la cena libera e Georgina ci consiglia qualche ristorante in cui ordinare il granchio rosso gigante che qui è una delle specialità. Poi un ultimo giro a piedi al porto per ammirare un nuovo bellissimo tramonto tra le navi ormeggiate ( c’è pure il panfilo di Bill Gates…).
28 Novembre
Dopo la consueta colazione, raggiungiamo il porto turistico per prendere posto sul catamarano per la prevista navigazione sul canale Beagle. Anche oggi siamo confortati da una bella giornata con qualche nuvola innocua. Mentre ci allontaniamo dalla costa, abbiamo una splendida vista panoramica di Ushuaia, incastonata tra i rilievi Martial e le vette innevate dei monti Olivia e Cinco Hermanos , dalla città che si allontana emergono il Museo del Presidio ( ex carcere) e il Museo della Fin del Mundo.
Il panorama davanti a noi è stupendo, ci troviamo a navigare tra una miriade di isole, isolette e scogli e dall’altoparlante gli addetti dell’equipaggio ci danno un po’ di informazioni: Il canale di Beagle è lungo ben 240 km e separa l’Isola Grande dove si trova Ushuaia, da altre isole più piccole e prende il nome dal brigantino HMS Beagle che nella sua prima spedizione nel 1826 (Darwin partecipò alla seconda qualche anno più tardi, nel 1833, insieme al capitano Robert Fitzroy), effettuò ricerche idrografiche sotto il comando del capitano Phillip Parker King .
Ai partecipanti rammento invece che Beagle 2, in tempi più recenti, nel 2003, è stata una sfortunata sonda spaziale britannica che non è riuscita a compiere un atterraggio morbido su Marte, schiantandosi al suolo. Peccato perché avrebbe dovuto fare interessanti studi sulla possibilità di esistenza della vita sul pianeta rosso.
Passiamo accanto ad un isolotto pieno di cormorani e urie, salgo all’aperto sul ponte superiore dove si sono sistemati alcuni del gruppo per scattare qualche foto, ma il vento teso e freddo mi suggerisce di tornare ben presto nella zona bar dove Giovanni sorseggiando un tè, mi parla della sua passione per l’arte, sopratutto delle opere anni ‘60/70, mostrandomi come ha sapientemente arredato la sua casa.
Siamo arrivati alla Bridges Island o isola degli uccelli, qui infatti nidificano migliaia di cormorani di Magellano e cormorani imperiali, un punto privilegiato in cui ammirare questi uccelli marini, è il momento di sbarcare.
Camminiamo in un paesaggio aspro, fatto di scogli pieni di licheni, circondati dalle acque verdi del canale, più lontano si notano le isole Navarino e Hoste.
Il vento tenta continuamente di far volare via i cappelli durante le pose fotografiche. Ad uno sguardo più attento si possono notare anche cumuli di conchiglie e una riproduzione di una capanna, qui infatti gli archeologi hanno rinvenuto insediamenti e resti archeologici degli Yamana, gli abitanti originari della zona, i primi ad essersi stanziati qui circa 8000 anni fa.
Il capitano ci invita a risalire a bordo, ora vedremo da vicino l’Isla de Los Lobos, che come vuole il suo nome è abitata da esemplari di leoni marini. Non tardiamo ad avvistarli, oltre alle numerose femmine e ai piccoli c’è anche qualche maschio, caratterizzato da una testa molto grande con criniera, che può pesare fino a 300 kg e raggiungere la lunghezza di oltre due metri e mezzo.
Poco dopo è la volta del Faro di Les Eclaireurs, nell’omonimo arcipelago, costruito nel punto esatto in cui la nave a vapore Monte Cervantes è naufragata nel 1930. Molto suggestivo, alto 11 metri, dipinto a bande bianche e rosse con la lanterna nera in cima, isolato su questo scoglio in mezzo al mare dove solo qualche gabbiano osa posarsi, oggi è ancora funzionante se pur disabitato.
Tornati in città, ,effettuiamo un pranzo in un altro ristorante di pesce che espone i famosi granchi giganti in vetrina, poi ci attende il volo per El Calafate, un piccolo villaggio sulle rive del Lago Argentino, le cui anse di colore azzurro pastello ci sorprendono già durante l’atterraggio. Siamo raccolti all’aeroporto dal un’altra guida, Natalia, che ci porta al nostro Hotel Los Canelos, molto bello , in legno, con una grande scalinata. Unico neo la titolare dai modi spicci e non troppo ospitale, che ci fa scegliere in velocità la cena di stasera e il pranzo al sacco dell’indomani. Un po’ di riposo prima di ritrovarci a cena, accompagnati da un bel tramonto fuori dai finestroni in un cielo manco a dirlo limpidissimo in cui Venere brilla come un faro.
