di Massimiliano Di Giuseppe

Esploriamo l’Universo torna a seguire un’eclisse totale di sole dopo l’ultima in Wyoming del 2017, un evento da tanto atteso visto il mancato raggiungimento del numero di partecipanti per quella in Cile del 2019, per quelle del 2020 in Argentina e del 2021 in Antartide a causa della pandemia e per quella ibrida in Australia del 2023.
Ma questa volta, anche se con non poche difficoltà organizzative visto il fortissimo richiamo del fenomeno e conseguenti scarsità di posti in alberghi e voli, finalmente riusciamo a partire. La meta prescelta è il Messico che il tracciato dell’eclisse incontrerà dopo aver toccato all’alba il Pacifico meridionale, 1400 km a nord-ovest di Tahiti. La linea della centralità interesserà poi gli Stati Uniti ( Texas, Oklahoma, Arkansas, Missouri, Illinois, Kentucky, Indiana, Ohio, Pennsylvania, New York nella zona delle cascate del Niagara, Vermont, New Hampshire, Maine e una parte del Tennessee e del Michigan) e infine l’Ontario il Quebec, il New Brunswick e la costa atlantica di Terranova in Canada.

Sarà un’eclisse lunga e raggiungerà la massima durata proprio in Messico 150 km a N-E di Durango con ben 4 minuti e 28 secondi di totalità. C’è molta attesa anche per i dettagli che potrà offrire la corona solare vista la fase di massimo che sta attraversando la nostra stella e l’opportunità, se pur remota di osservare in contemporanea la cometa 12P/Pons-Brooks in questi giorni al perielio. Se poi l’eclisse si inserisce in un viaggio che tocca i principali templi Aztechi e Maya nonché le spiagge del Golfo del Messico, gli ingredienti ci sono tutti per rendere il viaggio unico e indimenticabile.
Siamo in 17 e la partenza è prevista per quasi tutto il gruppo da Bologna il 4 Aprile 2024.
Attorno alle 15.00 parto da Ferrara assieme a Teresa Cavalletti ( l’ultima volta con noi proprio in Wyoming) a cui affido una parte del telescopio Dobson autocostruito. E’ presente in auto anche Ferruccio Zanotti, il compare di mille avventure, assente pure lui dal 2017 e ora completamente ristabilito dopo alcune vicissitudini mediche. Arriviamo all’aeroporto di Bologna in cui ci incontriamo subito con la storica Esther Dembitzer, che non vuole mancare anche a questo importante appuntamento e Maria Civetta, nuova entusiasta appassionata dei viaggi astronomici a cui affido altri pezzi del Dobson tra cui lo specchio, per rimanere nei pesi stabiliti dalla compagnia aerea.
A distanza di tanti anni, dal 2013 in Svezia, salutiamo Andrea Battistella e poi i nuovi partecipanti Anna Bergonzini, Davide Borghi, Alberto Duches, Marco Nardon, Antonio e Arianna Melandri e Donatella Stucchi. Alberto ha portato le magliette, realizzate appositamente per l’eclisse, che vengono distribuite tra i partecipanti che hanno appena ricevuto anche i nostri occhialini. Un solerte addetto della Turkish ci richiama all’ordine, è il momento per il nostro gruppo di fare il check in, il volo per Istanbul è in partenza!
5 Aprile
Dopo un comodo viaggio, arriviamo nella capitale turca in piena notte in attesa del volo successivo per Città del Messico. Qui ci incontriamo con altri 3 iscritti al viaggio partiti da Roma, lo storico Roberto Iorio e i nuovi Claudio Mola e Antonio Di Gennaro, quest’ultimo alla ricerca di una farmacia per un’infiammazione improvvisa ad un occhio e subito preso in consegna dalla nostra Maria, medico della spedizione.
Al benessere del resto del gruppo, ci pensa Alberto con un tonificante risveglio muscolare tra le poltrone della sala d’attesa. Qualche km a piedi per raggiungere il gate e siamo in partenza per il Messico, ci attendono 13 ore di volo e ci facciamo coraggio…Davanti al mio sedile trovo con sorpresa l’ultima partecipante, Elena Ciccione, con noi in Azerbaijan nel 2015, in arrivo da Milano.



Le lunghe ore passano tra qualche film, saltuari sonnellini interrotti dai dlin dlon delle chiamate alle hostess, annunci del comandante e tentativi di guardare le stelle da finestrini purtroppo completamente oscurati ( mah…). Solo all’alba si rischiareranno per mostrarci il sole che sorge sopra una megalopoli con più di 25 milioni di abitanti: Città del Messico! Una volta atterrati ci raccoglie Porfirio, la nostra guida per la città, un simpatico personaggio con una grande vitalità nonostante i 75 anni suonati, dovuta a dir suo all’assunzione quotidiana di caffè, Tequila e mescalina, un derivato del cactus peyote con effetti miracolosi. Ci sono tuttavia difficoltà a far entrare tutte le valigie nel pulmino, l’agenzia è stata troppo ottimista e dobbiamo tenerne alcuni sulle ginocchia. “Per domani ci sarà un altro pulmino!” Promette Porfirio mentre da ordini all’autista di portarci subito in centro per le prime visite della città, riposeremo in albergo più tardi.

Pur essendo Città del Messico l’agglomerato urbano più grande dell’emisfero settentrionale, non ha il traffico caotico che mi aspettavo e nemmeno lo smog tipico delle grandi città, il cielo è azzurro e limpido…forse perché ci troviamo a 2400m di altezza. Fatto sta che scendiamo per una passeggiata nel centro storico confortati da una temperatura ottimale che ci fa passare la stanchezza. Ci troviamo a poca distanza delle cupole dorate del Palazzo delle belle arti e seguiamo Porfirio alla chiesa barocca di San Francisco con la sua magnifica facciata in puro stile churrigueresco e l’interno bianco con una pala sull’altare in stucchi dorati. Uscendo ci troviamo sul viale principale Francisco I Madero su cui si affacciano edifici coloniali e creoli, prendiamo qualche bottiglietta d’acqua accompagnati dai carillon di venditori ambulanti vestiti da militari e ammiriamo sullo sfondo di una statua in bronzo di Pancho Villa, la Torre Latinoamericana, il grattacielo più alto della città.




E’ quasi mezzogiorno e il sole a picco a queste quote si fa sentire mentre arriviamo allo “Zocalo” o Plaza de la Constitution una delle piazze più grandi al mondo, la terza dopo Tienanmen e la Piazza Rossa. Qui vi si affacciano la Cattedrale della città e il Palacio Nacional con la bandiera che sventola sul gigantesco pennone. Porfirio ci fa cenno di seguirlo all’interno della Cattedrale, la chiesa più grande dell’America Latina e ci spiega che gli spagnoli per volere di Cortès la costruirono a partire dal 1528 usando le pietre dei templi Aztechi preesistenti. Ci sediamo sulle panche nella frescura della chiesa mentre Porfirio prosegue: qui si fondono stili diversi, il barocco, il gotico, il neoclassico e tanti lavori in legno ed oro come è il caso del Coro centrale.
Ma la cosa più caratteristica è il pavimento sconnesso e le pareti variamente inclinate a causa dello sprofondamento nel terreno umido, ma soprattutto a causa dei terremoti a volte disastrosi…e con la mano ci indica i punti rimaneggiati e ricostruiti più volte.


