OMAN 2014: tra le stelle del Sultano!
di Massimiliano Di Giuseppe
Ed eccoci nuovamente in viaggio, questa volta la meta è il sultanato dell’Oman, nel sud-est della Penisola Araba, un luogo da poco aperto al turismo e quindi ancora integro e genuino. Qui andremo alla ricerca delle sue bellezze storiche e paesaggistiche e naturalmente di un cielo buio e limpido come solo i luoghi desertici sanno offrire.
Il ritrovo è fissato il 27 Gennaio all’aeroporto di Malpensa e qui, oltre al sottoscritto, si ritrovano le vecchie conoscenze Gian Paolo Lucci, Esther Dembitzer, Diego Marzo, Cristina Oliva, Alberto Palazzi, Munira Mohamed Alamin e le nuove arrivate Graziella Balboni e Gabriella Spighi.
Atterriamo in serata nella capitale Muscat dopo uno scalo a Zurigo e una sosta rapida a Dubai e ci incontriamo con altri storici compagni di viaggio: Giorgio Bernaschi e la moglie Gabriella Mungai, Roberto Iorio e le nuove conoscenze Claudio Mungai e Fiorella Muzzi.
Il clima piacevole ci conforta dopo il freddo umido sofferto in patria negli ultimi tempi e facciamo conoscenza con Luis, la nostra guida, un sardo trapiantato in Oman ed entusiasta di questa terra che gli ricorda per alcune antiche tradizioni la sua isola.
Luis ci accompagna al nostro bell’hotel Al Falaj ed il mattino dopo, 28 Gennaio incominciano le visite nella capitale, una città moderna in veloce crescita, in cui ovunque si notano lavori di ampliamento e ristrutturazione ad opera soprattutto di lavoratori indiani e pakistani. E’ anche una città pulita e ordinata voluta così dal Sultano Qabus bin Said, un sovrano illuminato e colto, molto amato dal suo popolo, che ha portato una popolazione seminomade alla modernità senza tuttavia dimenticare la tradizione.
Si comincia con la Grande Moschea, enorme e bellissima, fatta erigere proprio dal Sultano in 6 anni dal 1995 al 2001.
Nel cielo limpido del mattino apprezziamo i suoi giardini con aiuole fiorite e profumate e le fontane che precedono la bianca architettura con i 5 minareti che svettano eleganti, mentre Luis ci invita a togliere le scarpe prima dell’ingresso nella Moschea vera e propria.
Nell’immensa sala con colonne in stile veneziano, che può contenere fino a 20.000 fedeli, emerge appeso alla cupola centrale di 50 m di altezza, un enorme lampadario di cristalli Swarovski, lungo 14m e pesante 8 tonnellate ed in basso un altrettanto enorme tappeto persiano che copre una superficie di 4000 metri quadrati.
Sempre scalzi, usciamo dalla moschea e procediamo nella visita del complesso sul lucidissimo marmo italiano scaldato da un sole che a stento ricordiamo nelle nostre fredde lande.
La gente è cordiale e gentile ci ferma dicendoci “Buongiorno”, gli uomini estremamente curati, con la loro tipica tunica bianca ( dishdasha ) e copricapo (Kummah) con ricami colorati e le donne, naturalmente velate, lasciano trapelare a volte i bellissimi occhi dallo sguardo curioso.
Proseguiamo con una sosta al caratteristico mercato del pesce che testimonia i frutti del pescosissimo mare arabico, con enormi pesci, granchi, molluschi, ecc, immersi nel costante brusio e nel fermento delle trattative, prima di passeggiare in relax all’esterno del Palazzo del Sultano e sul lungo mare con il forte di Al Jalali a sorvegliare l’ingresso orientale del porto. L’intensa mattinata termina infine con una visita al museo etnografico di Bait Al Zubai, che precede il ritorno al nostro hotel per il pranzo.