Questa sera ci viene servita crema di zucca, seguita da trota al limone su letto di verdure gratinate e flan misto con caramello e panna. Con Diego, Alessandro, Edmea e Roberto, decidiamo di fare 2 passi sul viale principale notando più che ad Ushuaia, molte agenzie che propongono trekking ed escursioni nella Patagonia argentina e cilena, negozi di souvenir, articoli sportivi, artigianato locale e molti ristoranti con giganteschi ed invitanti spiedi di carne.
C’è pure una pubblicità con Skrat, lo scoiattolo del cartone dell’ “Era glaciale” con la sua inseparabile ghianda, vera e propria mascotte del Parco. Di ritorno in hotel valutiamo il cielo dal terrazzo dello stesso, notando che facendo spegnere alcune luci del ristorante si può tentare l’indomani qualche osservazione.
29 Novembre
Ci ritroviamo di buon mattino a far colazione nella stessa sala di ieri sera, alcuni sono decisamente contrariati per essere rimasti in stanza senza corrente stamane, in particolare Diego, che doveva spedire alcune importanti e-mail. Ma tutto si stempera una volta che arriva Natalia, oggi ci attende la visita del mitico ghiacciaio Perito Moreno, una delle più attese dell’intero tour!
Mentre attraversiamo El Calafate, Natalia ci parla di questa cittadina: prende il nome dal piccolo cespuglio dai fiori gialli che produce bacche di colore violaceo molto comune in Patagonia. Si affaccia sulla riva meridionale del Lago Argentino ed è la porta di accesso al Perito Moreno dichiarato patrimonio Naturale dell’Umanità.
Infatti se pur edificata all’inizio degli anni ’20 , El Calafate iniziò a crescere solamente nel 1946, dopo l’istituzione del Parco Nazionale Los Glaciares. Il governo fece costruire strade migliori per raggiungerlo e ben presto il paese divenne uno dei posti più famosi e visitati dell’intera Argentina.
Negli 80 km che dobbiamo percorrere per arrivare alla meta, costeggiamo il Lago Argentino, di un azzurro latteo quasi surreale e ci fermiamo qualche minuto presso la sua Bahìa Redonda, costituita da morene glaciali con un’importante avifauna come i Nandù e dove risalta il colore giallo di erbe chiamate coiròn, che punteggiano l’immensa steppa patagonica.
Altra sosta poco prima di entrare al parco, in un punto in cui possiamo ammirare il Perito Moreno da lontano, il momento è solenne, partono le prime foto. Mi si avvicina Giovanni sornione: “Sai cosa succede se mi siedo sul Perito Moreno?” Non saprei, gli rispondo e rimaniamo tutti in attesa della battuta che arriva dopo qualche secondo “ I marrons glaces…!” ci rivela con un mezzo sorriso. Ci guardiamo ammutoliti. Natalia si mette a ridere di gusto e come si suol dire, rompe il ghiaccio… quale migliore ingresso al parco Nazionale Los Glaciares poteva fare il nostro gruppo?
Eccoci dunque al visitor center del Perito Moreno, siamo pronti per la visita! Oltre all’indiscutibile bellezza, una delle ragioni che hanno reso il ghiacciaio la principale meta turistica della Patagonia Argentina è la sua facile accessibilità, essendo l’unico ghiacciaio della Patagonia che può essere visitato dalla terraferma senza dover navigare.
Proprio di fronte al Perito Moreno è stata infatti realizzata una rete di passerelle che portano a diverse terrazze e balconate. Natalia ci spiega che esistono 5 diversi sentieri che conducono a piedi ai belvedere, in questo modo è possibile vedere il ghiacciaio da ogni angolazione. Ogni sentiero è poi contraddistinto da un colore diverso.
I due più belli sono il Paseo central e il Paseo della Costa ma in circa tre ore è possibile riuscire a percorrerli tutti. C’è poi il Balcon inferior che si trova a soli 300 metri dal fronte del ghiacciaio.
Cominciamo la visita percorrendo il primo sentiero. La prima parte è caratterizzata da una vegetazione arborea appartenente alla famiglia dei “notofagus” ( ribes, amarene, lengas), alberi di cannella e fiori tra cui spicca il Notro di colore rosso intenso. Il ghiacciaio emerge quindi improvviso bianco azzurrino dagli alberi verdi dietro una curva, uno spettacolo! E’ la “curva dei sospiri” chiamata così perché è il primo punto da cui si ha una vista panoramica sul ghiacciaio in tutta la sua estensione di 3 km di lunghezza e 60m di altezza. Ci appare come un enorme tavolato che avanza lentamente tra le montagne gettandosi nel Lago Argentino.
Visto tante volte in foto o in documentari, devo dire che ammirarlo dal vivo è un’emozione difficilmente descrivibile. Oltre ad un senso di maestosità ed imponenza della natura, ciò che veramente impressiona sono i suoi colori, che cambiano in base al riflesso della luce solare che va e viene tra qualche nube. I ghiacci hanno tutte le tonalità del bianco e dell’azzurro, un caleidoscopio che va dal candore della neve al blu profondo. Il nostro gruppo è a bocca aperta.