Usciamo quindi dalla Cattedrale per riaffacciarci sullo Zocalo da una stradina laterale in cui alcuni negozietti espongono le tipiche maschere scheletriche dedicate al culto dei morti, molto sentito in Messico e celebrato nei cosiddetti “dias de los muertos”. A questo proposito Porfirio ci racconta che addirittura alcune famiglie in quel giorno esumano le ossa dei cari estinti pulendole e lucidandole! Ci troviamo di fronte ora a quanto resta del Templo Mayor, il tempio centrale dell’antica città azteca di Tenochtitlán, qui un tempo c’era una grande piramide alta ben 60 m di cui oggi rimangono solo le fondamenta. Fu costruito nel 1428, in onore delle divinità Tlaloc e Huitzilopochtli e distrutto nel 1521 dalle truppe spagnole dei conquistadores.




Veniamo quindi accompagnati al nostro hotel Casa Blanca in cui effettuiamo il pranzo. E’ l’occasione per fare un po’ conoscenza con i nuovi compagni di viaggio, alcuni possiamo definirli veri e propri “colleghi”, Davide ad esempio è il presidente dell’associazione astrofili modenesi “Cosmo” e Alberto ha collaborato in passato attivamente con l’Associazione “Cielobuio” artefice delle leggi regionali italiane contro l’inquinamento luminoso. Dopo un breve riposo siamo di nuovo radunati da Porfirio per la visita del Museo Nazionale di Antropologia che si trova nella cornice del meraviglioso bosco cittadino di Chapultepec, completamente immerso nel verde e punteggiato da alberi di Jacaranda dai fiori lilla. L’ingresso è preceduto da una grande bandiera messicana e da un modernissimo ombrellone in cemento che copre parte del cortile centrale del museo. C’è pure presso una fontana una grande statua del dio della pioggia Tlaloc, che speriamo la mantenga lontana il giorno dell’eclisse…
Il museo, ci spiega Porfirio, ospita la più grande collezione di arte precolombiana al mondo con testimonianze e oggetti di alcune delle culture più antiche dell’America Centrale, come quelle Maya, Azteca, Olmeca, Tolteca, Zapoteca e Mixteca. La visita meriterebbe alcune ore ma nel tempo limitato a disposizione riusciamo a vedere solo i reperti e le riproduzioni più importanti. Tra questi la statua di Coatlicue la Madre Terra dea della fertilità, quella di Mictlantecuhtli, dio dei morti azteco, raffigurato come uno scheletro seduto e la maschera di Zapoteco, il dio pipistrello.



Proseguiamo ammirando le teche di vetro che ospitano tra gli altri un teschio di cristallo minuscolo e una piccolissima testa di Condor finemente lavorata, poi la più famosa Maschera di Pakal il più importante re Maya, in giada, perfettamente conservata, che fa parte degli ornamenti funerari scoperti nella tomba del sito archeologico di Palenque che visiteremo i prossimi giorni. Molto interessante anche il copricapo di Montezuma, piumato e di un colore verde smeraldo con dettagli in oro. Ma nel museo c’è pure un pezzo trovato dallo stesso Porfirio, una sorta di piccolo obelisco scolpito su cui sono riusciti ad identificare alcuni caratteri, si tratta di un personaggio chiamato “Rana che fuma”, ci racconta orgoglioso.


Sicuramente il reperto più famoso esposto al museo è la “Piedra del sol”, riportata alla luce nel 1790 nei pressi del Templo Mayor. La pietra è un monolite di 3 metri e 60cm di diametro e pesante più di 25 tonnellate. Si tratta di un calendario che rappresenta non solo i ritmi delle stagioni ma anche i principi cosmici e teologici degli Aztechi, fini conoscitori astrali, divenuto famoso nel 2012 perché secondo alcuni ricercatori avrebbe predetto la fine del mondo proprio quell’anno, il 21 Dicembre!


È vero che il calendario Maya secondo il cosiddetto “computo lungo”, che parte dal 3114 a.C. prevedeva per il 21 dicembre 2012 la fine di un ciclo, il tredicesimo Bak’tun, ma con questo non significava che il mondo doveva finire, ma che semplicemente sarebbe iniziato un altro ciclo. All’epoca facemmo diverse iniziative col planetario per confutare appunto le superstizioni legate a quella data fatidica.
All’uscita, ci accoglie un gruppo danzante con costumi piumati, sono i “totonachi”, i discendenti di una popolazione indigena che abitava in Messico prima dell’arrivo degli spagnoli e si esibiscono nel rituale della danza de los Voladores. Di ritorno in hotel ci attende la cena e un meritato riposo dopo la lunga giornata, anche se è bene ricordarlo siamo solo all’inizio dell’epopea in terra messicana…

Al mattino Porfirio mantiene la promessa e si presenta in hotel con due pulmini, uno destinato ai bagagli e alla preziosa strumentazione astronomica, il secondo al nostro gruppo. Ci salutiamo in aeroporto dandoci appuntamento fra 3 giorni quando con lui termineremo le visite della capitale e dintorni: “Buona fortuna e buona eclisse! Quando tornate vi porterò a pranzo in un ottimo ristorante con carne alla brace!” ci dice sorridendo sotto i baffi mentre si allontana. Eh sì, per vedere l’eclisse saremo costretti a fare i salti mortali, dobbiamo infatti raggiungere la cittadina di Los Mochis facendo scalo a Tijuana e poi da lì 2 giorni dopo dovremo fare altri 400 km in pullman per arrivare sulla linea della centralità a Mazatlàn, capitale della regione della Sinaloa.
Il trasferimento a Los Mochis ci occupa in pratica tutta la giornata, ma la compagnia Volaris con cui viaggiamo si dimostra comoda, moderna e precisa. Nell’ultima tratta, al tramonto passiamo sulla costa della Baja California e il deserto di Sonora avvistando dall’alto il famoso e controverso muro di Trump al confine col Texas, edificato per ostacolare l’immigrazione clandestina. Eccoci dunque a Los Mochis, l’aria è fresca e il cielo leggermente velato. Scesi dall’aereo ci incontriamo con la nostra nuova guida Adrian, un tipo corpulento in tenuta da ranger a cui spetterà il difficile compito di farci osservare l’eclisse. Non parla italiano ma solo spagnolo o inglese, cercheremo comunque di fargli capire le nostre esigenze di astrofili. Ceniamo al nostro hotel Best Western Plus con nachos e ottima carne discutendo di vari aspetti tecnici e fotografici legati all’eclisse e soprattutto logistici con particolare attenzione alle previsioni del tempo non troppo ottimistiche.