Un po’ di riposo ed eccoci, dopo essere passati di fianco al gigantesco “Incensiere”, al souk di Muttrah, in cui si possono ammirare le più svariate merci, abiti, oggetti di artigianato, spezie, il tutto avvolto dall’onnipresente profumo dell’incenso, a cui si mescolano quelli della Mirra, dell’olio di Argan e del Sandalo che ci ricordano come un tempo l’Oman fosse il punto d’incontro della Via dell’Incenso, con quella della Seta proveniente da Est.
Il Muezzin invita alla preghiera mentre ci addentriamo nelle viuzze del centro storico e ci raduniamo presso un bar all’aperto sorseggiando un fresco succo di mango e papaya, ormai la sera sta avanzando e Muscat si accende di luci multicolori, un po’ sullo stile sfarzoso dei vicini Emirati, di fronte a noi il porto, con il lucidissimo e imponente Yacht del Sultano ormeggiato in bella vista.
Una cena a base di carne di pollo e montone agli aromi di zafferano , curcuma e curry e un te’ al cardamomo, poi un meritato riposo.
Il mattino del 29 , confortati ancora una volta da un cielo blu e limpido, siamo in partenza per il deserto di Wahiba mentre cresce in tutta la spedizione l’attesa per le osservazioni astronomiche.
Prima però facciamo una sosta al mercato delle donne di Ibra, in cui queste ultime vendono le loro merci separatamente dagli uomini, velate dalla testa ai piedi con tuniche di mussolina leggera chiamate abeyya , le più affascinanti sono senz’altro le beduine che spesso indossano una tipica maschera in bronzo con visiera.
Il paesaggio diventa aspro e roccioso, mentre risaliamo i monti Hajar orientali, i colori predominanti delle rocce sono il giallo, il verde e il ruggine dovuti all’ossido di rame e ferro che contengono. Ma ecco un po’di vegetazione che ci segnala l’arrivo all’oasi di Wadi Bani Khalid in cui sosteremo per il pranzo. Qui l’acqua sgorga da una sorgente perenne che alimenta una lussureggiante vegetazione e una condotta, chiamata falaj, che fiancheggia il corso dell’wadi, e che risaliamo a piedi sui tipici muretti in pietra, osservando l’acqua che per uno strano effetto ottico, dovuto alla geometria del falaj, sembra scorrere in salita.
Il sole è forte ed è necessario coprirsi il capo, io Diego e Cristina riesumiamo i cappelli del viaggio in Giordania. Il wadi alla sorgente, si allarga in ampi specchi d’acqua ed è qui che ci aspetta un rilassante pranzo, allietati da un Luis entusiasta, che si lascia andare a canti gitani e sardi suonando la chitarra.
All’ombra delle palme osserviamo qualcuno che si concede un bagno nelle acque blu ed invitanti dell’oasi in cui sguazzano piccoli pesci.
Nel pomeriggio trasbordiamo i nostri bagagli dal pulmino guidato dal silenzioso Aduin a 4 nuovissimi fuoristrada, che ci conducono sulle grandi dune dorate del deserto di Wahiba, anticamera del più vasto ed inospitale “ Quarto Vuoto”. Veniamo accolti al nostro Wahiba desert camp con datteri dolcissimi e te’ e prendiamo possesso dei nostri caratteristici bungalows, con letto a baldacchino, zanzariera e ancor più caratteristico bagnetto a cielo aperto.
Poco dopo siamo sui fuoristrada per vedere il tramonto arrampicandoci su un’alta duna che fronteggia il campo, il cielo parzialmente velato soprattutto lungo l’orizzonte ci impedisce di vedere il green flash del sole. Non ci resta quindi che assecondare gli autisti, che giocano a salire e scendere la ripida duna con i fuoristrada.
Iniziano quindi le operazioni di montaggio del Dobson da 25 cm autocostruito, che mi ha seguito fedelmente anche in Oman e del resto della strumentazione da parte degli altri partecipanti.
