di Massimiliano Di Giuseppe
Dopo il viaggio in Azerbaijan del Maggio 2015, era rimasta nel nostro gruppo di astroviaggiatori la curiosità di addentrarsi maggiormente nel Caucaso e approfittare di condizioni ancor più ideali per le osservazioni astronomiche… E’ noto infatti che tutta l’area del Grande Caucaso è praticamente priva di inquinamento luminoso, risultando una delle regioni più buie del pianeta. Quindi, già a Settembre dello stesso anno tentiamo di organizzare un viaggio in Georgia, uno splendido paese attraversato dalla celebre catena montuosa, non riuscendo tuttavia a raggiungere il numero minimo di partecipanti. Si decide allora con Robintur di riprovarci quest’anno, programmandolo in occasione delle Perseidi di Agosto, le famose “Lacrime di S.Lorenzo” e finalmente il viaggio va in porto!
Ci ritroviamo così il 5 Agosto all’aeroporto di Malpensa con alcuni vecchi compagni di viaggio: Stefano Ottani, l’ultima volta con noi in Madagascar 2 anni fa, Teresa Cavalletti e Vita Santoro presenti all’ultima eclisse in Wyoming, Graziella Balboni, reduce dalle avventure etiopi, Giovanni Pelati detto Ivan con la moglie Iole Magnoni, conosciuti in Finlandia nel 2014, a cui si aggiungono le nuove arrivate, Marisa Zanini, Claudia Cincotti e infine, direttamente dalla Sardegna Claudia Putzolu, Elisabetta e Maria Cristina Soddu.
Dopo uno scalo a Kiev in Ucraina, arriviamo attorno all’una di notte a Tbilisi, capitale della Georgia dove troviamo ad attenderci il giovane Levan che ci accompagnerà per tutto il nostro tour.
Entriamo in una città che ci appare anche a quest’ora molto viva, illuminata e piena di gente e pernottiamo all’hotel Coste dandoci appuntamento l’indomani per le visite del centro storico.
6 Agosto, il tour inizia con il Monumento a cavallo del re Vakhtang Gorgasali, fondatore nel V secolo di Tbilisi, che divenne capitale dell’antico regno di Kartli, a fianco della chiesa ortodossa georgiana di Metekhi, del XIII secolo con la tipica pianta a croce.
Tbilisi, ci spiega Levan, ha subito continue invasioni trovandosi in posizione strategica nel cuore del Caucaso, tra Europa ed Asia, fu distrutta svariate volte, ma sempre ricostruita con tenacia dalla sua popolazione. Ha quindi un particolare fascino multiculturale e cosmopolita che si riflette nei diversi stili degli edifici, che vanno da quello tradizionale con le case in legno a quello liberty, neoclassico, arabo, sovietico, fino ad arrivare ai modernissimi edifici in vetro e acciaio.
Questo è lo spettacolo che ci appare mentre raggiungiamo la cima della collina di Sololaki sulla moderna cabinovia: la città si allarga sotto di noi con i suoi 1.300.000 abitanti (1/3 della popolazione dell’intera Georgia) , divisa in due parti, quella vecchia e quella nuova, dal fiume Mtkvari. La giornata nuvolosa non consente purtroppo di scorgere le vette del Caucaso all’orizzonte.Ad accoglierci in cima, troviamo la gigantesca statua della Madre della Georgia alta 20m ( simile a quella che avevo visto in Armenia), che sorveglia la città tenendo in una mano una coppa di vino da offrire agli amici e nell’altra una spada per difendersi dai nemici.
Passeggiamo fino alla vicina Fortezza di Narikala, la cui costruzione risale all’VIII secolo, modificata ripetutamente in seguito alle varie dominazioni di persiani, arabi, mongoli, turchi e russi. Scendiamo poi una lunga scalinata, incrociando un anziano gelataio e venditori ambulanti di succhi di melograno e arance e macedonie di frutta. Marisa si fa tentare da una di anguria. Entriamo nella chiesa di Metekhi, in cui è sepolta Santa Shushanik, uccisa dal marito dopo essersi rifiutata di convertirsi allo zoroastrismo. Ci dirigiamo quindi al quartiere di Abanotubani, con le suggestive terme sulfuree dalla forma a cupola.
Il quartiere ha una chiara impronta ottomana e la nostra attenzione è attirata dalla facciata di un edificio azzurro dallo stile orientale con fitte decorazioni che ricordano una moschea, in realtà anche questa un’entrata ad una delle terme.
A pochi passi osserviamo una fontana con la statua in bronzo di un falco che prende un fagiano: è proprio in questo punto che secondo la leggenda fu fondata la città.
Stando al mito, ci racconta Levan, il re Vakhtang Gorgasali avrebbe scoperto casualmente le sorgenti sulfuree durante una battuta di caccia al fagiano, pare infatti che l’animale che inseguiva fosse caduto in una di queste pozze caldissime finendo per essere cotto. Il re decise quindi di fondare su quella fonte una città. Ancora oggi le sorgenti sono una delle principali attrazioni di Tbilisi e il nome stesso della città deriva da “tbili” che significa caldo.
Attraversiamo un ponte pieno di lucchetti sul fiume Mtkvari su cui si affacciano antiche case con i tipici balconi che sembrano ricamati nel legno, accompagnati da suonatori di strada con fisarmonica e tamburi e da qualche militare.
Salendo una ripida scala a chiocciola di ferro ci ritroviamo nel dedalo di stradine della città vecchia, che nascondono tra le altre una Moschea e una Sinagoga dal bellissimo interno azzurro, a testimoniare che Tbilisi è anche una città multi religiosa, dove da secoli cristiani musulmani ed ebrei vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Naturalmente la religione principale è quella cristiana ortodossa e la Georgia è uno dei primi paesi in cui fu praticata, con un territorio disseminato di chiese e monasteri che visiteremo nel corso del viaggio.
Arriva il momento del pranzo e iniziamo a familiarizzare con i piatti tipici georgiani, uno su tutti il Kachapuri, una focaccia ripiena di formaggio, gustosissima, che da oggi in poi non mancherà mai sulle nostre tavole. Molto buono anche il tagliere vegetariano composto da fkhali, polpette piatte con spinaci (ma anche cavoli e barbabietole) impastati con noci e decorate con chicchi di melograno e nigvziani badrijani involtini di melanzana (fritta) ripieni di una crema di noci e spezie, oltre che naturalmente carne arrosto di vari tipi!
Per digerire ci vuole una passeggiata al mercatino di fronte al ristorante che vende tra le altre cose babbucce, colbacchi e anticaglie sovietiche: non mancano le matriosche, cannocchiali, monete e… dischi di Toto Cutugno, Albano e Romina e Celentano! Procediamo con la visita della cattedrale della Santissima Trinità ( Sameba ), imponente nel cielo diventato finalmente sereno, preceduta da un’alta scalinata fiancheggiata da croci, è sede del patriarcato di tutta la Georgia e venne costruita tra il 1995 e il 2004 per celebrare i 1500 anni di autocefalia della chiesa ortodossa georgiana. A pianta cruciforme, è austera e grandissima con 8 colonne che sorreggono la grande cupola. Le donne del gruppo, con un velo bianco sul capo (obbligatorio per loro), accendono alcune candele nella penombra…
Si prosegue il giro con le antiche mura che un tempo cingevano la città e che ora Levan ci mostra in una zona di scavi sotto la strada trafficata e con la Old Tbilisi, la zona più romantica e caratteristica della città. Si comincia dalla Ioane Shavteli Street, con la bizzarra torre dell’Orologio,realizzata nel 2010 da Rezo Gabriadze con annesso Teatro delle Marionette. Un carillon di figure che rappresentano il ciclo della vita compare in cima alla torre solo alle 12 e alle 19 e noi purtroppo siamo fuori orario…
Si prosegue con la Basilica di Santa Maria Anchiskhati, la chiesa più antica della città, eretta nel V secolo sotto Dachi, figlio di re Gorgasali, con 3 navate, pregevoli affreschi seicenteschi e una torre campanaria.