“Che dice il meteo?” Si informa preoccupato Antonio di Roma. In effetti sembra che una perturbazione si avvii a funestare praticamente tutta la fascia della centralità dell’eclisse ( potere degli astrofili!!!), con alcune delle zone che sembravano offrire le migliori garanzie di cielo limpido e clima secco come il Texas e la tanto decantata zona di Torreòn ( suggerita perfino dalla Nasa!) praticamente compromesse. Riceviamo messaggi allarmati da vecchi compagni di viaggio che hanno scelto proprio quelle destinazioni, come Enrico Castiglia, Davide Andreani e Diego Pizzinat. A Mazatlàn infatti dovrebbe andare meglio ma è bene aspettare domani per la decisione definitiva, un giorno potrebbe fare la differenza nell’evoluzione del meteo.

7 Aprile
Dopo la colazione e il risveglio muscolare in piscina con Alberto e il suo stereo, Adrian ci preleva per la visita al villaggio indiano di Mayo-Yoreme, una fra le più arcaiche tribu indigene della regione di Sonora, che mantengono ancora gelosamente le proprie tradizioni, costumi e rituali. Il cielo è limpidissimo, se fosse così anche domani a Mazatlàn sarebbe perfetto…! Ci fermiamo presso una casa locale e veniamo fatti accomodare all’interno di un recinto di pali in legno e tetto di paglia, una donna anziana ci offre tortillas appena fatte e lo sciamano, il capofamiglia, ci mostra la danza ancestrale del cervo o “venado”. Dal suo abito bianco pendono bozzoli di bachi da seta e attorcigliati alle caviglie ci sono sonagli che tintinnano ai suoi movimenti, sul capo, sopra un fazzoletto rosso spunta una piccola testa di cervo completa di corna, attraverso cui secondo il rituale l’anziano si trasformerà nell’animale.





Adrian si inginocchia e partecipa al rito, altri della famiglia suonano tamburi fatti con metà zucche immerse in una bacinella d’acqua, flauti di canna di fiume e altri strumenti che simulano il respiro del cervo. Per queste popolazioni la danza è una forma di preghiera, essi implorano le loro divinità (sono infatti animisti), ringraziano la pioggia per un possibile buon raccolto e gli animali per una buona caccia. Il ritmo inizialmente lento diventa più incalzante, il cervo, rappresentato dall’anziano sta per essere cacciato, si avvicina a noi e ci annusa, si sofferma di più da Donatella e Anna che sentiranno nell’aria un profumo di gelsomino, poi scappa disorientato e spaurito dall’inseguimento ed infine si rassegna a morire.
Molto interessante e coinvolgente. Ringraziamo questa famiglia per l’opportunità con una generosa mancia e risaliamo sul pulmino per El Fuerte, antica capitale della Sinaloa in cui pranzeremo. El Fuerte, ci racconta Adrian, è un pittoresco pueblo famoso per la figura leggendaria di Diego de la Vega meglio conosciuto come “Zorro” che si dice abbia passato qui la sua infanzia.



Il nostro ristorante è caratteristico, proprio sulla piazza principale ed il cibo non è niente male, ma siamo bersagliati da Mosquitos invisibili che lasceranno nei giorni successivi su braccia e gambe ponfi fastidiosi e duraturi. Abbiamo tutti sottovalutato gli avvertimenti di Adrian di cospargerci a dovere di spray contro gli insetti…La squadrata piazza principale, lo “zocalo”, merita in ogni caso una passeggiata e offre scorci caratteristici nella giornata limpida e soleggiata. il municipio ad esempio è molto pittoresco e ci appare dopo un giardino lussureggiante e verde, con al centro una zampillante fontana e un gazebo per l’orchestra. Proseguiamo tra vicoli ed edifici colorati fino alla chiesa del Sagrado cuore di Gesù fatta costruire dal conquistatore spagnolo Francisco de Ibarra nel 1564 e alla Fortezza, circondata da cespugli viola di bouganville da cui si gode un ottimo panorama sulla città e l’omonimo fiume Fuerte, che le scorre a fianco.









E’ il momento di tornare a Los Mochis, io e Ferruccio ci fermiamo a quel punto con Adrian nella hall per definire i dettagli della giornata complicata che ci aspetta. Prima di tutto prenotiamo un pullman più grande e confortevole per le lunghe ore di viaggio e poi cerchiamo di capire il luogo esatto in cui dirigerci. Gli spieghiamo l’incerta situazione meteo, che sembra leggermente meglio poco oltre Mazatlàn.
Adrian si fa serio, consulta il navigatore lisciandosi la barba nera, ingrandisce l’area da noi individuata e scuote la testa. Questa zona ci dice, è un’area in cui è presente un cartello dei narcos…Credetemi, sono un ex militare e conosco il territorio, non è sicuro per il vostro gruppo, meglio rimanere in città. Lo sguardo severo non ammette repliche e di buon grado accettiamo il compromesso, arrivando all’alba avremo modo di controllare alcuni punti all’ingresso della città su sue indicazioni. Il dado è tratto. Ci troviamo a cena col resto del gruppo a cui spieghiamo destinazione e orario di partenza che sarà a mezzanotte…
8 Aprile
Poco prima dell’orario stabilito ci si trova nella hall, tutti più o meno assonnati. I primi ad arrivare sono quelli con strumentazione fotografica al seguito, Andrea, Esther, Ferruccio, Roberto, Donatella e naturalmente Antonio di Roma che si sincera sulle ultime previsioni. “ Che dice il meteo?” Non è con noi purtroppo Teresa che si vede costretta a rinunciare all’ultimo per un malanno, siamo tutti dispiaciuti…A mezzanotte e 25 con il nuovo e comodo bus da 50 posti siamo in partenza per Mazatlàn, ci auguriamo tutti una buona eclisse e Ferruccio spiega al microfono le circostanze del fenomeno che appartiene al Saros 139, quello per intenderci dell’eclisse del 29 Marzo 2006 vista in Egitto. La strada è sgombra e scorrevole, più veloce di quello che pensavo, il traffico è praticamente inesistente, ci fermiamo giusto per una sosta tecnica alle 3.30 e 2 ore dopo, mentre albeggia entriamo a Mazatlan.
Con Ferruccio e Adrian scendo per un sopralluogo ad un primo sito direttamente sulla spiaggia, abbastanza suggestivo ma non il massimo per gli strumenti nel momento in cui dovesse alzarsi la sabbia con il vento.
Risaliamo sul pullman, Adrian, accompagnato dalla moglie, ci vuole mostrare quella che era la sua prima scelta, uno spiazzo circolare pavimentato abbastanza ampio sopra una breve scalinata e circondato da palme, subito prima dell’ingresso in spiaggia. Una sorta di terrazzo che fa proprio al caso nostro, a pochi passi da un ristorantino davanti al quale parcheggiamo il pullman. Perfetto!