Natalia procede con le spiegazioni mentre siamo assorti ad osservare e fotografare questa meraviglia. “A causa della sua posizione inospitale, il primo avvistamento avvenne nel 1879, grazie al capitano della marina cilena Juan Tomas Rogers. Dopo 20 anni, il ghiacciaio fu ribattezzato con il nome attuale, in omaggio a Francisco Moreno, noto come “El Perito”, l’esperto, per la sua conoscenza della regione, ( ha scoperto tra gli latri il Lago Argentino e il monte Fitz Roy). Curiosamente, non vide mai il ghiacciaio che oggi porta il suo nome.
La spiegazione di Natalia è interrotta da scricchiolii e rumori secchi e ben presto da un boato accompagnato dagli “Ooooh” dei numerosi turisti: una torre di ghiaccio si è appena staccata dal fronte sprofondando in acqua tra spruzzi e fragore. Caspita! Non pensavo fosse così facile vedere un crollo, altri amici che sono venuti qui in passato non hanno avuto questa fortuna. Ad uno sguardo più attento infatti si possono notare attorno al ghiacciaio altri numerosi blocchi caduti in precedenza, di varie dimensioni e colori, iceberg che si allontanano lentamente nelle acque del lago.
Pare infatti che il ghiacciaio al contempo avanzi e perda massa, più o meno in egual misura, senza subire grandi variazioni del fronte e più in generale delle sue proporzioni. Per anni il ghiacciaio è rimasto in uno stato di equilibrio; il ghiaccio “perso” era quello della parte anteriore (lo stesso che avanza) mentre le particolari condizioni della zona di accumulo ne permettevano una continua formazione. Questo fino al 2020. Negli ultimi anni, infatti, è stato notato un arretramento del fronte del ghiacciaio di circa 500 metri, i primi effetti del surriscaldamento globale, che affligge numerosi ghiacciai in tutto il mondo.
Seguiamo Natalia lungo il sentiero che si avvicina sempre di più al ghiacciaio. Aumenta se possibile ancora di più l’effetto emozionale, ora il Perito Moreno è davanti a noi in tutta la sua imponenza: si notano meglio le fessure blu tra le creste appuntite che si perdono all’orizzonte e le ombre scure delle nuvole ne aumentano l’effetto di tridimensionalità. Procediamo con selfie e foto di gruppo a profusione. “Non ho mai fatto così tante foto!” ammette Andrea sempre incollato al teleobiettivo. Con Esther si scherza come in viaggi passati a fotografarci nella posa con stretta di mano in stile Mr. Livingstone.
Altri distacchi, altri cracc e tonfi, viene giù un pezzo grande come un palazzo, prontamente ripreso da Diego! Ho avuto la fortuna di vedere numerosi ghiacciai in questi anni, in Islanda prima e alle Svalbard poi, ma nulla di lontanamente paragonabile a tutto questo. Non ci accorgiamo del trascorrere del tempo tanto da rimanere sorpresi quando Natalia si siede addentando un panino, è ora della pausa pranzo. Ci sistemiamo comodamente su una panca con splendida vista sul ghiacciaio consumando ciò che contiene il cestino-lunch fornito dall’albergo. Sopra di noi volteggia un condor.
Riprendiamo la marcia per vedere lo spettacolo da altri punti panoramici, ora l’immensa parete di ghiaccio ci appare come la prua di una gigantesca nave, ci avviciniamo di più ad iceberg isolati che navigano nel lago argentino, per finire con il Balcon inferior, il punto in assoluto più vicino in cui sono protagonisti i blocchi ribaltati davanti al ghiacciaio pieni di striature scure.
E’ il momento di ritornare, ci fermiamo per un caffè con dolcetto al visitor center e abbandoniamo questo luogo meraviglioso, probabilmente uno dei più belli mai visti. Una volta a El Calafate chiediamo a Natalia di lasciarci sulla strada principale, l’Avenida del Libertador General San Martin per una sosta al Paseo Artesanos, di fianco al Casinò, una sorta di mercatino dell’artigianato locale per gli inevitabili acquisti di souvenir.
A cena questa volta abbiamo bruschetta di verdure, manzo con salsa al Malbec e guarnizione di patate rustiche e per finire brownie con gelato e Bailes. E finalmente, visto che il cielo si è mantenuto perfettamente limpido, arriva il momento delle attese osservazioni con il telescopio Dobson, il fedele compagno di viaggi che anche stavolta mi ha seguito. Ho avuto il tempo necessario per montarlo nel tardo pomeriggio ricuperando lo specchio, i tralicci e la montatura in legno da Edmea e Roberto, che gentilmente mi hanno offerto spazio nelle loro valigie per non eccedere nei pesi e coadiuvato da Diego e Andrea trasporto i vari pezzi sul terrazzo dell’hotel. Si aggiungono a noi anche Esther, che farà foto col Polarie, Edmea, Roberto, Giovanni e Alessandro.