Poi in Erekle II Street a sinistra notiamo il modernissimo Ponte della Pace dell’architetto italiano Michele De Lucchi che collega le due sponde di Tbilisi e proseguendo tra splendidi localini all’aperto, imbocchiamo Sioni Street con la famosa Cattedrale di Sioni, dove si trova la preziosissima Croce di Santa Nino, la Santa più venerata della Georgia.
Il caldo e la stanchezza si fanno sentire per cui a turno ci abbeveriamo in una delle tante fontane della città, l’acqua è freschissima e ci dicono potabile… Poco oltre è la volta di una foto di gruppo presso la statua in bronzo di Tamada, un’antica divinità simile a Bacco, riproduzione di quella autentica e più piccola risalente al 7°secolo a/C e conservata al Museo Nazionale, che visiteremo l’indomani.
A proposito di Bacco, non può mancare un aperitivo in una delle tantissime enoteche di via Rustaveli, che ci offre un assaggio dei famosi vini georgiani, che vengono conservati in caratteristiche giare di terracotta (kvevri) e non nelle classiche botti. Qui in Georgia pare sia nata la coltivazione della vite addirittura 7000 anni fa, grazie al fertile terreno ed oggi il paese vanta il maggior numero di varietà autoctone assieme all’Italia.
Siamo al termine del city tour e approdiamo alla grande piazza della Libertà, dove ci attende il pulmino di Gela. Mentre ammiriamo al centro della piazza, la colonna con la statua in bronzo e oro di S.Giorgio, santo patrono del paese, ci rendiamo conto di aver perso per strada Claudia C. Proviamo a contattarla telefonicamente, ma nulla…ci vuole un po’ di impegno nella ricerca e un certo dispiegamento di forze, ma alla fine la ritroviamo, tutto è bene quel che finisce bene!
Dopo un po’ di riposo in hotel ci attende la cena con Marica, la responsabile del tour operator locale Destination Georgia, molto gioviale e simpatica, che tuttavia ci mette in guardia dai pericoli della strada per Shatili che affronteremo i prossimi giorni, ma soprattutto quella per Omalo, qui conosciuta come la strada della morte, una delle più pericolose del mondo, molto stretta e con strapiombi! Teresa e Stefano sbiancano a queste parole pensando ad uno scherzo, ma ebbene sì, dovremo affrontarla! Si tratta in ogni caso di una meta turistica e di un rischio calcolato, li rassicuro e personalmente non vedo l’ora di ripercorrere le strade avventurose della spedizione Overland 14, transitata in queste zone nel 2012 e di ammirare finalmente dopo un’estate calda e afosa, cieli bui e cristallini allontanandoci dalla civiltà.
7 Agosto al mattino dopo colazione, ci attende nella hall la mamma di Levan, Khatuna, che ha vissuto molti anni in Italia e ha espresso il desiderio di conoscerci. E’ allegra e molto giovanile, si fanno due chiacchiere mentre raccomanda al figlio di comportarsi al meglio come guida augurandosi di tornare presto in Italia e magari di incontrarci di nuovo.
La prima destinazione di oggi è il Museo Nazionale, che ci impegna buona parte della mattina, con svariate sale che ospitano straordinari esempi di manufatti in filigrana d’oro, gioielli e monete di epoche diverse, dall’altissimo valore artistico e storico, a dimostrazione dell’esistenza di civiltà ricche e raffinate vissute nei territori dell’odierna Georgia nell’arco di millenni. I reperti, perfettamente conservati e dalle linee modernissime, costituiscono anche una testimonianza del fondamento storico del mito di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro.
Visitiamo anche le sale dedicate alla fauna, alla flora, all’antropologia, ai costumi e alla storia recente del paese, con documenti che raccontano i soprusi della dominazione sovietica.
Saliamo sul pulmino con direzione Mtskheta, antica capitale della Georgia e importantissimo centro spirituale del paese. Salendo una collina ci imbattiamo nella chiesa di Jvari,( in georgiano croce), costruita infatti nel VI secolo d.C. attorno ad un piedistallo in pietra conservato ancora oggi che sosteneva la Croce di Santa Nino. Fu costruita in occasione della conversione al cristianesimo di tutta la Georgia, dopo che Santa Nino curò la regina georgiana con le sue preghiere.
Nell’iconografia la santa è rappresentata con una particolare croce fatta con tralci di vite legati assieme dai suoi capelli chiamata appunto croce di Santa Nino. Numerosi pellegrini ci ricordano il fervore religioso che anima il popolo georgiano, molto simile a quello sperimentato in Armenia. Stupisce invece in questi luoghi di culto il gran numero di arabi, che troveremo un po’ in tutti i siti visitati nel nostro viaggio, con donne interamente velate di nero, provenienti da Turchia o altri stati musulmani.
La vista dal monastero è molto bella e pacifica, con la confluenza dei fiumi Mtkvari e Aragvi che dominano un paesaggio, parzialmente offuscato da un cielo che promette pioggia. Al termine della visita, Levan ci porta in una tipica bottega del pane con forno conico in pietra all’interno del quale, sulle pareti roventi, vengono messe a scaldare le pagnotte.
La visita ci mette appetito ma fortunatamente il ristorante è vicino: un ampio locale con vetrate e vista sul monastero. Il personale è a nostra completa disposizione, siamo infatti gli unici avventori. Durante il pranzo assaggiamo i famosi kinkhali, altro piatto tipico georgiano tanto decantato da Levan. Si tratta di grandi ravioli al vapore ripieni di carne, di sugo e ricchi di spezie, estremamente sostanziosi. Levan ci mostra come mangiarli, rompendo una sorta di picciolo e bevendo il succo prima di procedere a finire il resto. “Posso mangiarne una decina da solo!” Ci rivela con occhi famelici.
Un po’ appesantiti, visitiamo la cattedrale di Svetitskhoveli (XI secolo), molto venerata in Georgia, legata ad una antico mito e con preziose reliquie e opere d’arte al suo interno. Levan inizia spiegandoci l’origine del nome che deriva dall’unione delle parole georgiane “sveti” (“pilastro”) e “tskhoveli” (“vivifico”): ebbene secondo la tradizione qui fu sepolta Sidonia, la prima santa della Georgia, morta dall’emozione mentre stringeva la tunica di Cristo portata in patria da Gerusalemme dal fratello Elia. Sulla tomba di Sidonia nacque un albero di cedro e quando nel IV secolo, dopo la conversione di Mirian III, l’albero fu abbattuto per costruire la chiesa, una volta eretti i primi sei pilastri, il settimo (da posizionare sul punto in cui era cresciuto il cedro) si alzò miracolosamente in aria e ritornò a terra solo dopo che Santa Nino passò un’intera notte in preghiera. Dal pilastro sarebbe sgorgata della mirra che guarì molte persone.
Una porzione della tunica di Cristo è conservata ancora qui assieme ad altre importanti reliquie. Entrando, l’atmosfera è resa mistica dai cori dei fedeli e del prete che dice la messa. L’interno è riccamente decorato da affreschi e icone e Levan ci fa notare una chiesetta precedente, una Porziuncola, poi uno stranissimo affresco del XIII secolo che rappresenta lo zodiaco, un elemento pagano e le tombe di molti re georgiani tra cui Erekle II e Vakhtang I. Uscendo nell’ampio cortile ci sediamo su alcune panchine ascoltando un’ultima leggenda legata a questo luogo: la chiesa fu costruita dall’architetto Arsukize, talmente grande e bella, che il suo maestro invidioso gli fece tagliare la mano destra…
Passeggiamo nel borgo che circonda la chiesa, tra botteghe e bancarelle con i tradizionali dolci appesi, i cosiddetti churchkhela, visti anche a Tbilisi, preparati con noci, nocciole, mandorle, semi di zucca e frutta essiccata di vario tipo, che vengono infilzati e immersi in un succo di uva o di mora altamente condensato. Naturalmente non può mancare un assaggio, che tuttavia non ci entusiasma.