Dopo una cena nell’ampia tenda centrale a base di riso, pollo, humus e marmellata di datteri, uno sguardo verso ovest rivela una potente luce zodiacale, segno che il sito è veramente buio e che il cielo si è rasserenato. In breve siamo fuori con gli strumenti: oltre al mio Dobson si possono annoverare il Pentax 750 e binocolo stabilizzato Canon 18X50 di Giorgio, il fedele Spotting Scope di Alberto ed il Polarie di Esther per le foto.
Il primo oggetto puntato, visto il periodo, è naturalmente la nebulosa di Orione, sempre spettacolare nei dettagli tenui e nella luminosità. Parte la gara di chi vede meglio le 4 stelle del trapezio, Alberto ne vede addirittura 6! Poi si passa alle Pleiadi e Gianpaolo e Diego confermano l’aspetto velato delle 7 principali componenti, è quindi visibile con una certa facilità al Dobson la nebulosità NGC 1432 a riflessione che le circonda e che in foto assume il caratteristico colore azzurrino.
Arrivano anche gli altri componenti della spedizione ed ai neofiti illustro con il laser verde le principali costellazioni invernali, la Polare è giù in basso verso nord a 23°, così come il Grande Carro che emerge dall’orizzonte, mentre dalla parte opposta a sud sotto Sirio possiamo ammirare Canopo, assieme alle costellazioni di Eridano, Poppa Carena e Vela, nonché le più elusive Macchina Pneumatica, Pittore, Orologio e Colomba.
Sentiamo nel buio la voce di Munira, accompagnata da Luis e dagli autisti che guardano incuriositi nei nostri strumenti.
Puntiamo l’ammasso M46 nella Poppa ma non riusciamo a scorgere al suo interno la piccola planetaria NGC 2438 e diamo successivamente un’occhiata al luminoso ammasso aperto NGC 2541 sempre nella stessa costellazione. Diego a quel punto munito di I-Pad con apposito programma astronomico si accorge che nelle vicinanze esiste un altro splendido ammasso, che nel catalogo di Caldwell compilato dal celebre astrofilo divulgatore Patrick Moore, scomparso recentemente, porta il numero 31.
Io ho visto quest’oggetto molto tempo fa e l’ho conosciuto come NGC 2477, effettivamente molto bello, una specie di M38 dell’Auriga, si trova vicino ad una stella luminosa che gli da’ un tocco ancor più spettacolare. Il cielo sopra di noi è notevole, con una bella ed evidente Via Lattea invernale, anche se a dire il vero dopo il cielo dei 4600 m degli altopiani boliviani, osservato la scorsa estate, non so se riuscirò a vedere di meglio su questo pianeta.
Passo a quel punto nel Cane Maggiore, mentre la maggior parte del gruppo si ritira nelle proprie stanze e qui individuo due piccole e tenui galassiette: le interagenti NGC 2207 + IC 2163 di magnitudine complessiva 10.7 e dimensioni 4,3’X2,8’, molto spettacolari nelle foto dei grandi osservatori ma molto difficili in visuale, non dimentichiamoci che questi oggetti si trovano alla considerevole distanza di 129 milioni di anni luce, ovvero la fioca ed effimera luce che emerge dall’oculare è partita quando sulla Terra scorrazzavano i dinosauri di inizio Cretaceo…
Tutto ciò a volte è sconvolgente…
Poi a poca distanza NGC 2217 di 10,4 e dim 4,4’X4,3’una bella galassia barrata, che anche in questo caso in visuale non và oltre ad una nuvoletta, ma che insieme agli altri oggetti va’ ad arricchire il mio personale bottino deep sky.
Passiamo poi al bel globulare NGC 1851 nella Colomba, visto per la prima volta nel ’99 in Cile. Pensando alle prestazioni del mio strumento e alla sua versatilità non posso fare a meno di rivolgere un pensiero a John Dobson l’inventore di questo tipo di montatura così facilmente trasportabile, scomparso il 15 Gennaio all’età di 98 anni.