Facciamo colazione con un cappuccino in un vicino bar-alimentari aperto h-24 e cominciamo a posizionare gli strumenti sul terrazzo, mentre l’orizzonte est si tinge di giallo e il canto degli uccelli annuncia l’imminente levata del sole. Mi guardo attorno, verso ovest e a sud si estende una pesante nuvolaglia mentre ad est e allo zenit il cielo è migliore e le nuvole vanno e vengono, la direzione del vento si mantiene costante, speriamo bene… Al momento siamo gli unici astrofili, sono le 7.00 del mattino, si predispongono cavalletti, telescopi, binocoli, macchine fotografiche e teleobiettivi. Donatella ha un cannocchiale Celestron 10X42, Andrea un tele FE 200-600mm Sony Ferruccio un 500mm , Roberto l’ MTO 1000 nonché la maglietta con tutte le eclissi che ha visto, Antonio Melandri un tele 500mmm su cavalletto. Io ancora una volta mi sono portato il fedele Tansuztzu, il vecchio telescopio 114/1000 su cui monto il filtro in mylar. Sorge il sole e spunta Antonio di Roma da una palma: “Che dice il meteo?” Sto per rispondere, quando mi anticipa Arianna, “Vedremo l’eclisse!” sentenzia. Giusto, occorre essere ottimisti in certi frangenti ed indossiamo per l’occasione le magliette di Alberto.






Comincia a salire l’emozione e anche a radunarsi un po’ di gente che si mette ad osservare curiosa ai nostri strumenti, fregate di mare e pellicani solcano un cielo molto variabile in cui ha luogo il primo contatto, sono le 9.51 ora locale. La folla aumenta, un gruppetto che sembra scortare un personaggio importante con tanto di cameraman al seguito ci si avvicina, si tratta nientemeno che il candidato Senatore Enrique Inzunza, un tipo dinamico e simpatico che fraternizza subito col nostro gruppo di italiani. Veniamo intervistati dal suo staff, il senatore e il suo seguito osservano ai nostri strumenti e ci facciamo una foto assieme mentre la copertura arriva al 30%. Sicuramente un modo originale e arguto di fare campagna elettorale.
Foto di Esther Dembitzer


Nubi sfrangiate ma per fortuna sottili coprono buona parte del cielo, non compromettendo al momento osservazioni e foto, la gente aumenta ancora, molti si fanno selfie con noi, siamo diventati un’attrazione! Cala la luce e anche la temperatura, devo indossare il giubbotto, al telescopio le tante macchie solari presenti in questo periodo di massima attività vengono via via mangiate dal disco lunare che avanza inesorabile, l’eclisse ha superato il 50% e il calo di luce si fa evidente, il paesaggio attorno a noi assume il tipico colore verdastro con una luce quasi polarizzata.





Foto di Esther Dembitzer
Esther chiede aiuto a Ferruccio per centrare il sole, si è posizionata col telescopio proprio sul bordo di una panchina di marmo al centro del terrazzo, con un serio rischio che il telescopio precipiti. Roberto proietta sul pavimento le falcette del sole eclissato sfruttando un cartone forato. Qualcuno fa partire la musica della colonna sonora di Hans Zimmer del film Interstellar, la tensione aumenta e purtroppo anche le nuvole, una sorta di cielo a pecorelle che sta creando nei pressi del sole effetti colorati e iridescenze, gli uccelli si mettono di nuovo a cantare. Mi guardo intorno, diventa difficile capire se queste nuvole ci nasconderanno la corona nel momento clou, la situazione è abbastanza simile all’eclisse indonesiana del 2016, per fortuna in quel caso ci è andata bene….non resta che sperare… La terrazza sul mare ora è gremita di bambini, giovani, anziani, tutti col naso all’insù e con gli occhialini per l’eclisse, manca davvero pochissimo!






Foto di Esther Dembitzer
Si alza il volume di Interstellar e in quel momento il sole rimpicciolisce e appaiono all’improvviso il disco nero e la luminosa e bianca corona tra gli applausi e le urla del pubblico…incredibile! Io stesso pur essendo alla mia undicesima eclisse totale non riesco a trattenere un grido, ogni volta questo fenomeno impressionante mi sorprende, questa volta è il buio piuttosto intenso ed il giallo-arancione dell’orizzonte tutto attorno. Ma sopratutto che l’eclisse sia visibile nonostante le nubi. Qualcosa di magnifico! Un’emozione mista a sollievo dopo i patemi meteorologici che spesso accompagnano le peregrinazioni degli astrofili. Sono le 11.09 ed il sole è altissimo, ben 69°.
Foto di Ferruccio Zanotti
Anche se abbiamo a disposizione 4 minuti e 17 secondi sono momenti concitati: punto il sole col Tansutzu che mi mostra le protuberanze rosso-viola, alcune visibili anche ad occhio nudo, faccio qualche riprese con la telecamera, avvisto Venere ad ovest del sole in uno squarcio delle nubi, mentre Giove, altri pianeti e stelle teoricamente visibili sono nascoste. Niente da fare anche per la cometa Pons-Brooks che risulterà un oggetto difficilissimo anche da cieli perfetti. Siamo a metà eclisse, si alza in volo un drone che effettuerà sicuramente foto e riprese mozzafiato. Mentre qualche ragazzino locale mette l’occhio al Tansutzu, guardo i miei compagni impegnati agli strumenti o in contemplazione. Poco distante mi appare la nera sagoma di Adrian, immobile a testa in su, Arianna e il padre Antonio sorridono ammirando lo straordinario spettacolo celeste. Pure per Antonio di Roma e Claudio si scioglie la tensione dovuta al meteo. Roberto, Andrea, Esther e Ferruccio scattano foto a ripetizione, Maria sta osservando a bocca aperta al binocolo di quest’ultimo, Donatella, Davide, Elena e Anna sono pure loro assorti in questo momento quasi mistico.
Foto di Andrea Battistella
Alberto e Marco sono ormai parte dello staff del Senatore e osservano compiaciuti assieme all’importante personaggio. Ma ormai siamo arrivati alla fine della totalità, l’uscita del sole è accolta da nuove grida e applausi, è stato tutto bellissimo ma sempre troppo breve, mi ricordo a quel punto come ho fatto all’ingresso nell’ombra di controllare il lenzuolo steso a terra per le ombre volanti di cui però non c’è traccia. Torna il senatore Inzunza per nuove strette di mano e felicitazioni, sono tutti entusiasti. I fotografi hanno fatto un buon lavoro e le nubi non hanno disturbato troppo le immagini della totalità, è il momento di documentare la fase finale della parzialità in uscita fino alle 12.32 mentre Adrian va a prenotare i tavoli per il nostro gruppo al ristorante. Oggi si mangia pesce!