Il tour prosegue e 10 km ad est della città di Gori ci fermiamo per visitare Uplistsikhe, “la Città del Signore” una città rupestre che al culmine della sua storia aveva una popolazione di 20.000 abitanti e che grazie alla sua posizione strategica era un importante snodo commerciale lungo la Trans-Caucasica, una diramazione dell’antica Via della Seta, che collegava l’Asia centrale alla regione del Mar Nero.
Seguiamo Levan e una guida del sito che si arrampicano su alti gradini in un paesaggio arido, con rocce arrotondate e sferzate da un forte vento. Arrivati in cima controlliamo che ci siano tutti e quando anche Graziella appare sulla cima della scalinata, ci guardiamo intorno: qui sulla riva sinistra del fiume Mtkvari, si trovano completamente scavati nella roccia i più antichi insediamenti della Georgia, che dalla fine dell’età del bronzo (1000 a.C.) arrivano fino al tardo medioevo.
Percorrendo stretti sentieri e avvicinandoci a quelli che un tempo erano templi, teatri o semplici abitazioni, ci viene raccontata la storia di questo luogo affascinante: mille anni prima di Cristo le comunità che vivevano lungo le rive del fiume, preoccupate dai possibili rischi d’invasione, pensarono di scavare le rocce sovrastanti e di ricavarne rifugi meglio difendibili. Col passare dei secoli l’attività di scavo proseguì e si arrivò alla creazione di un’autentica fortezza rupestre, presidiata da soldati.
In epoca ellenistica Uplistitsikhe era già caratterizzata come importante centro religioso meta di pellegrinaggi e come città commerciale e militare del regno di Iberia (che con la Colchide, costituiva l’odierna Georgia). Era una città vera, con tutte le caratteristiche urbane del tempo: l’acropoli, la cinta muraria e il fossato difensivo, diverse porte d’accesso, un sistema idrico per il rifornimento di acqua potabile, la gestione dell’acqua piovana e la conservazione delle vivande. L’arrivo del Cristianesimo comportò alcuni cambiamenti: i templi pagani furono sostituiti da chiese cristiane e il carattere di fortezza militare fu temperato dalla presenza di comunità di monaci che s’insediarono nelle grotte.
Divenne poi rifugio dei re di Kartli durante l’invasione ottomana, distrutta dalle orde dei mongoli di Gengis Khan e lasciata infine all’abbandono fino alla sua riscoperta. Camminiamo salendo ancora fino alla chiesa cristiana di Uphlistsuli, eretta nel decimo secolo sulle rovine di un precedente tempio pagano. Si tratta dell’unico edificio costruito e non scavato nella roccia. La basilica è a navata unica con ambulacri su tre lati, costruita in pietra e mattoni.
Rimaniamo a goderci il tramonto del sole da questo luogo suggestivo, prima di scendere al parcheggio attraverso un lungo tunnel scavato nella roccia. Ma il viaggio non è ancora finito e affrontiamo un traffico veramente caotico con vecchi camion che ci rallentano continuamente, fino al Passo di Rikoti e solo alle 21.00 arriviamo a Tskaltubo nostra meta finale e all’hotel Tskaltubo Plaza per la cena e un meritato riposo.
8 Agosto, dopo colazione abbandoniamo l’hotel per raggiungere Kutaisi, seconda città della Georgia ed il duomo di Bagrati che ci si presenta molto scenografico col tetto e la cima del campanile di color verde acqua, in un bel contrasto col cielo perturbato e minaccioso. Passeggiando sul sagrato Levan ci racconta che la chiesa fu costruita nel XI secolo per volontà del primo re della Georgia unita Bagrat III ed è una delle chiese cruciformi più grandi del paese. Nel 1692 i turchi ottomani invasero la regione dell’Imereti, distrussero la Cattedrale con un’esplosione e ne saccheggiarono i tesori. Le distruzioni continuarono ancora per mano di altri invasori, fino al 19°secolo.
Nel 2010, sotto la direzione dell’architetto italiano Andrea Bruno, iniziarono i lavori di ricostruzione, per riportare la cattedrale all’antico splendore, tuttavia un ascensore moderno e altri particolari che non preservano l’integrità storica, rischiano di escluderla dalla lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco…
Siamo attirati poco distante dalle musiche di un’orchestrina di 3 anziani che stanno intonando canti popolari georgiani accompagnandoli con fisarmonica e flauto doppio. Ci raccogliamo attorno a loro gustandoci questo momento che ci fa apprezzare ancora meglio la bellezza del luogo e i panorami che ci circondano. Nonostante le nuvole, all’orizzonte spuntano alcune vette innevate del Grande Caucaso che ci ricordano la nostra prossima meta.
Questa regione era chiamata anticamente Colchide, una terra estremamente ricca che attrasse prima Greci e romani poi Mongoli, Turchi ed infine i russi che la dominarono fino al 1991. Secondo le Argonautiche di Apollonio Rodio, il fiume Rioni che la attraversa, fu risalito dagli Argonauti sotto la guida di Giasone alla ricerca del vello d’oro, la mitica pelle d’ariete che si racconta fosse custodita dagli abitanti del luogo e dal suo re Eete, padre di Medea.
Proseguiamo le visite: nelle vicinanze si trova anche il monastero di Gelati, anche questo patrimonio dell’Unesco, un tesoro architettonico di età medievale. Fondato nel 1106 dal re Davide IV di Georgia detto “Il Costruttore” e completato dal figlio Demetrio, per moltissimo tempo il monastero di Gelati rimase un punto di riferimento culturale della Georgia in epoca medievale. Era noto per la sua Accademia nella quale lavoravano i maggiori scienziati del Paese, assieme a filosofi e teologi che avevano acquisito competenza o lavorato all’estero, soprattutto a Costantinopoli. Tanto era grande la fama del monastero di Gelati, che i contemporanei ne parlavano come della nuova Atene o di un secondo Monte Athos.
Nonostante fosse stato distrutto da un incendio appiccato dai turchi ottomani nel 1510, il monastero fu successivamente ricostruito dal re Bagrat III e rimase attivo fino al 1922, quando al termine della rivoluzione comunista, i monaci furono cacciati. Le chiese furono riconsacrate solo nel 1988.
All’interno del complesso ci sono infatti 3 chiese piuttosto diroccate e in fase di restauro: la più grande è quella della Vergine, mentre le due più piccole sono dedicate a San Nicola e San Giorgio. Numerosi sono inoltre gli affreschi ed i manoscritti, per lo più risalenti ad un periodo compreso tra il 1100 ed il 1600. Il capolavoro del complesso è la cattedrale della Vergine con un interno pieno di luce e magnifici affreschi con immagini bibliche su cui prevale il colore blu. Molto bella e affrescata anche la chiesa di S.Giorgio.
Poi Levan ci mostra all’esterno la tomba di David IV sotto un volto in pietra, accanto alle gigantesche porte di Ganja, che furono prese come trofeo dal figlio nel 1138. Alcuni anziani preti dalla lunga barba bianca si aggirano nel cortile, un altro seduto controlla l’avanzamento dei lavori di restauro che mi sembra abbiano un ritmo che si intona perfettamente alla pacatezza del luogo.
Proviamo anche il bagno pubblico esterno, terribile e cadente, esperienza che sconsigliamo!
Dopo un pranzo a Kutaisi, con porzioni sempre molto abbondanti, ci attende Gori, la città simbolo del conflitto avvenuto nell’agosto 2008 tra la Georgia e la regione secessionista dell’Ossezia del sud appoggiata da Mosca. E’anche famosa per aver dato i natali a Stalin e nel centro della cittadina si trova proprio un museo a lui dedicato. Superato l’ingresso, una scala in marmo coperta da un tappeto rosso ci conduce davanti alla sua statua e poi all’interno del museo vero e proprio, costruito nel 1957, 4 anni dopo la sua morte.