Le modifiche apportate al telescopio dopo aver perso lo specchietto secondario in Georgia nel Caucaso qualche anno fa, l’hanno reso più corto di focale e decisamente più scomodo da utilizzare ma le immagini, come riscontrato in Messico, sono ottime. Prendo quindi quasi subito di mira Venere, visibile come una falcetta e poco dopo Giove con le sue lune e le bande nuvolose. E’ quindi la volta della brillantissima Sirio, di Canopo e delle Pleiadi del sud o IC 2602, nella costellazione australe della Carena, già intuibili ad occhio nudo come una nubecola, che diventano un gruppetto di stelle azzurre luminose al telescopio, che vagamente ricordano la forma delle Pleiadi nostrane.
I compagni di viaggio si alternano all’oculare e Diego scatta anche qualche foto a largo campo con il suo cellulare. Individuo poi la nebulosa Eta Carinae che da tempo non vedevo e gli ammassi aperti limitrofi come il piccolo e concentrato NGC 3293, il più largo NGC 2516 e il magnifico “Scrigno dei gioielli” questa volta nella Croce del sud, che fra miriadi di stelle bianche e azzurrine, ne ospita una gialla proprio al centro. Esther sta proprio tentando una foto in questa zona di cielo, anche se non è facile schermarsi dalle luci dell’albergo e da quelle circostanti. Nonostante ciò, grazie alla limpidezza del cielo patagonico, si riescono comodamente a vedere ad occhio nudo la Grande e la Piccola nube di Magellano, galassie satelliti della nostra.
Accanto a quest’ultima si indovina ad occhio nudo l’ammasso globulare 47 Tucanae, uno dei più luminosi del cielo, che esplode letteralmente nell’oculare del telescopio, con decine di migliaia di stelle talmente vicine da farlo assomigliare ad una nebulosa rotonda.
Il vento si è però intensificato facendo traballare continuamente il vecchio telescopio, diventa difficile puntare qualcos’altro. Concludiamo quindi la serata con qualche foto di gruppo con lo sfondo del cielo stellato.
30 Novembre
Dopo colazione rivediamo Natalia, quest’oggi ci attende un altro interessantissimo tour: la navigazione nel lago Argentino tra i ghiacciai del Parco Nazionale Los Glaciares!
Un terzo della superficie del Parco, istituito nel 1937, è coperta di ghiaccio, quello dello sterminato Campo de Hielo Sur, la terza calotta polare dopo Antartide e Groenlandia e da esso si originano tutti i ghiacciai del parco: il Perito Moreno, il Viedna, l’Upsala, lo Spegazzini e altri 43.
Una delle principali caratteristiche di questi ghiacciai è la loro quota di origine; in altre parti del mondo si formano a partire dai 2500 metri di quota, qui invece si originano già dai 1500 metri in virtù della particolare conformazione geografica della regione.
Arrivati a Punta Bandera, a 47 km da El Calafate, saliamo a bordo dell’imbarcazione e ci accomodiamo su morbide poltrone in attesa di uscire all’aperto sul ponte superiore. Dopo una ventina di minuti di navigazione la barca rallenta e saliamo all’esterno. Il vento è forte e gelido e stringendoci nei giubbotti fotografiamo alcune nubi lenticolari dalla forma a disco, che formano uno splendido quadretto con l’acqua azzurro-verde del Lago Argentino, colore dovuto ai sedimenti trasportati dei ghiacciai, ci informano dagli altoparlanti.
Il cielo si sta annuvolando, una situazione un po’ peggiore dei giorni precedenti ma ancora buona. Ben presto incrociamo un grande iceberg azzurro-blu dalla strana forma a sfinge, che attira sul ponte un sacco di fotografi, che cercano di rimanere in equilibrio sballottati dalle onde. E’ veramente magnifico e ogni volta che il sole esce dalle nubi diventa traslucido e luminoso con i colori che aumentano d’intensità. La spiegazione di questi colori è dovuta, ci dicono, alla diversa compattezza degli strati di ghiaccio che espellendo le bolle d’aria al suo interno assumono una diversa cromia. Gli giriamo attorno per vederlo da diverse angolazioni poi lo lasciamo andare alla deriva solitario, spinto dai venti.
Continuiamo a navigare tra altri iceberg più piccoli anch’essi azzurri, che si staccano dalla parte anteriore del ghiacciaio Upsala, il primo che avvistiamo, Il cui nome rievoca quello dell’Università della cittadina svedese che ha condotto i primi studi sui ghiacciai della regione.