Cometa Pons Brooks, foto di Dan Barlett
Foto di Esther Dembitzer

Come è ormai una consuetudine procedo durante il pranzo con le interviste di rito post eclisse munito di telecamera. Si inizia con Maria che osservando l’eclisse al binocolo la definisce un’esperienza unica, a Ferruccio invece rimarranno impressi i colori bellissimi dell’orizzonte e le protuberanze, Antonio Melandri è conciso nel definire l’esperienza “Entusiasmante”, Claudio la giudica un’ ottima esperienza con un po’ di tensione per il meteo, ma alla fine è andata molto bene, Andrea si scompone leggermente dal suo aplomb inglese “ comunque buono nonostante le nuvole”. E così via tutti gli altri, Elena: “ tutto molto bene, aspettiamo la prossima! “, Davide: “ Commovente…”, Anna: “ Colori bellissimi”, Roberto “ Troppo bella “. Alberto non ha dubbi: “ Un’ esperienza strepitosa, la consiglio una volta nella vita!” Marco è ancora commosso “ Non sono riuscito a trattenere le lacrime, emozione indescrivibile..” Antonio Di Gennaro “ Esperienza affascinante, spero di riviverla al più presto”, Arianna: “Bella!!” anche Adrian vuole commentare assieme alla moglie, è la sua seconda eclisse e la definisce “ Amazing!”ed è grato al nostro gruppo e molto felice di questa esperienza, l’altra la vide nel 1991. Donatella è soddisfattissima ma avrebbe preferito più silenzio, Esther è stata messa a dura prova dal telescopio ma è riuscita nell’impresa: “ Il bambino mi ha fatto dannare, speriamo nelle foto, comunque eclisse molto bella, l’emozione dell’eclisse l’ho vissuta”. Si torna distrutti ma felici a cena a Los Mochis e poi a letto. Missione compiuta!
9 Aprile
Il volo mattutino per Città del Messico ci costringe ad una levataccia, prendiamo alla reception i nostri cestini colazione e raccontiamo a Teresa che sta decisamente meglio l’avvenuta eclisse. Una volta atterrati nella capitale messicana Porfirio ci accoglie a braccia aperte, soddisfatto del buon esito della spedizione e come promesso ci porta a pranzo in un ristorante con ottima carne alla brace “ La Catrina”. Il nome deriva da un’icona del “Día de Los Muertos”, rappresentata da Diego Rivera con uno scheletro di donna vestito con abiti eleganti, ornamenti ed un cappello di piume in stile di inizio XX secolo. Rappresentava una critica alle classi agiate che rinnegavano la loro cultura, atteggiandosi ad europei durante il periodo della Rivoluzione Messicana.



Proprio uno di questi scheletri ci accoglie all’ingresso del caratteristico ristorante che sfoggia file di drappi colorati al soffitto e qui, oltre all’ottima carne, Porfirio ci fa assaggiare il famigerato peperoncino verde messicano Jalapeno, devo dire molto buono e per dessert alcuni dolci fichi d’India. Il nostro pasto è poi allietato da una ballerina in costume Azteco e da un suonatore di tamburi. A proposito degli antichi abitanti del luogo, ci attende ora una delle visite più attese: il sito archeologico di Teotihuacan. All’ingresso, in un negozietto, compriamo i sombreri ( qui più simili ai cappelli Panama ), necessari secondo Porfirio a riparaci dal potente sole pomeridiano. La nostra guida ci rivela che quando arrivarono gli spagnoli qui trovarono una città abbandonata da 750 anni, un mistero ancora oggi non risolto dagli archeologi.
Purtroppo non esiste alcuna documentazione scritta che permetta di conoscere la storia di Teotihuacan. Ciò che sappiamo lo abbiamo appreso decifrando la scrittura Maya o dai glifi che ornano i monumenti, anche se non tutti sono stati ancora compresi. Secondo alcuni studiosi non esiste una scrittura di questa civiltà, altri invece ritengono che possa essere andata perduta perché su materiali deperibili, come la carta. Per di più nulla si sa della lingua parlata. Tuttavia sembra che ci siano molte assonanze con quella degli Aztechi. Secondo alcuni archeologi, i fondatori di questa città furono i sopravvissuti all’eruzione del vulcano Xitle, che devastò Cuicuilco, un’altra famosa città-stato dell’epoca. Teotihuacán sorse dalle sue ceneri e i suoi fondatori la costruirono per adorare gli dei e quindi salvarsi da un’altra catastrofe.



Seguiamo Porfirio alla ricerca di un po’ di ombra tra gli antichi edifici. Egli continua nelle spiegazioni. Teotihuacan è innanzitutto un sito astronomico: le posizioni dei templi, delle strade e di alcune pietre indicavano in quali giorni il sole è esattamente perpendicolare, le lunazioni e tanti altri fenomeni celesti, la cui corretta previsione ed interpretazione era necessaria per sapere quando stavano per arrivare le piogge e quindi i momenti della semina e del raccolto. Il rischio altrimenti per la popolazione era quello di morire di fame…Continuiamo il nostro giro tra i cunicoli e le basse case scolpite. Le piramidi e le altre strutture architettoniche sono arricchite da decorazioni in pietra e pitture, che rappresentano un complesso mondo mitologico costituito da giaguari, serpenti piumati, uccelli, conchiglie e molto altro legato al mondo dell’acqua.
Troviamo raffigurato in particolare il giaguaro, uno degli animali simbolo della cultura mesoamericana, il cui ruggito viene continuamente simulato dai venditori ambulanti con un apposito strumento. Saliamo una scalinata e ci appaiono improvvisamente in una grande spianata e in tutta la loro magnificenza il tempio del Sole e della Luna, è d’obbligo una foto di gruppo! Chi può si protegge dal sole e dal vento con cappellino occhiali scuri e bandana. Porfirio non ha ancora terminato: la città raggiunge il culmine del suo splendore nel periodo compreso tra il 150 e il 450 d.C.,quando diventa il centro di un’importante cultura che, in America Centrale, esercita un potere e un’influenza paragonabili a quelli dell’antica Roma. Dopo la sua misteriosa caduta le popolazioni che si insediano nella città rimangono talmente impressionate dalla grandezza delle rovine da credere che lì si fossero sacrificati gli dei, per permettere l’inizio di una nuova era. Sono gli Aztechi a chiamarla Teotihuacan “la città dove nascono gli dei” e a dedicare al Sole e alla Luna le piramidi più grandi della città.



Scendiamo a questo punto al lunghissimo e scenografico Viale dei morti che secondo recenti studi è allineato con la piramide della Luna ed il vulcano El Xihuingo in lontananza. Proprio qui ci racconta Porfirio, una ventina di anni fa aveva accompagnato l’archeoastronomo italiano Giuliano Romano che stava compiendo ricerche in quest’area. Qui Romano scoprì l’allineamento tra il Viale dei morti e la costellazione dell’Orsa Maggiore, che alla mezzanotte del 29 Aprile si proietta esattamente sul cratere del vulcano. L’orientazione della strada coincide poi con il punto in cui il sole tramonta il 19 maggio e il 25 luglio, date astronomicamente importanti, con il Sole allo zenit a mezzogiorno. Dal lato opposto il 25 Luglio si può scorgere invece nel crepuscolo mattutino l’ammasso stellare delle Pleiadi, nella cosiddetta levata eliaca.
Inoltre lo scienziato Stansbury Hogar ipotizzò, in maniera convincente, che il Viale dei Morti avesse anche un altro significato e cioè quello di rappresentare la strada che conduceva i defunti al regno ultraterreno, una strada in realtà specchio della Via Lattea sulla Terra. Tutto il gruppo ascolta affascinato le parole della nostra guida mentre camminiamo lungo il Viale, a quest’ora siamo praticamente gli unici a visitare il luogo, si ode solo il rumore del vento che sibila tra le antiche pietre e quello dei nostri passi in direzione dell’enorme piramide della Luna. Quindi non si sa nulla sulla fine che fatto la civiltà di Teotihuacan? Chiediamo. Ebbene, le cause della caduta della città sono ancora oggi un enigma non risolto, ci risponde. Forse un repentino cambiamento climatico con conseguenti carestie, invasioni di altre popolazioni oppure una serie di rivolte interne alla società teotihuacana. Molto tempo dopo i conquistadores spagnoli trovarono Teotihuacan in stato di completo abbandono, ricoperta di detriti, terra e vegetazione.