Il museo racconta la vita di Stalin attraverso la riproduzione di fotografie e documenti dell’epoca, c’è pure una stanza con la scrivania del dittatore, la sua divisa ed altri effetti personali ed una sorta di mausoleo con la sua maschera mortuaria. Uscendo nel cortile vediamo il vagone personale che Stalin usava per viaggiare quando era a capo dell’Unione Sovietica: con questo vagone si recò alla conferenza di Teheran e di Yalta che decisero le sorti della seconda guerra mondiale. Sempre nel cortile è poi custodita la piccola casa in cui Stalin nacque nel 1878 da una famiglia povera.
A Gori si trovano ancora molti anziani ammiratori del ‘padre di tutti i popoli’, considerato il vero vincitore della seconda guerra mondiale ed artefice dell’industrializzazione del Paese, che qui vengono in pellegrinaggio. Ma grottescamente, nel museo non vi è alcun accenno alle Grandi purghe, che ebbero luogo anche Gori e che portarono alla fucilazione per ordine suo di almeno 724 mila persone e neppure una condanna per i milioni di prigionieri che morirono nei gulag. Probabilmente gli abitanti di Gori si rifiutano di contestare questo omaggio a Stalin viste le ondate di turismo che la sua figura continua ad attirare nella piccola città…
Alleggeriamo lo spirito con canti all’interno del pulmino, visto che manca ancora tanta strada per arrivare a Gudauri, scoprendo la perfetta intonazione delle nostre sarde Elisabetta, Claudia P. e Maria Cristina, ma anche di Teresa, Claudia C. e Graziella! Si comincia a salire di quota affrontando la strada militare georgiana, le montagne diventano imponenti e le creste avvolte dalle nuvole segnano verso nord il confine invalicabile con l’Ossezia del Sud. I piccoli paesini incontrati finora lasciano il posto a verdi e immense praterie, a pendii con cascate e ogni tanto spunta qua e là qualche baracca di pastori con arnie colorate.
Avvicinandoci alla frontiera russa, ci troviamo a superare lunghissime colonne di camion sgangherati con targhe armene, ucraine o turche, in paziente attesa, inizia a piovere… Arriviamo a Gudauri, il principale centro sciistico della Georgia e al nostro hotel Carpe Diem, moderno e confortevole, circondato però da cantieri di altri alberghi in costruzione che rovinano un po’ il paesaggio. Siamo sicuri che fra qualche anno la Georgia e soprattutto queste zone saranno invase dal turismo di massa, meglio vederla ora, ancora integra e genuina. Dopo una buona cena, visto il perdurare del maltempo mi appresto al montaggio del Dobson coadiuvato da Levan e da Stefano, sotto gli sguardi incuriositi degli altri compagni di viaggio e degli ospiti dell’hotel.
9 Agosto, dopo una notte di pioggia continua, il mattino finalmente smette anche se il cielo non promette nulla di buono, le nuvole sono basse e nere mentre percorriamo la strada militare georgiana, di fatto l’unico grosso valico del Caucaso Maggiore aperto tutto l’anno, che connette Tbilisi con Vladikavkaz, capitale dell’Ossezia del Nord. I panorami, nonostante la scarsa visibilità sono molto belli, in particolare dal Monumento dell’amicizia tra Russia e Georgia, di forma semicircolare e dipinto con murales con la tipica iconografia sovietica, che contrastano in modo pacchiano con un paesaggio magnifico e silenzioso, in cui si ode unicamente il sibilare del vento.
Il monumento, racconta Levan, testimonia i due secoli trascorsi dal 1783 quando re Erecle II di Tbilisi accettò la sovranità russa sulla Georgia orientale in cambio dell’aiuto nella lotta contro i turchi ottomani. Arriviamo a Stepantsminda, un tempo nota come Kazbegi. Ci troviamo nel cuore del Caucaso Maggiore, ai piedi di una delle montagne più celebri della Georgia, il Kazbek, un vulcano spento alto ben 5047m , la cui ultima eruzione risale al 750 a.C, purtroppo completamente nascosto dalle nuvole.
E’ un vero peccato non poterlo ammirare , lassù sul Kazbek, secondo la leggenda, fu incatenato il Titano Prometeo ( qui noto come Amirani)per aver sottratto il fuoco sacro della conoscenza agli dei e averlo donato ai mortali. Ogni giorno un’aquila squarciava il suo petto e dilaniava il suo fegato. Di notte, Prometeo guariva e il giorno seguente la tortura iniziava di nuovo, il tutto per tremila anni, fino a quando fu finalmente liberato da Ercole.
Nella grotta di Amirani, a 4000m di altezza, un’altra leggenda vuole che siano conservate le preziose reliquie della tenda di Abramo e della mangiatoia di Gesù bambino…
Dalla piazza principale Stalinis Moedani in cui lasciamo il pulmino, ci trasferiamo in due jeep 4×4 per affrontare la salita per raggiungere la Chiesa della Santissima Trinità ( Tsminda Sameba ), altro luogo simbolo della Georgia, raffigurata in molte illustrazioni per il grande impatto scenografico, abbarbicata su uno sperone roccioso a 2170m, con il Kazbek innevato sullo sfondo… Ma oggi il meteo non ci aiuta, ricomincia a piovere e dobbiamo affrontare alcuni guadi sulla difficile pista di fango che conduce al monastero. Passiamo un ponte sul fiume Tergi, ingrossato e limaccioso e una volta in cima ci troviamo nel limbo, con la chiesa che emerge cupa e mistica dalla nebbia sopra di noi.
Nota anche come chiesa di Gergeti, la chiesa di Tsminda Sameba risale al 1300 ed é un luogo sacro per i Georgiani al punto che quando nel corso della dominazione sovietica i Russi costruirono una funivia per arrivare in cima, i Georgiani ritenendo che la costruzione togliesse sacralità al luogo, non appena liberi, la distrussero. Si affaccia sulla valle sottostante che emerge dalle nuvole e ci da un piccolo assaggio dei panorami che avremmo potuto vedere. Non a caso a Kazbegi soggiornò anche il poeta russo Alexandr Puskin, decantando le bellezze di questi luoghi. Qualcuno si commuove…
Levan ci spiega le ragioni di realizzare una chiesa in un posto così remoto e inaccessibile. La prima è che più in alto si è e più ci si avvicina a Dio. La seconda è che la Georgia è stata territorio di continue conquiste, quindi, per preservare la propria antica tradizione cristiana, i suoi abitanti avevano buoni motivi per rendere difficilmente raggiungibili i luoghi di culto. La terza è che il posto è magnifico e suggestivo.
L’ingresso della chiesa è presidiato da un monaco solitario che controlla che non si scattino foto all’interno, che le donne abbiano il capo coperto ed indossino un apposito telo per coprire le gambe ( non sono ammessi nemmeno i pantaloni ). La vita dei monaci quassù deve essere particolarmente difficile, soprattutto in inverno quando la neve cade abbondante e la strada di accesso viene chiusa. Ma chissà che cielo spettacolare di notte!… Con questi pensieri decido di comprare qualche souvenir religioso al monaco, che accenna un ringraziamento chinando il capo.
L’interno è riccamente affrescato ed ha costituito il rifugio di innumerevoli tesori d’arte lungo la travagliata storia della nazione fino a diventarne essa stessa uno dei simboli. Qui per esempio nei momenti di pericolo le reliquie di Mtskheta e la croce di Santa Nino venivano messe al sicuro. Abbandoniamo a malincuore questo luogo sperando di rivederlo un giorno col sereno, per recarci a pranzo in una locanda di Kazbegi mentre fuori si scatena il diluvio. Dopo il caffè ( qui hanno quello americano e quello turco), risaliamo sul pullmino fino al Passo Ivari o della croce a 2400m il punto più alto della strada militare georgiana, poi entriamo nella gola di Dariali (la porta degli Alani, gli antenati degli attuali osseti) punto di frontiera con l’Ossezia del Nord e scendiamo a piedi per visitare una grande chiesa nelle vicinanze, il monastero dell’Arcangelo. Il fiume Tergi è sempre più ingrossato e pericoloso, cominciamo a temere per il proseguimento del nostro viaggio…
Inaspettatamente sulla strada di ritorno per Gudauri il meteo migliora, il sole fa capolino dalle nuvole e ci fermiamo per salire su un’incredibile formazione di travertino, creata da una sorgente di acqua solforosa. L’acqua che ruscella in un velo sottilissimo sul pendio, deposita a cascata minerali rosa e ocra, creando un paesaggio fantastico e levigato che un po’ ricorda la famosa Pamukkale vista in Turchia 3 anni fa.