La gigantesca Idra sta sorgendo ad Est, colma di galassie da osservare, ma la stanchezza si fa sentire, meglio rimandare le osservazioni all’indomani quando saremo in montagna, con un cielo si spera anche migliore. Raccogliamo quindi la strumentazione e ci ritiriamo nei bungalows dando un’ultima occhiata al cielo dalle 4 mura del bagnetto, un cielo nerissimo e pieno di stelle.
30 Gennaio, mentre l’Italia è bersagliata da poderose nevicate e piogge torrenziali con conseguenti e puntuali allagamenti, noi risaliamo le dune del deserto di Wahiba, nel tepore dei suoi 25° e arriviamo al souk di Sinaw, qui Luis ci accompagna di corsa a vedere il mercato degli animali, principalmente dromedari e capre, scambiati dai beduini del deserto per beni più moderni.
Dopo un gustoso pranzo a Bahla, ammiriamo l’omonimo forte dall’esterno, il più antico fra quelli omaniti e protetto dall’Unesco. Per gli omaniti che non vi risiedono, Bahla è la città dei jiin, gli spiriti malvagi responsabili di ogni disgrazia e guardando il cielo plumbeo che minaccia pioggia cominciamo a temere seriamente il loro negativo influsso sulle tanto attese osservazioni serali al Jebel Shams, la “montagna del Sole” , la cui vetta si erge a 3075m di quota.
Prima di salire, Luis ci propone altre due soste fotografiche con visione panoramica del villaggio oasi di Al Hamra con vecchie case in mattoni crudi immerse in un lussureggiante palmeto e dopo aver trasbordato su nuove jeep, il villaggio abbandonato di Ghul.
Iniziamo la salita, le pareti di arenaria sul ciglio della strada sterrata si alternano all’ ardesia che si sfalda in lastre, fogli e sfasciume. Il cielo è sempre cupo.
Arrivati quasi in cima dopo svariati tornanti e con il Dobson appoggiato sulle gambe ( Gianpaolo accanto a me condivide questa sofferenza ), ci appare la magnificenza del Wadi Ghul, il Grand Canyon d’Arabia, con pareti verticali che sprofondano di 1000 m dal ciglio del burrone. Il nostro gruppo si precipita a far foto a questa meraviglia della natura, mentre accanto alcuni caproni si sfidano con sonore capocciate.
Dall’altra parte della strada giovani donne vendono fossili di conchiglie e piante del Paleozoico, ma le rocce più antiche della zona si fanno risalire ancora più indietro nel tempo.
Arriviamo al nostro Jebel Shams Resort , che ci accoglie con bungalows in pietra dotati di bagno, riscaldamento e veranda.
Le sistemazioni sono ottime e ci facciamo una doverosa doccia calda dopo i rigori del campo tendato, anche la cena è ottima e visto il netto calo di temperatura ( ci troviamo a 2400 m ), nel corso della cena a buffet sorseggiamo volentieri una zuppa vegetale, seguita come di consueto da carne speziata e da una sorta di budino molto dolce alla vaniglia. Un giallo tramonto induce all’ottimismo ed in effetti all’uscita del locale ristorante ci accoglie un bel cielo stellato con una quantità di stelle superiore alla sera precedente e un fondo cielo nettamente più scuro.
Una volta dietro alle nostre stanze, al riparo di fastidiosi faretti, notiamo però che le nuvole non se ne sono andate del tutto e coprono almeno la metà del cielo.
Non ci lasciamo spaventare ed iniziamo comunque le osservazioni, questa volta oltre a me si uniscono Diego, Cristina, Gianpaolo, Esther, Alberto e Munira.