Per questioni di sicurezza non ci si può avvicinare troppo ( In passato si è verificato un grave incidente con una imbarcazione turistica travolta dall’ondata creata dal distacco di un enorme blocco di ghiaccio) e lo vediamo quindi solo da lontano, ma anche così con i suoi quasi 900km2 è ancora il terzo ghiacciaio più grande dell’emisfero australe, nonostante stia patendo gli effetti del cambiamento climatico. E’ lungo 55 km largo 10 e alto 60 metri e scende da monti lontani immersi nelle nuvole e nel grigiore, la sua superficie ci appare decisamente piatta.
Attraversiamo la Boca del Diablo, un restringimento del Lago Argentino che porta nel Brazo Norte e dopo un po’ sulla destra vediamo il ghiacciaio Seco, che si ferma prima di tuffarsi in mare aggrappato ad una parete di roccia , si sta infatti ritirando come evidenzia una strisciata di rocce prive di vegetazione.
Un the’ con croissant offerto dall’equipaggio in cabina e risaliamo la scaletta, stiamo entrando nel canale Spegazzini per raggiungere il ghiacciaio omonimo, un altro dei ghiacciai più grandi del Parco, con una superficie di 134 km² e una larghezza media di circa 1,5 km. Si distingue in questo caso per la grande altezza della suo fronte, che raggiunge i 135 metri, la più alta del Parco Nazionale. Nasce in Cile ma termina in Argentina ed è alimentato da altri 2 ghiacciai l’ Heim Sur e il Peineta.
Il nome del ghiacciaio fa riferimento al botanico italiano, Carlo Luigi Spegazzini, che ha catalogato la flora della Patagonia alla fine dell’800. Sulla parete di roccia di fianco notiamo anche il ghiacciaio Heim, che ricorda un fiume che, scorrendo, si sia improvvisamente congelato. Nella parte finale, quella che finisce nel lago, si fonde con lo Spegazzini creando un effetto suggestivo.
Il ghiacciaio è stupendo, ci avviciniamo questa volta fin quasi a toccare la parete che appare tagliata di netto come una gigantesca meringa, con un colore che va dal bianco azzurro al grigio-bluastro e con una serie di spaccature che ne attraversano la superficie, un altro momento magico di questo indimenticabile viaggio. Gli navighiamo accanto prima da un lato e poi dall’altro della nave facendo in modo che tutti possano vederlo e fotografarlo al meglio. C’è comunque una decisa calca, Carlo fatica a trovare un’inquadratura senza che entri nella foto qualcuno del gruppo di francesi, piuttosto invadenti a dire il vero. Giovanni invece è a suo agio e sta fraternizzando con le signore d’oltralpe.
Qualche sprazzo di sole si alterna a neve a pallini e Alessandro come alle Svalbard sfida il vento gelido senza cappello, (si beccherà poi un potente raffreddore… ). Ci fotografiamo a gruppetti o da soli con lo sfondo dello Spegazzini che incombe su di noi maestoso, un muro frastagliato di ghiaccio che la luce colora di mille sfumature. Tutto attorno, vette di montagne scure immerse nelle nuvole basse e foreste lussureggianti completano il quadretto.
A malincuore ci allontaniamo, sbarcando a Puerto las vacas per pranzare al vicino rifugio Spegazzini con vista impareggiabile sui ghiacciai della Bahìa de Los Glaciares. Il menu prevede Empanada di carne, Goulash di Guanaco e mousse di cioccolato bianco e fondente. Faccio una videochiamata a casa inquadrando il luogo magnifico in cui mi trovo prima del rientro a El Calafate. Siamo stati ancora una volta fortunati con il meteo, ci dice Natalia, alcuni turisti si sono ritrovati spesso in mezzo alla nebbia, non riuscendo a vedere nemmeno il ghiacciaio! Ci attende quindi l’ultima cena a El Calafate con Empanada di carne, agnello in casseruola e coppa di gelato prima di archiviare un’altra spettacolare giornata.
1 Dicembre
Oggi ci attende il volo che ci porterà prima a Buenos Aires e poi a Iguazù, un’altra meta spettacolare di questo viaggio per il quale ormai sono finiti gli aggettivi superlativi. Appena uscito dalla stanza tuttavia incontro Edmea che si sta lamentando per aver dovuto portare le valigie giù dalla scalinata in legno senza l’aiuto del personale dell’hotel, che ancora una volta si è rivelato più che scortese. Cerco la titolare ma non c’è traccia. Dopo colazione riferiremo il tutto a Natalia che riporterà la cosa al tour operator, veniamo quindi condotti in aeroporto, ci attende una lunga giornata.
Una volta a Buenos Aires, l’aereo per Iguazu infatti è in forte ritardo e arriveremo a destinazione solo verso le 23.00, accolti dal gentile Alfonso, una guida brasiliana che ripete alla fine di ogni frase: “benvenuti signori al nostro mundo!” Arriviamo quindi al nostro Hotel La Aldea de La selva, in mezzo alla giungla, molto bello, qui il gentile personale ci ha atteso e ci offre la cena di mezzanotte a base di formaggio provoleta con pomodori canditi alla griglia, raviolones caseros ripeni di prosciutto e formaggio con burro alle erbe e mousse al frutto della passione. Ci viene spiegato come raggiungere i nostri bungalows anch’essi molto belli in legno, che raggiungiamo trasportando le valigie accompagnati da strani versi degli animali notturni, la temperatura è calda ma gradevole e nessuna zanzara per fortuna.