Di fronte a noi sugli imponenti rilievi che ora emergono nella luce del sole, pascolano tantissime pecore in file ordinate. Di ritorno in hotel ci accorgiamo che qui è grandinato parecchio, ci sono ancora cumuli per terra! In attesa della cena Levan ci insegna l’alfabeto georgiano ricco di consonanti e suoni molto difficili da riprodurre e ci rivela con piccante ironia, che “uomo forte”in georgiano si dice “magari ca…” scatenando l’ilarità del gruppo. Ma l’atmosfera gioviale si rabbuia dopo qualche telefonata ricevuta dall’agenzia ed un controllo delle previsioni meteo veramente infauste dei prossimi giorni. Le piogge intense hanno provocato straripamenti e frane e attualmente la strada che porta a Gudauri è stata chiusa!
Con comprensibile preoccupazione dei partecipanti diventa sempre più concreta la possibilità di cambiare il nostro percorso dei prossimi giorni. Dopo cena, mentre proseguono i contatti tra Levan e l’agenzia per pianificare un’eventuale percorso alternativo, il cielo si rasserena completamente, un’occasione più unica che rara per controllare il comportamento delle Perseidi. Al riparo delle poche luci dell’hotel ci appare un cielo nerissimo e pieno di stelle con una Via Lattea luminosa e incisa e 4 pianeti da est a ovest: Venere al tramonto, Giove e Saturno e il luminosissimo Marte ad est reduce dalla recentissima opposizione del 27 Luglio. Il cielo del Caucaso come previsto non tradisce!
Non tardano a comparire anche le Perseidi, pur mancando ancora qualche giorno al massimo previsto, ne vediamo una manciata piuttosto luminose prima del ritorno delle nubi che mi scoraggiano dal portare fuori il Dobson. Rimedieremo con un salto nel bar/discoteca dell’hotel in cui si stanno scatenando un gruppo di israeliani e russi. Speriamo di osservare di più nelle prossime sere…
10 agosto, abbandoniamo Gudauri percorrendo a ritroso la strada militare georgiana fortunatamente riaperta e visitiamo sotto un cielo variabile la fortezza di Ananuri (XIII secolo ), che si affaccia sul lago di artificiale Zhinvali. Gode di una posizione magnifica con la cinta muraria e le torri che si delineano sullo sfondo verde delle foreste e dell’azzurro del lago, una riserva d’acqua ed energia elettrica per la capitale.
Passeggiando attraverso il complesso architettonico, Levan ci spiega che la fortezza fu la sede dei duchi di Aragvi, ovvero un’importante dinastia feudale che governò l’area a partire dal XIII secolo e che in ragione della sua funzione strategica, fu anche scenario di numerose battaglie svoltesi nel corso dei secoli.
La fortezza, molto ben conservata, consiste in un castello con mura merlate, una fortificazione superiore, dotata di una grande torre quadrata ed una inferiore è dotata di una torre rotonda.Tra i vari edifici, spiccano anche due chiese: la vecchia chiesa della Vergine e la chiesa della Dormizione, termine che nel Cristianesimo si riferisce all’episodio secondo cui la Vergine Maria, prima di essere assunta in cielo, sarebbe prima caduta in un sonno profondo.
Ci fermiamo proprio davanti a quest’ultima risalente al 1689 per ammirare le raffinate decorazioni della facciata con croci e altre sculture intrecciate tra cui spiccano gli arcangeli Michele e Gabriele un po’simili a due alieni… Al suo interno fu custodita durante le invasioni persiane ed ottomane, la Croce di Santa Nino e le pareti erano originariamente decorate con affreschi, coperti in seguito da stucco bianco quando la Georgia fu annessa alla Russia nel 1801.
Ci arrampichiamo seguendo Levan sulla torre quadrata facendo attenzione a non precipitare di sotto e ammiriamo il panorama dall’alto mentre ci racconta la leggenda che ha dato il nome alla fortezza: quando la fortezza si trovava sotto l’attacco dell’esercito dei Tartari, il nemico credeva che i georgiani, costretti a chiudersi nel castello, non sarebbero sopravvissuti a lungo senza cibo e si sarebbero arresi presto. Ma non sapevano che il castello aveva un tunnel segreto che conduceva al fiume. Dopo alcuni giorni, le guardie del castello gettarono pesci in aria per irritare gli invasori.
A questo punto i nemici si resero conto che la fortezza era collegata all’esterno e decisero di scoprire il passaggio segreto catturando una donna di nome Ana proveniente da Nuri e interrogandola circa la posizione del tunnel. Ana si rifiutò di rivelare questo segreto anche sotto tortura e venne uccisa. Il castello è stato quindi chiamato Ananuri nel rispetto di questa donna che rappresenta un’eroina per i georgiani.
Ridiscesi dalla torre Levan ci mostra un’ultima curiosità, ad un angolo della fortezza un buco angusto che sembra un pozzo, ma che in realtà è una prigione. Un pertugio davvero stretto che non dava modo al condannato di sedersi, amplificandone le sofferenze… Passeggiamo un po’ lungo le rive del vicino fiume Aragvi prima di una visita al mercatino antistante la fortezza e del successivo trasferimento dei nostri bagagli sui minivan dei due nuovi autisti Ucha e Hachi.
Durante il pranzo nelle vicinanze, assaggiamo i kinkhali più buoni di tutto il viaggio e facciamo conoscenza con Dina una guida Kazaka, anche lei seduta al ristorante con i genitori, che si dice entusiasta di poter collaborare con noi in futuro per organizzare un viaggio a Baikonur in Kazhakistan, in occasione del prossimo lancio dell’astronauta italiano Luca Parmitano.
Un’ultima telefonata di Levan all’agenzia che ci da il via libera meteo e si parte per la difficile meta di Shatili con i due minivan. Costeggiamo il lago Zhinvali, con belle tonalità di azzurro nonostante il cielo nuvoloso, percorrendo una strada che ben presto diventa sterrata inoltrandosi tra pareti di roccia con bellissime pieghe sinclinali e boschi sempre più fitti attraversati da torrenti tumultuosi.
Si comincia a salire, la pista diventa più stretta con parecchi strapiombi, stiamo entrando nel Tusheti, una delle regioni più remote e misteriose del Grande Caucaso dove i flussi turistici sono pressoché sconosciuti, con una natura incontaminata e selvaggia in cui si celano aquile, grifoni, lupi, orsi, perfino tigri! Qui nel rispetto della natura e di antiche tradizioni vivono popolazioni che rimangono completamente isolate durante i lunghi mesi invernali, in villaggi sperduti vecchi di secoli con antiche, particolarissime case-torri uniche al mondo!
L’emozione sale mentre salgono i nostri minivan, intorno a noi nonostante le nuvole rendano ovattato il paesaggio e nascondano i picchi verticali di 4000m, abbiamo la percezione di un mondo raro e prezioso, gole, prati, colli, montagne verdi, qualche torre isolata, fonti d’acqua, fiori rosa, un vero paradiso terrestre, che purtroppo rimarrà tale ancora per poco visto che il governo georgiano ha intenzione di realizzare proprio qui un’importante strada di comunicazione per togliere dall’isolamento le popolazioni autoctone…
Arriviamo al passo Jiweri, il passo dell’orso a 2700m ed inizia a piovere, la pista già scivolosa e piena di pozzanghere dalle precedenti piogge diventa ancora più insidiosa, aumentando la preoccupazione degli equipaggi, ma i nostri autisti sembrano in gamba e perfettamente abituati a questo tipo di strade.