Con questi misteri torniamo al pulmino che ci porta in un vicino negozio di gioielli e manufatti soprattutto in oro. Qui una gentile inserviente ci accoglie nell’ampio cortile che precede il negozio e ci mostra una gigantesca pianta di Agave, le cui foglie sono state utilizzate dai numerosi popoli indigeni come fonte di cibo, medicinale, combustibile, alimento per animali, concime, materiale per costruzione, fibra, decorazione e molto altro. Subito dopo ci vengono mostrati svariati minerali ( turchese, acquamarina, agata rossa, ametista) e pietre di ossidiana nera, color caffè e arcobaleno, tipiche di una valle alluvionale dominata da vulcani attivi. In passato gli Aztechi la usavano per ottenere punte di frecce, coltelli e rasoi. Siamo raggiunti da alcuni cani Xoloitzcuintle, il cane nudo messicano di origine antichissima, che scodinzolano accanto a noi. Entriamo quindi nel negozio per un liquore di benvenuto, alcuni bicchierini di tequila e di Mexcal, la famosa tequila col verme, che a differenza di quella “normale” si produce solo con la parte centrale dell’agave e in cui viene messa una larva di coleottero con poteri magici e di buona fortuna.


Torniamo quindi in centro a Città del Messico, passando sotto alla funivia urbana più lunga al mondo, per una visita alla Basilica della Madonna di Guadalupe, un importante santuario cattolico meta ogni anno di circa 20 milioni di pellegrini che giungono prevalentemente da tutto il Centro e Sud America. Si trova sul Monte Tepeyac, a nord del centro storico ed il santuario si compone di due edifici posti su un grande piazzale: la Basilica di Santa Maria di Guadalupe, ovvero la chiesa principale, sostituita da una grande struttura moderna nel 1976 ed il Tempio espiatorio del Cristo Re, più antica,che ci appaiono al tramonto contornati da una vivida ombra della Terra.
Il Santuario venne costruito qui, ci dice Porfirio, per ricordare le apparizioni della Vergine di Guadalupe, ora Patrona dell’intera America Latina, a Juan Diego Cuauhtlatoatzin, uno dei primi aztechi convertiti al cristianesimo. Entriamo nella a Basilica, un luogo di grande misticismo e spiritualità in cui un enorme e moderno organo a canne fa da sfondo ad un coro che accompagna una messa seguita da numerosi fedeli. Le apparizioni sono avvenute tra il 9 e il 12 dicembre 1531 proprio su questa collina: una Madonna con le fattezze di una giovane meticcia, dalla pelle scura e i capelli neri, diversa dall’iconografia tradizionale, ha impresso la sua immagine miracolosamente sul mantello indossato dall’uomo, la cosiddetta Tilma.




Esaminata nel dettaglio, continua Porfirio, oggi la Tilma presenta tutta una serie di misteri inspiegabili scientificamente. E’ costituita da due teli di fibre d’agave cuciti con un filo sottile e come nel caso della Sacra Sindone, non risulta dipinta né c’è traccia di pigmenti di nessun tipo, nè minerali nè vegetali nè animali. L’immagine appare cioè come incorporata nella trama del tessuto e non posta sopra. Esami oftalmologici giungono addirittura alla conclusione che l’occhio della Madonna sembra vivo, ivi inclusa la retina in cui si riflette l’immagine di un uomo con le mani aperte che ha tutte le sembianze di Juan Diego…
Naturalmente queste affermazioni vanno prese con le dovute cautele, ma Porfirio è assolutamente convinto, anzi ci parla di un altro miracolo. Sempre all’interno della chiesa ci mostra uno strano crocifisso di metallo deformato dentro ad una teca di vetro, noto come “il Santo Cristo dell’Attentato”. Il 14 Novembre del 1921, ci spiega, un uomo sconosciuto, con il pretesto di depositare un mazzo di fiori si avvicinò all’altare e pose la sua offerta davanti alla venerata immagine della Madonna. Verso le 10:30 del mattino esplose una bomba dinamitarda nascosta tra i fiori. L’esplosione danneggiò i gradini dell’altare, fatti di marmo, i candelabri di ottone e il Crocifisso che fu contorto dall’energia sprigionata dalla bomba. Ma il vetro del dipinto che proteggeva l’immagine della Vergine di Guadalupe non si ruppe. Da allora i fedeli hanno iniziato a venerare questa crocifisso in modo speciale, quasi che Gesù abbia voluto difendere sua Madre.



Andiamo quindi a vedere da vicino anche noi la famosa Tilma che si trova ad un piano inferiore appesa ad una parete sopra ad un tapis roulant. Questo evita che le persone si fermino troppo e si formi una pericolosa calca. Un solerte guardiano ricorda a Porfirio la procedura ed egli stizzito gli risponde che sono 30 anni che accompagna gruppi qui e sa bene come funziona… Una rapida occhiata alla preziosa reliquia e ritorniamo in hotel per la cena, scortati da una sottilissima falce di Luna al tramonto.

10 Aprile
Il mattino dopo siamo in aeroporto per prendere il volo per Tuxtla Gutierrez, la nostra prossima meta, ma Ferruccio fatica a salire a bordo dopo aver perso la carta d’imbarco e solo col provvidenziale aiuto di Alberto e di Porfirio che viene richiamato in aeroporto la cosa si risolve. Salutiamo e ringraziamo la nostra guida che è stata veramente una miniera di informazioni, un personaggio che ricorderemo.
Voliamo questa volta con Aeromexico e sono seduto proprio vicino ad Alberto che mi ricorda con dovizia di particolari che il nostro aereo è un Boeing 737 Max, famoso per aver avuto 2 gravissimi incidenti con 346 morti tra il 2018 e 2019 e messo a terra per 20 mesi per problemi tecnici. Qualche scongiuro è d’obbligo, ma fortunatamente atterriamo sani e salvi all’aeroporto di destinazione in cui facciamo conoscenza con la nostra nuova guida Fernando, un buon uomo gentile e premuroso. Saliamo sul pulmino e la nostra prima sosta è Chiapa del Corzo, 70 km ad ovest di San Cristobal de las Casas, per la prevista visita a bordo di lance dell’impressionante canyon del Sumidero, una gigantesca fenditura tra le montagne che si snoda lungo il corso del Rio Grijlva per 30 km. In alcuni punti, ci dice Fernando, le pareti verticali arrivano a superare l’altezza di ben 1000 metri, offrendo così uno spettacolo davvero mozzafiato.