2 Dicembre
Sono svegliato alle 5 da versi inquietanti di uccelli simili ad allarmi, raggiungo più tardi gli altri per la colazione nell’ampio salone e ben presto ci raggiunge Alfonso pronto per farci visitare il lato argentino delle cascate di Iguazu, patrimonio dell’umanità dell’Unesco e una delle 7 meraviglie del mondo!
Provate ad immaginare un insieme di cascate, ben 275, che si susseguono una dopo l’altra per quasi tre chilometri, ci dice entusiasta Alfonso durante il tragitto, là dove il fiume Iguazù ed il fiume Paranà si incontrano. Provate ad immaginare cascate che arrivano a sfiorare gli 80m di altezza immerse in una natura lussureggiante con una grande varietà di flora e fauna. Se siamo fortunati si potrà vedere anche il giaguaro! Cresce l’attesa in tutto il gruppo.
Intanto però si è messo a piovere e una volta al centro visite ci ripariamo sotto una pensilina mentre Alfonso prende i nostri biglietti. Ci accomodiamo poi su un trenino a scartamento ridotto indossando i fondamentali impermeabili e k-way, il “Treno Ecologico della Giungla”, a basso impatto ambientale. Questo treno funziona a GPL, non inquina, non ha quasi alcun impatto acustico e si adatta perfettamente all’ambiente in cui si trova. I suoi piccoli vagoni non sono completamente chiusi e questo ci permette di entrare a contatto diretto con la foresta, i suoi suoni, i suoi profumi e naturalmente la sua umidità.
Scendiamo una volta arrivati all’inizio del sentiero che porta alla Garganta del Diablo, la cascata più impressionante e spettacolare di tutto il parco e per fortuna ha smesso di piovere. Camminando lungo le passerelle, Alfonso ci mostra la grande varietà di piante che crescono qui, una per esempio, ha un fusto in cui vivono in simbiosi formiche che trasportano micro nutrienti utili alla stessa e la pianta produce poi funghi di cui le formiche si cibano. Procedendo lungo il sentiero, abbandoniamo la selva e la vista si apre sul grande fiume Iguazu, veramente enorme, camminiamo su una passerella poco più lunga di 1km, che per buona parte è stata costruita a filo d’acqua. Cominciano a vedersi nuvole di vapore e a sentirsi il rombo delle cascate in lontananza, Diego procede davanti a tutti con la speciale fotocamera munita di prolunga telescopica per riprese a 360°.
Ora il rombo è assordante. Giunti sulla terrazza panoramica siamo finalmente al cospetto della cascata più imponente dell’intero parco nazionale. Alfonso ci invita ad ammirarla dal parapetto della balconata, proprio sopra la cascata: “Benvenuti signori al nostro mundo!” Un senso di vertigine ci coglie seguendo con lo sguardo questo muro d’acqua che precipita in nubi di vapore nella gola per più di 80 metri, con un fragore che impedisce di udire la persona che hai di fianco.
Cascate bianche e spumeggianti nel cielo grigio, un’impressionante testimonianza della forza e della potenza della natura, energia allo stato puro! Tra l’altro proprio nei mesi estivi ( Dicembre e Gennaio ) le cascate raggiungono la loro massima portata diventando particolarmente maestose, siamo nel posto giusto al momento giusto! Rimaniamo un po’ per le doverose foto e riprese e ci rimettiamo in marcia, oggi cammineremo parecchio ci aveva avvertito Alfonso… La nostra guida ci riconduce all’interno della foresta tropicale, tra la vegetazione lussureggiante e farfalle colorate che ci si posano sulle mani. Iguazu, ci racconta, nella lingua degli indigeni Caiagangue e Tupi-Guarani significa “grandi acque”, un nome particolarmente azzeccato, mentre il primo europeo a trovarsi al loro cospetto fu nel 1542 lo spagnolo Alvar Nunez meglio noto come “Cabeza de Vaca”.