Proseguiamo quindi scendendo di quota e tenendoci vicini al confine con Cecenia e Daghestan, fino alla nostra destinazione finale, la Twin Guest House, una doppia abitazione in legno e muratura, in mezzo al nulla, appena dopo il cartello di Shatili. Qui la locandiera, una corpulenta signora sulla sessantina combina qualche pasticcio con le nostre camere, non si sa fino a che punto volutamente o per un fraintendimento con l’agenzia. Fatto sta che inizialmente vorrebbe farci stare tutti in una camerata, quando invece le prenotazioni dicono tutt’altro.
Ci vuole una mezz’oretta di tira e molla con la minaccia di andarcene e alla fine saltano fuori altre stanze e la cosa fortunatamente si risolve con un sospiro di sollievo per Levan.
Mentre ci accomodiamo nelle nostre stanze mi accorgo che Stefano non sta per niente bene, forse ha preso freddo, è febbricitante e si mette a dormire rinunciando alla cena. Esco intirizzito su un pianerottolo all’aperto dove abbiamo il bagno in comune, la temperatura è scesa a 9 gradi, il paesaggio cupo ricorda la Transilvania e purtroppo le nuvole anche stasera, la famosa notte di S.Lorenzo, ci nasconderanno un cielo che sarebbe stato senz’altro straordinario. Mi consolo sapendo che in provincia di Ferrara le nostre due serate astronomiche di “Esploriamo l’Universo” programmate ad Argenta e al Lido di Volano stano procedendo senza intoppi.
Ci ritroviamo col gruppo a cena. Le donne locali hanno già allestito un tavolo nel salotto della più grande delle guest house con una bellissima credenza in legno ed iniziano a portarci le loro specialità mentre ogni tanto salta la corrente del generatore.
In questa atmosfera famigliare e caratteristica non possono mancare i kachapuri, qui nella varietà locale con uovo in cima e al loro assaggio si stempera presto l’arrabbiatura del nostro arrivo. Si discorre allegramente quando, dopo qualche portata, una figura spettrale scende lentamente le scale nell’oscurità proprio mentre tolgono di nuovo la corrente… è Stefano che ha deciso di farci compagnia! Lo salutiamo festosi e per celebrare il suo arrivo Levan e gli autisti alzano i bicchieri colmi di chacha, una potente grappa locale, al grido “Gaumarjos!”, “Salute!”. Tutti sono invitati ad aggregarsi al brindisi, pure Stefano, che poi dirà di sentirsi meglio!
I brindisi vanno avanti fino a tardi, poi stanchissimi ci ritiriamo nelle nostre stanze scaldandoci sotto le coperte. Nel profondo della cupa notte sul Caucaso siamo però svegliati da strane grida e ululati, che riveleranno la visita di sciacalli e lupi nel cortile della guest house!!
11 Agosto, dopo un’abbondante colazione, abbandoniamo il nostro alloggio per scendere a valle, purtroppo la pioggia caduta tutta notte rende impossibile la visita del vicino borgo turrito di Mutso e dei successivi Omalo e Dartlo, un sogno che ahimè non si realizza, ma è veramente troppo pericoloso affrontare le strade di montagna con questo tempo. Ci concediamo giusto una rapida visita di Shatili, che raggiungiamo a piedi appena dopo la curva.
Questo antico villaggio ci appare inquietante e scuro nella luce plumbea di un mattino in cui il sole ancora una volta non si degna di mostrarsi: vecchie case di legno e pietra, camini che fumano e circa 60 torri unite tra di loro a formare un’unica fortificazione.
Situato nella profonda gola del fiume Arghuni, approssimativamente a 1400 metri, il villaggio è un complesso medioevale e di edifici realizzati con pietre e malta che venivano utilizzati sia come abitazioni che come torri di guardia nella zona nord-orientale del Paese. Shatili è attualmente abitato da una ventina di famiglie in estate, mentre in inverno soltanto pochissimi di loro restano al villaggio, in quanto questo diventa inaccessibile a causa delle forti nevicate.
A malincuore si inizia a scendere, ci aspetta una lunga traversata di 300km fino ad Akhaltsikhe, una cittadina a sud est al confine con la Turchia e l’Armenia scelta all’agenzia come campo base per le escursioni degli ultimi giorni. Qui il meteo pare un po’ meglio del resto del paese, interessato quasi per intero da una persistente perturbazione, cosa assolutamente anomala per il periodo, ci dice Levan…
Si guadano enormi pozzanghere, ripercorriamo il passo dell’orso in mezzo alle nuvole e ci fermiamo per un picnic accanto ad una sorgente d‘acqua in cui si trova un lungo tavolo al riparo di una tettoia. Ivan e altri del gruppo sono scettici di arrivare per le 17.00 (orario stimato da autisti e guida) alla nostra destinazione, ma incredibilmente siamo puntuali e sotto un bel sole che rivediamo dopo tanto tempo ed un benaugurante cielo azzurro entriamo ad Akhaltsikhe (1.029 m), una cittadina di oltre quindicimila abitanti nella regione del Samtskhe-Javakheti e al nostro bell’hotel Grand Palace, in cui effettuiamo la cena con vista sul Castello di Rabati splendidamente illuminato.
Levan e gli autisti decidono di accompagnarci per un giro a piedi serale in fortezza, per bere una tipica birra georgiana in un bel localino con violinista e saxofonista che allietano la serata. Ma ancora una volta il cielo è nuvoloso ed inizia a piovere, cominciamo a temere di dover rinunciare del tutto alle osservazioni astronomiche in questo viaggio.
12 Agosto, mi sveglio un po’ acciaccato, oggi è prevista la visita del sito rupestre di Vardzia a 60 km da Akhaltsikhe, un imponente complesso scavato nella roccia del monte Erusheli con oltre 3000 grotte, che pare abbiano ispirato Tolkien nell’immaginare la città di Minas Tirith ne “ Il Signore degli anelli”. Il luogo è davvero particolare immerso in un ambiente pacifico e bucolico, anche il maltempo ci da una tregua per poterlo apprezzare al meglio. Saliamo fino alle prime grotte assieme ad una guida del luogo che inizia a raccontarci particolari molto dettagliati del sito.
Nata come fortezza nel XII sec, Vardzia, con il passaggio dello scettro dal re Giorgi III alla figlia Tamara, il sito perse la sua valenza difensiva e assolse piuttosto un ruolo religioso. Fu quindi costituito un monastero, che nel periodo di massima espansione venne popolato da almeno 5000 persone. Un baluardo cristiano per resistere alle invasioni di mongoli, persiani e turchi. Nella leggenda il nome Vardzia deriverebbe dall’espressione “Ak var dzia”( sono qui zio ), la frase che la regina Tamara avrebbe pronunciato dopo essersi persa proprio nelle grotte mentre era a caccia con il padre.
La città includeva diverse chiese, una basilica, una sala reale, decine di cantine e un complesso sistema di irrigazione che portava acqua alle terrazze coltivate. L’unico accesso al complesso era offerto da alcuni tunnel ben nascosti le cui entrate erano situate nei pressi del fiume. Nel 1283 il monastero di Vardzia fu danneggiato da un violento terremoto, poi venne saccheggiato dai persiani nel 1551 e ancora dai turchi ventisette anni più tardi fino al decadimento e successivo abbandono della città.
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica alcuni monaci sono tornati ad abitare alcune di queste grotte e oggi Vardzia è una delle principali attrazioni turistiche della regione di Samtskhe-Javakheti. Mentre ascolto con attenzione le spiegazioni, mi rendo conto di dovermi stendere, probabilmente ho un po’ di febbre, per cui decido di scendere al minivan perdendomi la visita della basilica dell’Assunzione che a detta di tutti si rivelerà molto bella con splendidi affreschi murali del XIII secolo.
Mi riprendo a pranzo, in un ristorante all’aperto in un luogo altrettanto bucolico, dopo un abbondante pasto con trote infilzate in un lungo spiedo. Ma la pioggia è sempre in agguato e solo Claudia C. seguirà Levan nella visita della fortezza di Kertvisi (X secolo), la nostra successiva tappa, una delle più antiche fortezze del paese, collocata su uno sperone roccioso all’incontro di due fiumi a pochi km dalla frontiera turca. Il resto del gruppo attende alla base che si completi la visita, acquistando miele presso una bancarella .