Ci sistemiamo quindi col salvagente su una lunga lancia a motore che prende ben presto velocità volando rumorosamente quasi a pelo d’acqua. Quasi subito avvistiamo un’iguana verde, cormorani appollaiati su piccoli isolotti e caratteristici cactus appesi alle pareti a strapiombo. La velocità aumenta ancora con la prua azzurra che sembra decollare, fatichiamo a tenere i cappelli sulla testa fino alla prima sosta, finalmente in un pacifico silenzio e a motore spento. Il barcaiolo ci mostra l’altura da cui si buttarono gli indios per sfuggire ai conquistadores preferendo alla schiavitù la morte, con un salto di oltre 1000 m. La spiegazione si conclude con la richiesta della mancia, che verrà sollecitata a più riprese durante l’escursione, ma per il momento facciamo finta di nulla.
Nuova sosta per ammirare qualche scimmia ragno che pende con la coda prensile dai rami di un albero e poi in successione coccodrilli di fiume, alligatori che dormono sul bagnasciuga e qualche avvoltoio che volteggia sopra le lance. Notevoli anche le formazioni geologiche lungo il percorso, come la grotta dei colori, all’interno della quale si trova una statua dedicata alla Vergine di Guadalupe e l’Árbol de Navidad, una parete di roccia e muschio che assomiglia a un albero di Natale. Nel periodo delle piogge intense dall’albero scende una spettacolare cascata alta 800 metri.




Il tour si conclude in una valle soleggiata, nel bacino idroelettrico Chicoasèn, sbarrato da un’imponente diga, qui la mancia viene richiesta con più fermezza e non possiamo esimerci se vogliamo tornare indietro. Alla piccola darsena ritroviamo Fernando che ci attende sotto un gigantesco albero di Mango e riprendiamo la strada che ci porterà a San Cristobal, la capitale del Chiapas , salendo una strada di montagna che supera i 2000 m. Finora non abbiamo certo sofferto il caldo, la cosa sarà diversa i prossimi giorni quando entreremo nello Yucatan e nella giungla…
Eccoci dunque nella caratteristica cittadina di San Cristobal, posiamo i bagagli al nostro bell’hotel Sombra del Agua, un’antica residenza coloniale dei primi del 900 con splendido giardino e camere silenziose e inizia a piovigginare. Il tempo di una doccia e siamo pronti per andare a cena seguendo Fernando in una passeggiata nel centro storico.
Ha smesso di piovere ma fa comunque fresco, attraversiamo la stupenda Plaza 31 de Marzo circondata da case di stampo coloniale colorate in tonalità pastello e da lì nel cielo dell’imbrunire Ferruccio avvista bassa sull’orizzonte la stella Canopo, che dalle latitudini italiane è impossibile vedere. Percorrendo stradine vivaci con antiche locande, moderni caffè e venditori ambulanti, arriviamo al nostro caratteristico ristorante che ci offre anche stasera ottima carne alla brace servita con salsine verdi chimichurri e accompagnata da un buon vino messicano, che Marco apprezza in modo particolare.



Una volta tornati in camera, pubblichiamo su Facebook le foto dell’eclisse a Mazatlan ( Ferruccio si conferma ancora un valente astrofotografo) e notiamo che diversi amici astrofili purtroppo a causa delle avverse condizioni meteo non sono riusciti a vedere nulla, mentre altri, come Davide Andreani, Diego Bonata e Fabrizio Melandri, hanno dovuto fare quasi 700 km dal sito inizialmente previsto, per trovare il sereno. Molti dal Texas sono andati fino in Arkansas e Illinois! Nel frattempo monto il telescopio Dobson da 25 cm fresco di restauro, che anche stavolta mi ha accompagnato, sperando di riuscire ad utilizzarlo le prossime sere, meteo permettendo.
Foto di Diego Bonata
Foto di Diego Bonata
Foto di Diego Bonata
Foto di Fabrizio Melandri

Foto di Fabrizio Melandri
11 Aprile
Il mattino ci accoglie con una bella giornata di sole, facciamo colazione nella sala accanto al giardino fiorito e attendiamo Fernando che ci porterà a visitare la città. Cominciamo con il mercato, che rappresenta il fulcro di san Cristobal, con le sue merci coloratissime, scarpe, camicie, foulard e artigianato locale di tutti i tipi. Poco distante ecco la chiesa di Santo Domingo, la più importante della città, con una facciata spettacolare in stile barocco, in cui si nota anche l’aquila degli Asburgo, i regnanti spagnoli di quel periodo e con l’interno arricchito da pregevoli stucchi dorati.










Saliamo quindi sul pulmino per visitare le comunità indigene di San Juan Camula e Zinacantan. Il primo villaggio è preceduto da un piccolo cimitero in cui un cane sta vegliando sulla tomba del padrone, un’immagine commovente. Lì vicino si trova la chiesa principale, ornata da croci verdi e foglie di palme e Fernando si raccomanda di non fotografare o filmare all’interno pena il sequestro del telefono e una multa salata. Qui vige un sincretismo religioso molto sentito e bisogna rispettare le tradizioni locali. A Chamula come negli altri villaggi della zona la popolazione è ancora molto legata alle antiche tradizioni precolombiane, parla una lingua maya, ha un proprio governo e pratiche religiose molto locali. Entriamo, l’interno è molto buio, la luce filtra debole e trasversale da una vetrata e i pochi raggi illuminano per terra un compatto tappeto di aghi di pino che emana un intenso profumo.
Sentiamo inoltre un brusio di sottofondo che interrompe il silenzio reverenziale del luogo sacro. Gli uomini e le donne chamula avanzano consumando bevande gassate che favoriscono l’eruttazione, che rientra tra le pratiche locali volte all’espiazione dei peccati…
Appoggiate per terra assieme a lattine e bottiglie vuote ci sono anche molte candele accese lunghe e sottili, pericolosamente vicine agli aghi di pino… All’uscita un’anziana chiede l’elemosina a Ferruccio che allarga le braccia e la congeda con un desolato “Purtroppos…” che scatena l’ilarità del gruppo. Perfino all’anziana indigena scappa una risata! Il tempo di notare la nostra ombra corta proiettata dal sole quasi allo zenit, che Fernando ci accompagna al secondo villaggio, quello di Zinacantàn.