Procediamo lungo il Paseo Superior, una passeggiata di 1700m che permette di ammirare dall’alto con molti punti panoramici una serie di altre meravigliose cascate: Dos Hermanas, Adam Y Eva, Bernabe Mendez e Mbiguá. Continuando raggiungiamo un ponte che passa sopra al fiume e ci porta alla seconda cascata più grande dell’intero sistema, quella di San Martin, con un’altra eccezionale vista panoramica: sembra di essere sul pianeta Pandora del film Avatar! Qui la vegetazione la fa da padrona e cresce tutto attorno alle cascate e si frappone ai numerosi salti d’acqua, da cui emergono in basso luminosi arcobaleni in mezzo al vapore, complice un po’ di sole che sta uscendo dalle nubi. Chissà se le generazioni future avranno ancora l’occasione di ammirare spettacoli come questo…
Alfonso prosegue: “una leggenda racconta che le cascate furono create dal dio M’Boy (rappresentato da un serpente), a cui veniva data in sacrificio ogni anno una fanciulla. Quando venne il turno della bellissima Naipi, figlia del capo del villaggio degli indigeni, il suo giovane innamorato Taroba si oppose portando la fanciulla via su una canoa lungo il corso del fiume. Ma Il serpente M’Boy considerò il gesto dei due innamorati come un vero oltraggio e con un colpo di coda divise il corso d’acqua in due: una parte si inabissò, mentre l’altra si innalzò generando le cascate. Naipi venne trasformata in una roccia e il suo amato Taroba in un albero che guarda ad essa per l’eternità…”
Camminiamo ancora. Il caldo si fa sentire e il gruppo procede stancamente e sfilacciato, Giovanni ed Esther cercano qualche panchina all’ombra, altri approfittano delle bottigliette d’acqua, Alessandro chiude la fila assorto nella natura. Alfonso finalmente si ferma e guarda l’orologio, è il momento della sosta pranzo in un vicino self service nel parco, meno male, una pausa ci voleva. Appena fuori dal ristorante un piccolo varano Tegu ci guarda mentre prende il sole sull’erba, ci accomodiamo col vassoio e dopo un pranzo veloce proseguiamo il nostro tour col Circuito Inferiore. Giovanni ed Esther decidono però di rinunciare, ci aspetteranno qui all’ombra di un albero.
Il percorso si muove attraverso la foresta di palme e ananas selvatici col sottofondo di rumorose cicale, estendendosi per circa 1700 metri. Offre una perfetta visuale sulle cascate di Dos Hermanas, Chico e Ramírez, fino al ponte che porta alla spettacolare cascata di Bosetti, un gigantesco anfiteatro con al centro l’Isola di San Martin ed il suo molo da cui partono imbarcazioni per navigare vicino alle cascate. Noi però non abbiamo tempo per questo tipo di escursione e proseguendo il giro ad anello, continuiamo a seguire il fiume fino a raggiungere le cascate Alvar Nuñez, Elenita e Lanusse, per poi ritornare al punto di partenza e raccogliere gli altri compagni di viaggio.
Al rientro in hotel ci concediamo un bagno in piscina sul far del tramonto in compagnia degli stessi strani versi dell’alba. La cena questa sera ci riserva crocchette di pesce di fiume Surubi, accompagnate da salsa di funghi di pino con poeder di manioca, bistecca di filetto e flan della casa. Siamo quasi arrivati alla fine del nostro bellissimo viaggio, Carlo alza il calice per un doveroso brindisi.
3 Dicembre
Quest’oggi ci attende una lunga e impegnativa giornata, la visita del lato brasiliano delle cascate e il lungo ritorno a casa. Ci ritroviamo per l’ultima colazione in hotel portando i bagagli nella hall per essere caricati sul pulmino. Alfonso ha una certa premura, dovremo attraversare la frontiera col Brasile far controllare i passaporti, tutto questo 2 volte all’andata e 2 volte al ritorno, spera che tutto fili liscio e gli addetti ai controlli non siano troppo zelanti e non ci facciano perdere tempo prezioso.
Appare subito chiaro che sarà molto difficile riuscire a fare il sorvolo delle cascate in elicottero, un’attività facoltativa e molto spettacolare a detta di chi l’ha fatta, che avrebbe raccolto tra il gruppo diverse adesioni. Ma non si sa mai, dice Alfonso! Siamo confortati da una bella giornata di sole e per fortuna da un’insolita velocità nei controlli, in una quarantina di minuti superiamo entrambe le frontiere e siamo in Brasile! “Benvenuti signori al nostro mundo!” annuncia un sorridente Alfonso. Nonostante ospiti solo il 20% delle cascate, la nostra guida ci avvisa che il lato brasiliano non ha nulla da invidiare a quello argentino e merita di essere osservato con la stessa attenzione e curiosità.
Se è infatti vero che la parte argentina presenta una molteplicità di percorsi e dunque di prospettive, quella brasiliana lascia senza parole perché offre una migliore visione d’insieme. In effetti è proprio quello che ci appare subito dopo l’ingresso nel parco, dalla gigantesca balconata panoramica, set ideale per una foto di gruppo. La bella giornata fa apprezzare meglio i colori dei fiori e della vegetazione e le cascate risaltano ancora di più nel cielo azzurro, disposte ad arco tutto attorno a noi e accompagnate dal consueto rombo.