Ma la giornata di escursioni non è ancora finita, ci attende ora il Monastero di Sapara (IX secolo), che si raggiunge percorrendo una bellissima strada panoramica tra infiniti boschi da fiaba. Ad un tratto dagli alberi spuntano le guglie del monastero, segno che siamo arrivati. Parcheggiati i minivan, grazie ad un’altra tregua di questo clima variabilissimo, riusciamo a passeggiare tra le antiche mura del monastero, uno dei più belli e ricchi di misticismo visti finora . All’ingresso Incrociamo anche un matrimonio appena celebrato con gli sposi che ci invitano a fare foto assieme a loro.
Tre chiese di dimensioni molto diverse, un campanile e le rovine di una fortezza costituiscono il complesso monastico. Degni di nota i bassorilievi esterni, gli affreschi della chiesa maggiore, le lucenti icone dorate e soprattutto un silenzio melodioso. Pochi minuti di contemplazione, poi ci attende una scarpinata sui prati in forte pendenza fino alla Fortezza diroccata per altri spunti fotografici. Di ritorno in hotel le nuvole tornano a coprire il cielo e la pioggia a cadere, ormai una costante. A casa nostra, per la precisione al Bosco di Porporana (FE), continuano invece a cadere meteore luminose in occasione di un’altra serata di osservazione pubblica gestita dal collega Ferruccio… Domani è la nostra ultima possibilità, speriamo bene…
13 Agosto, al mattino ci attende la visita del Castello di Rabati, il cielo è ancora un po’ annuvolato ma sembra migliorare. Costruito nel XIII secolo, è una vera e propria cittadella, che si è sviluppata sotto l’influenza di differenti culture e religioni nel corso dei secoli. Questo si riflette nella sua architettura, ci dice Levan mentre entriamo all’interno del complesso in cui si notano una chiesa ortodossa georgiana, una moschea, un minareto e una sinagoga. Le cupole dorate, i muri rossi, i baldacchini, i colonnati, le fontane e le torri mi ricordano l’Oman…
Più volte distrutta e ricostruita, il suo ultimo restauro risale al 2011 ed è stato celebrato da uno speciale concerto del famoso cantante francese/armeno Charles Aznavour, il cui padre è nato proprio ad Akhaltsikhe.
A questo punto risaliamo sui minivan per dirigerci a Borjomi, una piacevole stazione termale in un rilassante paesaggio montano. La città deve la propria fama alla proprietà curative della sua acqua sorgiva ricca di anidride carbonica, che costituisce una delle principali voci nelle esportazioni del paese. Il centro è diventato famoso dopo il 1830, quando alcuni soldati ne scoprirono i benefici terapeutici. Dopo che il figlio dello zar Nicola II, Mikhail Romanov , lo scelse come dimora estiva, Borjomi iniziò a riscuotere successo tra tutti gli esponenti dell’aristocrazia russa ( le sue acque hanno curato perfino Cajkovskij e Gorkij ) e fu molto apprezzata anche da Stalin.
Passeggiamo tra i negozietti di strumenti musicali tipici e le vecchie case con balconi in legno scolpito, che testimoniano lo splendore del periodo degli zar e qualche meno elegante casermone di epoca sovietica, fino alla funivia che ci porta sulle pinete dell’altopiano di Borjomi. Qui Levan ci conduce a fare un’escursione nel verde entrando in un bosco dove si trova una chiesetta caratteristica: il monastero delle suore di S.Maria. Ci attende quindi una discesa piuttosto complicata e scivolosa di 2km in mezzo ai boschi per tornare in centro, tanto che alcune signore del gruppo dovranno ricorrere all’aiuto di Levan e Hachi. Approdiamo infine ad una piscina termale con un’acqua di 27°alimentata dalla sorgente, piuttosto kitch, con musica techno a tutto volume e poi all’altrettanto kitch Parco delle acque minerali, con la preziosa fonte d’acqua corredata da svariate giostre e bambini vocianti.
Alcuni di noi la assaggiano trovandola un po’ strana, poi, distrutti dalla scarpinata, ci sediamo a pranzo in un grande ristorante accanto alla stazione dei treni, con un tavolo riccamente imbandito con tantissime portate ma con posti molto stretti.
Il cielo nel frattempo è diventato limpidissimo e con Levan si mette a punto il piano osservativo per la serata, la nostra ultima chance di osservazioni astronomiche, non dobbiamo fallire! Grazie alle sue conoscenze e parentele, abbiamo la possibilità di accedere addirittura all’Osservatorio astronomico di Abastumani, ad una cinquantina di km da Akhaltsikhe, un luogo in cui non è facile prenotare e che si trova in una posizione privilegiata sul monte Kanobili a 1700m di quota in una zona priva di inquinamento luminoso. Da giorni si parlava di questa possibilità, ma il meteo ha sempre messo i bastoni tra le ruote. Ora finalmente anche le previsioni del team dell’osservatorio ci confermano che stasera non avremo problemi. Prima però meglio fare un sopralluogo visto che il pomeriggio è ancora lungo per capire dove sistemarci e per fotografare le cupole dell’osservatorio con la luce del sole.
Il dado è tratto, si parte! Saliamo in un suggestivo ambiente collinare coperto da foreste di conifere, il tempo è stabile e i colori col sole al tramonto, estremamente vividi. All’arrivo ad un cancello ci attendono l’astronoma Darejan Japaridze in compagnia del marito Alexander. In mezzo agli alberi spuntano le cupole bianche e un po’ arrugginite di svariati osservatori (ben 14 di cui 7 oggi ancora funzionanti) che Darejan ci accompagna a vedere dall’esterno mentre ci racconta la storia di questo importante luogo di ricerca.
L’Abastumani Astrophysical Observatory è il più antico osservatorio dell’ex Unione Sovietica ed è stato realizzato nel 1932 dall’accademico Eugene Kharadze in un sito dalle particolari condizioni climatiche che garantiscono un numero medio di 150 notti limpide all’anno. Già qualche decennio prima Il fratello dello zar Nicola II, Georgy Romanov, appassionato astronomo dilettante, si era accorto della peculiarità del luogo e portò qui il primo gruppo di scienziati da San Pietroburgo, realizzando un primo centro scientifico per l’élite culturale del tempo. Nel 1890 il famoso astronomo russo Sergej von Glasenapp, amico del fratello dello Zar, trascorse due stagioni ad Abastumani, misurando con precisione le posizioni di stelle binarie strette con un piccolo telescopio a lente in una torre, che è ancora conosciuta come “torre Glasenapp” e che si trova attualmente nelle vicinanze dell’Osservatorio.
Furono quindi eretti i primi edifici, installati i telescopi e le prime osservazioni sul monte Kanobili furono condotte nell’autunno del 1937. Poi, grazie agli osservatori di nuova costruzione e all’implementazione di nuove tecnologie e strutture, queste osservazioni divennero in seguito di scala più ampia. Tra il 1934 e il 1978 sono stati realizzati dieci telescopi tra cui i più importanti il Rifrattore Zeiss da 40 cm, la Camera Zeiss Schmidt da 44 cm, il Telescopio Maksutov Meniscus da 70 cm , il Riflettore Cassegrain da 48 cm, il Doppio astrografo Zeiss da 40 cm, un Coronografo da 52cm e lo strumento più grande, il Riflettore Ritchey-Chrétien da 125 cm montato nel 1977.
L’osservatorio oggi fa parte dell’Ilia State University, una neonata università in rapido sviluppo nel Caucaso ed è gestito dal team IRSES, composto da giovani ed esperti ricercatori. La principale area di ricerca riguarda la fisica solare, la struttura e l’evoluzione delle galassie, le stelle variabili, le relazioni tra sole e terra, la struttura dell’atmosfera superiore della Terra e la fisica del plasma. Inoltre qui sono stati scoperti due comete, alcuni asteroidi, 4 nove, 1 supernova, 17 nebulose planetarie e 3 ammassi stellari.