Notiamo verso est il riverbero azzurrino di un vicino campo tendato e conveniamo che sarebbe opportuno avvisare il Sultano, tanto sensibile alle tematiche ambientali, (per esempio la salvaguardia delle testuggini marine che nidificano proprio sulle spiagge dell’Oman ), che esiste anche il problema dell’inquinamento luminoso, convincendolo magari ad operare una selezione nell’installazione di apparecchi illuminanti ed il loro spegnimento ad una certa ora della notte.
Un’occhiata al ricchissimo h e X Persei, al Presepe e poi mi addentro nella difficile ricerca di oggetti mancanti alla mia collezione come le tenui galassie nell’Eridano, l’antico fiume Po in cui trovò la morte Fetonte, NGC 1531 e 1532, altre due interagenti, la prima è una bella spirale di ¾ di mag.12,9 e dim. 1,3’X 0,9’, la seconda, una macchiolina appena visibile, ancora più piccola.
Faccio appena in tempo a registrare quest’ultima osservazione che il cielo si copre di nuovo, ogni tanto si apre qualche squarcio, poi di nuovo si copre. Si continua così per un’oretta attendendo un miglioramento che non arriva, si chiacchiera allegramente quando Alberto avverte: “Ho sentito una goccia!” E’ il segnale, ci ritiriamo tutti in stanza chi prima e chi dopo e preso dallo scoramento smonto il Dobson, operazione sempre lunga e laboriosa. Al termine, ormai in pigiama e pronto per il letto, metto il naso fuori per curiosità e con orrore noto un cielo completamente sgombro, tersissimo e nero. No comment!
Chiudo lentamente la porta-finestra e la tenda ed imprecando sotto voce mi ritiro sotto al piumone. Solo Diego si alzerà alle 4.00 per vedere la Croce del Sud ed alfa e Beta Centauri, una visione che per lui vale il viaggio, visto che le osservava per la prima volta.
Il mattino dopo, 31 Gennaio, con calma procediamo verso il villaggio di Misfah Al Abreen, arroccato su una montagna, con antiche case di fango e il tipico sistema di canalizzazione dell’acqua Falaj, che scende di fianco alle semplici abitazioni tra il fitto palmeto. Un’atmosfera di pace regna in questo luogo ed ogni tanto qualche anziano dalla lunga barba bianca si aggira silenzioso tra i vicoli.
Ritorniamo sui nostri passi camminando in equilibrio sul bordo del Falaj e abbandoniamo a malincuore quest’oasi in verticale per arrivare poco dopo alla cittadina di Nizwa in cui seguiamo Luis al souk in cui ci viene fatto assaggiare un tipico dolce a base di marmellata di datteri e poi vediamo da fuori il forte, costruito strategicamente su una collina. Ci dividiamo, ognuno a raccogliere souvenirs e con Gian Paolo assisto alla chiamata dei fedeli alla moschea, una moltitudine di figure in tunica bianca che silenziosamente si avvia al luogo di preghiera.
Poi è la volta di un altro villaggio e di un altro Falaj, Birkat Al Mauz, ai piedi del Jebel Akhdar. La giornata ancora una volta volge al grigio e confonde in un unico colore le case diroccate di questo villaggio, abitato da capre e da qualche figura umana che spunta dalle finestre. Più avanti alcuni bambini sguazzano felici dentro al Falaj e noi ancora una volta passeggiamo sul suo stretto bordo.
Concludiamo il pomeriggio al nostro splendido Falaj Daris Hotel di Nizwa, in cui mi lascio tentare da un corroborante bagno in piscina avvolto dal profumo dell’incenso, mentre altri passeggiano nuovamente nel souk.
Alla sera ci si ritrova tutti per la cena sul bordo piscina con palme adornate in modo estremamente kitch con luci multicolori quasi fossero alberelli di Natale. Il cielo si è rasserenato ma diventa complesso organizzare una trasferta in zone buie lontane dalla cittadina e ci accontentiamo di prendere un tè guardando sull’i-pad di Diego immagini e ricordi di viaggi passati.