Anche il lato brasiliano del Parco dell’Iguazù vanta una rete di passerelle che conducono nel bel mezzo della foresta con svariati punti panoramici sulle cascate. E Anche oggi comunque dovremo camminare, il sentiero da percorrere è di circa 1.200 metri e la passeggiata non troppo impegnativa, il gruppo si fa coraggio. Ammiriamo così dall’alto, tra nubi di vapore e arcobaleni le cascate Floriano, Deodoro e Benjamin Constant in compagnia di un gruppo di Coati che ci guardano con aria buffa appesi ai rami degli alberi.
Ma come si sono create queste incredibili cascate? Chiedono alcuni del gruppo. Circa 100 milioni di anni fa, una serie di colate laviche si raffreddarono creando una formazione rocciosa di basalto in cui in seguito si sono formate grandi fratture, una di queste è il canyon dell’Iguazú. Un volume di acqua crescente dovuto al clima molto piovoso di circa 20.000 anni fa, si incanalò qui e il processo di erosione degli strati basaltici ha poi creato la forma “a scala”, con i grandi gradini da cui scendono questi meravigliosi salti d’acqua. Le Cascate di Iguazù sono due volte più larghe e quasi il doppio in altezza delle famose cascate del Niagara.
Il percorso ha come meta finale la Garganta del Diablo, che vedremo questa volta dal basso lungo una passerella che porta praticamente fin sotto la cascata principale, il Salto Union. Alfonso ci da le necessarie istruzioni per quest’ultima chicca del parco: occorre coprirsi per bene con gli impermeabili e cellophane fornito da alcuni addetti e soprattutto riparare l’attrezzatura fotografica.
Procediamo assieme a una lunga teoria di turisti, Diego sempre in testa al gruppo con la sua “pertica” telescopica. Ci avviciniamo alla gigantesca cataratta dalle acque limacciose e siamo ben presto immersi nel vapore e completamente bagnati. Il getto e il rombo sono incessanti, ammalianti, emozionanti, una dimostrazione di potenza che attrae e spaventa allo stesso modo. Fa pensare alle alluvioni, alla forza distruttiva dell’acqua ma anche a come possono esserci luoghi sulla Terra aridi, dove l’acqua scarseggia e la sopravvivenza delle specie animali e vegetali è a rischio.
Per una migliore visuale, c’è un terrazzo a lato di un negozio di souvenir, raggiunto alla spicciolata da tutto il gruppo. Ora i più stanchi possono salire in cima alla torre panoramica con un comodo ascensore che si trova proprio qui alla fine del sentiero, gli altri possono salire a piedi.
Arrivati in cima ci contiamo, non manca nessuno, neanche Alessandro.
Alcuni elicotteri ci sorvolano, guardo Alfonso, che scuote la testa, niente da fare, siamo troppo in ritardo, dobbiamo rinunciare. Ora ci attende il pranzo in un fornitissimo self service con vista sulle cascate, il Porto Canoas, Alfonso dice che dobbiamo assolutamente assaggiare la Feijoada, un piatto tipico brasiliano di queste zone a base di fagioli neri, carne di maiale ( orecchio, coda, piede, frattaglie, pancetta, lardo, salsiccia), carne di vacca (ventre seccato e salato), spezie e riso. E’ lui stesso che ci compone i piatti con i vari ingredienti, devo dire niente male.
Il passaggio delle frontiere si svolge al ritorno con la stessa velocità dell’andata e salutiamo Alfonso ringraziandolo della sua gentilezza e ospitalità. Ci attende ora il volo per Buenos Aires in cui rivediamo Fabian che ci porta in pullman all’aeroporto internazionale. Qualche problema col volo di Esther per Udine poi risolto e siamo quindi sull’aereo per Roma in cui il gruppo si divide sulle varie destinazioni finali.
Sarà un viaggio che ricorderemo a lungo, la Patagonia e l’Argentina rimarranno nei nostri cuori per i panorami spettacolari e per una natura selvaggia e primordiale che ci ha proiettato all’interno di un vero e proprio documentario alla “SuperQuark”. Una natura sempre più in pericolo che l’umanità ha il dovere di preservare.
LE FOTO SONO DI: Alfieri Giovanni, Andrea Battistella, Edmea Becchi, Diego Bonata, Esther Dembitzer, Massimiliano Di Giuseppe e Micciullo Carlo.






























































































































































































































































































