Assieme a Stefano cerchiamo di capire il luogo migliore in cui posizionarci stasera con gli strumenti e lo scoviamo proprio accanto alla cupola del telescopio maggiore che offre la visibilità più ampia, non ci resta quindi che darci appuntamento con i disponibili astronomi dopo cena alle 21.00.
Alcuni del gruppo, come Teresa e Graziella, stanchi dopo la giornata impegnativa rinunciano a seguirci e solo i più determinati partecipano alla notte osservativa. Al nostro arrivo Alexander e Darejan sono lì ad attenderci, ci hanno promesso una visita al museo dell’osservatorio e uno sguardo ai pianeti col grande telescopio rifrattore da 40 cm, una splendida opportunità che mi ha convinto a non portare il Dobson. Il cielo è nero e pieno di stelle anche se ad ovest non è ancora svanito completamente il tramonto, stavolta ci siamo!
Il museo è molto interessante con cimeli e documenti dedicati al fondatore del centro Eugene Kharadze e antichi strumenti in mostra come un telescopio riflettore da 33cm del 1932. Entriamo poi a gruppetti all’interno della cupola del rifrattore Zeiss sotto la guida dell’astronomo Revaz Natsvlishvili che con movimenti sapienti inizia a manovrare lo strumento nella penombra e a ruotare la gigantesca cupola. Sembra di tornare indietro nel tempo, un momento di astronomia ottocentesca con il lungo strumento mosso a mano a fianco di una scrivania in legno con libri e mappe celesti ed un divanetto su cui riposa un’anziana donna, forse parente dell’astronomo.
Facciamo in tempo a dare un’occhiata a Giove, alle sue bande nuvolose e alle sue lune, che incredibilmente il cielo si annuvola… una maledizione! Attendiamo una mezz’oretta che si apra qualche squarcio per ammirare anche Saturno e i suoi splendidi anelli poi cala di nuovo il sipario. Ma stavolta non ci rassegniamo, usciamo all’aperto ringraziando Revaz per la disponibilità e gentilezza e aiutiamo Stefano a preparare la sua attrezzatura fotografica, dobbiamo riuscire a portare a casa un documento dello splendido cielo georgiano e magari qualche stella cadente.
Ma la situazione è molto variabile, quando il cielo sembra aprirsi da una parte poi si chiude dall’altra. In queste condizioni riesco a mostrare un po’ di costellazioni col laser verde, cosa che però suscita il rimprovero degli astronomi di un’altra cupola probabilmente in posa fotografica. E’lo stesso Alexander che arriva di corsa raccomandandosi di non usare il laser…non ci avevamo pensato, ci scusiamo. Un bel bolide attraversa il Cigno facendo partire qualche grido nel nostro gruppo, poi dietro la velatura ne vediamo altri 2. Stefano non fa in tempo a far partire la posa che le nuvole sono ancora una volta sopra di noi. A quel punto la maggior del gruppo desiste e torna in hotel con il minivan di Hachi, rimaniamo solo in 4 col naso all’insù in paziente attesa: io Stefano, Iole ed Ivan.
E finalmente il cielo ci viene incontro, proprio mentre il gruppo scende a valle le nuvole si dissolvono completamente e le stelle e la Via Lattea tornano a splendere sopra di noi. Bellissimo! Le Perseidi fioccano dal radiante in scie luminose, il massimo dovrebbe essere stato la notte scorsa ma anche stasera non deludono le aspettative, siamo felici, non capita spesso di vedere un cielo del genere, limpidissimo e buio!
Mentre con Iole e Ivan commento entusiasta l’andamento della serata, arrivano imprecazioni dalla postazione di Stefano, pare ci siano problemi di puntamento della Stella Polare, le prime foto sono venute mosse. Gli dico di riprovare con calma cercando di dare una mano nella difficile operazione, intanto arriva anche Levan che si era intrattenuto coi parenti, anche lui attirato da questo cielo spettacolare. Mi chiede dove sono Marte e gli altri pianeti e mentre li indico mi fermo a guardare il centro galattico nel Sagittario: la nebulosa Laguna e l’ammasso M24 sono tranquillamente visibili ad occhio nudo, così come la Pipe Nebula in Ofiuco, impressionante!
Mi giro a nord verso il Grande Carro e un bolide luminosissimo, probabilmente di -6 sfreccia tra le sue stelle, Levan, al telefono con Marica dell’agenzia lancia un urlo in diretta raccontandole il felice svolgimento della serata. Il suo colore bluastro mi rimane impresso per qualche secondo! Non facciamo in tempo a commentare questo avvistamento che altri bolidi si fanno strada tra stelle e nebulose. “Questa è venuta in foto!” annuncia Stefano in lontananza. Corriamo a dare un’occhiata e le foto sono bellissime, si vede chiaramente la traccia di una meteora, bravissimo Stefano!
Stiamo ancora fuori per circa un’ora, poi all’una di notte, dopo aver contato decine di meteore provenienti dalle polveri della cometa Swift Tuttle, (ZHR stimato 100 meteore/ora), decidiamo che è meglio far riposare il nostro autista Ucha, domani ci aspetta tanta strada fino a Tbilisi, meglio non esagerare. Ma non abbiamo fatto i conti con Alexander e sua moglie, Levan ci avverte che hanno preparato uno spuntino per noi in casa, sarebbe scortesia rifiutare.
E così il nostro stoico gruppo si sposta nell’abitazione dei coniugi Japaridze, di fianco all’osservatorio, dove siamo invitati a sedere attorno ad una tavola già imbandita con pizza ed anguria. Alexander tiene in mano una bottiglia di chacha e iniziamo a intuire quello che ci aspetta… Levan ride sotto i baffi… Parte infatti il primo brindisi dedicato all’amicizia fra Italia e Georgia, Stefano prova ad opporre una blanda resistenza ma non possiamo tradire l’ospitalità. Il bicchiere va bevuto tutto in un unico sorso ed Alexander provvede solerte a riempirlo di nuovo. Ora è il momento di un brindisi al bellissimo cielo georgiano. “Gaumarjos!” E poi alle stelle cadenti! “Gaumarjos!”Stefano si stende sul divano con il lumino da astrofilo in fronte acceso, io stesso barcollo cercando di riprendere la scena con la telecamera. Tutti ridono!
Si va avanti così con un’altra decina di brindisi fino a quello per i defunti, poi riusciamo a convincere Alexander a lasciarci andare indicando l’ora e il nostro autista che fortunatamente si è astenuto dal bere, ma che domani ha un compito gravoso. Ringraziamo tutti e ci avviamo zigzagando al buio verso il nostro mezzo.
Alle 3 siamo a letto, distrutti ma felici, è stata una serata fantastica che ricorderemo a lungo.
14 Agosto. Il viaggio di ritorno alla capitale e all’hotel dell’andata è meno lungo del previsto grazie ad un traffico tutto sommato scorrevole ed una parte del gruppo trova anche la forza nel pomeriggio per un altro giro in via Rustaveli e alla città vecchia, per gli ultimi acquisti e souvenir. Un’ultima cena in un ristorante tipico con balletto folkloristico di bravissimi ballerini e canti del nostro gruppo che ha imparato alcune canzoni georgiane,poi dopo la torta offerta da Marica e dopo un veloce riposo in hotel, a notte fonda ci vengono a prendere per andare in aeroporto.
E’ stato proprio un bel viaggio, ringrazio il disponibilissimo Levan promettendo di ritornare presto per completare le visite nel Caucaso che il maltempo ci ha impedito di fare: Omalo, Dartlo e magari la mitica Ushghuli, sperando di trovare un paese ancora genuino, integro e rispettoso della natura e del cielo stellato!
LE FOTO SONO DI: Claudia Cincotti, Massimiliano Di Giuseppe, Stefano Ottani, Claudia Putzolu e Marisa Zanini