1 Febbraio, una limpida mattinata ci accompagna alla visita del castello di Jabreen risalente al 17° secolo, precisamente al 1675, fu fatto costruire dall’imam Bil arab bin Sultan ed ospitò un importante centro di studi di astrologia, medicina e legge islamica e ancora oggi è in ottimo stato di conservazione.
Accanto all’ingresso si trova il magazzino dei datteri, il cui succo, ci racconta Luis, veniva convogliato in appositi canali sotterranei per resistere agli assedi. Mentre saliamo sul terrazzo con vista panoramica, ammiriamo le stanze con i soffitti riccamente decorati e i cortili con finestre a graticcio. L’antico falaj, poteva invece essere considerato come un primitivo sistema di aria condizionata.
Ci dirigiamo quindi alle sorgenti di acqua calda di Al Thawra, dove l’acqua che proviene dall’wadi, da’luogo ad un vasto palmeto in cui facciamo un doveroso pic nic, prima di immergere i piedi in acqua ed essere mordicchiati e massaggiati da una quantità di piccoli pesci scuri, che trovano irresistibili le pellicine morte delle nostre dita in ammollo.
Gruppi di ragazzini sulle rive cantano accompagnandosi con tamburelli improvvisati, contagiando e trascinando al ballo Luis e il nostro Albertofi.
Senza soluzione di continuità, nel pomeriggio ci attende un ultimo forte, forse il più spettacolare, quello di Nakhl, eretto nel 1834 dall’imam Said bin Sultan, con 6 torri di guardia di forma circolare arroccate strategicamente sulla cima di uno sperone roccioso. Dai bastioni ammiriamo l’incantevole panorama sulla pianura di Batinah. A particolari feritoie sopra le porte venivano poi agganciati pentoloni di miele bollente da versare sugli invasori.
E’ il momento di tornare a Muscat, ma prima Luis ci porta su una spiaggia non troppo lontana dal quartiere di Kantab in cui abita, per mostrarci l’attività dei pescatori e rilassarci sulla battigia a caccia di conchiglie.
La nostra ultima notte a Muscat passa nello stesso albergo della prima, con una cena sul bordo piscina e salutiamo Luis, che l’indomani non potrà accompagnarci nella prevista escursione per vedere i delfini poiché attende un nuovo gruppo italiano.
Muscat significa “ancoraggio”e il mare oggi come in passato continua a giocare un ruolo importante non solo per la pesca, ma anche per le recenti attività turistiche come questa dolphin-watchingh, che ci attende la mattina del 2 febbraio. Prendiamo posto sulla nostra imbarcazione riservata ed uscendo dal porto ammiriamo le tipiche “dhow” in legno ancorate lungo i moli.
Prendiamo il largo nel golfo di Oman, ripercorrendo le orme di Sinbad il marinaio, che la tradizione vuole fosse proprio omanita, nato a Sohak, vicino a Nakhl e non tardiamo a scorgere i primi delfini,
per la precisione Tursiopi, o “delfini dal naso a bottiglia”, molto diffusi in queste zone. Saltellano accanto a noi numerosissimi, in gruppi e famigliole, spesso con i piccoli, bellissimi!
Il pomeriggio trascorre ancora una volta al souk, per gli ultimi acquisti, soprattutto pashmine e ambra, poi l’attesa del volo serale con la sorpresa del ritorno inaspettato di Luis che ci traghetta all’aeroporto.
Anche questa volta si conclude un viaggio e nel volo di ritorno si cerca di fermare i ricordi e le suggestioni di una settimana intensa, pensando già ad una nuova meta, ragionando su questa o quella destinazione e raccogliendo suggerimenti e ispirazioni da chi condivide la passione dei viaggi, passione che personalmente devo a mio padre Aronne, grande viaggiatore da poco scomparso.
Ciao papà.
LE FOTO SONO DI: Massimiliano Di Giuseppe, Esther Dembitzer e Diego Marzo