Qui visitiamo la Chiesa in stile coloniale di San Lorenzo, consacrata al patrono della città. La chiesa fu distrutta da un incendio e ricostruita nel 1975, l’interno è più spazioso e luminoso di quella precedente ma anche qui non mancano canti, lamenti e preghiere. All’uscita Fernando ci racconta che per la popolazione locale una delle attività economiche più importanti è la tessitura. Visitando il villaggio troviamo infatti tanti negozietti e laboratori dove si vendono e si realizzano stoffe per la produzione di tovaglie, copriletti, cuscini ecc.
E’ prevista proprio la visita di una di queste casa/tienda, in cui il nostro gruppo si sparpaglia saggiando la qualità dei tessuti e ascoltando le spiegazioni del proprietario. Pranziamo di ritorno a San Cristobal in un altro bel ristorante in cui si presenta il titolare dell’agenzia Alamos Travel il tour operator locale a cui si è appoggiata Gattinoni, che si compiace dell’avvenuta osservazione dell’eclisse e del buon andamento del viaggio. Subito dopo è la volta di un negozio di ambra.


Nota anche come ambra messicana in quanto rappresenta il 90% dell’ambra estratta dai depositi del Messico, era utilizzata già ai tempi dei Maya. L’età stimata delle pietre in vendita è dell’ordine dei 24-30 milioni di anni e risale perciò ad un periodo compreso fra la fine dell’Oligocene e l’inizio del Miocene. Sonnecchiamo un po’ sui comodi divani che si prestano ad un’ottima siesta mentre l’avventore cerca di attirare la nostra attenzione passandoci di mano in mano preziosi manufatti. Ma la stanchezza si fa sentire e Il resto del pomeriggio lo passiamo riposando in hotel, il viaggio è ancora lungo e dobbiamo ricuperare un po’ di energie. La sera abbiamo la cena libera e ci dividiamo tra vari ristoranti in una piazzetta interna ad una strada del centro, io assieme a Maria, Ferruccio, Esther, Antonio, Andrea e Claudio scegliamo la pizza, che si rivelerà non male.

12 Aprile
Prima dell’alba partiamo per Palenque, una lunga traversata che ci impegnerà buona parte della giornata. All’inizio saliamo una strada di montagna fino a superare i 2000m, poi il pulmino imbocca la discesa lunga e tortuosa verso l’umida pianura del Chiapas. La strada oltre che piena di curve è anche tempestata di temibili topes, robusti dossi in cemento che obbligano a rallentare e a procedere a passo d’uomo per lunghi tratti e che Andrea tenta meticolosamente di contare.
Un’altra complicazione consiste poi in bambini e finti poliziotti piazzati con una corda tesa da un lato all’altro della strada e chiodi, che fermano le macchine cercando di vendere qualcosa o chiedendo un dazio. Fernando ci aveva avvisato che avremmo potuto incontrarli, ma fortunatamente la cosa si risolve con un piccolo obolo da parte del nostro autista, destinato secondo loro a…costruire altri dossi! Tutto ciò alla fine ci farà impiegare quasi cinque ore per percorrere poco più di duecento chilometri.



Man mano che procediamo, la giungla diventa sempre più fitta e il clima più umido e afoso. Ci fermiamo per una rapida colazione presso un chiosco verdeggiante di un hotel, in cui Alberto e Marco non mancano di organizzare per il gruppo un po’ anchilosato dai sobbalzi, il consueto risveglio muscolare.
Alberto ha organizzato anche un karaoke col suo stereo e quiz musicali dagli anni 50’ in poi, che tengono impegnata la comitiva per il resto del viaggio. Una cosa molto apprezzata da Maria che dal retro del pulmino intona “Figli delle stelle” ed altre hit, mentre Ferruccio dorme profondamente. Con Davide si parla invece di astronautica e delle mirabolanti imprese di SpaceX che sta testando Starship, l’astronave del futuro, che porterà l’uomo di nuovo sulla Luna e poi su Marte e oltre! Dopo aver attraversato immense coltivazioni di mais, facciamo sosta come da programma alle meravigliose cascate di Agua Azul.
Simili a quelle di Plitvice o Krka in Croazia sono una serie di cascate bianche e spumose che si riversano in ruscelli e stagni color turchese, il tutto avvolto dal verde intenso della foresta tropicale. Il posto è di grande bellezza, un incanto davvero unico, non è un caso se questo sito naturale sia uno dei più visitati del Paese ci dice Fernando. A formare le cascate è il fiume Xanil ma quello che rende davvero speciale questo sito è il colore azzurro intenso dell’acqua, che scorre tuffandosi di conca in conca, in pozze collegate le une alle altre.
Superata la prima “spiaggia” dove l’acqua è più tranquilla saliamo ad un punto panoramico sul grande balzo della cascata principale che raggiunge i sei metri d’altezza e che diventa lo scenario ideale per selfie e foto di gruppo. Di fianco ai ruscelli e alle pozze si snodano sentierini in salita con bancarelle di ogni genere che percorriamo per trovare altri punti d’interesse.





A conferire il colore sgargiante di queste acque sono le particelle calcaree sul letto del fiume, l’alto contenuto di carbonato di calcio contribuisce inoltre a creare una sorta di dighe naturali formate da depositi calcarei. Qui l’acqua diventa sufficientemente bassa da formare piccole piscine nelle quali è possibile fare il bagno e naturalmente il nostro gruppo non si lascia sfuggire questa opportunità.
Alberto, Marco e Donatella trovano una conca isolata priva di turisti risalendo un sentiero nella foresta che ci racconteranno come un luogo paradisiaco. Ferruccio, Anna, Teresa, Antonio e Arianna preferiscono invece la spiaggia vicino all’ingresso.



A pranzo mangiamo pesce nel chiosco che precede le cascate e poco dopo giungiamo al nostro bellissimo residence nella giungla previsto per il pernottamento: l’hotel villa Mercedes a Palenque. Il posto è veramente magnifico con un simpatico pappagallo che ci da il benvenuto alla reception, una bella piscina e bungalows immersi nei fiori e nella vegetazione. Ci sono pure i cartelli “attenzione caduta manghi”! Il gruppo si rilassa dopo la giornata decisamente impegnativa chi in piscina e chi a fare un corroborante massaggio nella Spa. Ci diamo appuntamento per cena mentre Fernando si informa dalla direzione se è possibile spegnere le luci in un’area del residence per le osservazioni serali col telescopio. Io e Ferruccio facciamo anche un sopralluogo, l’orizzonte del luogo prescelto è sufficientemente sgombro e basterà spegnere qualche lampioncino per rendere fattibili le osservazioni.








Ci sinceriamo intanto sulle condizioni di Antonio di Roma che non sta troppo bene e viene preso in consegna ancora una volta da Maria. “Si fanno osservazioni?” Mi chiede Antonio con poca convinzione. Tranquillo Antonio, gli rispondo, l’importante adesso è che tu ti riprenda. La cena viene servita in un’ampia sala con vetrate panoramiche da cui notiamo purtroppo un meteo non molto collaborativo, con andirivieni di nuvole che rendono impossibili le sospirate osservazioni astronomiche…
13 Aprile
Dopo colazione, con Antonio in netta ripresa, lasciamo il nostro residence e ci apprestiamo a visitare il famoso sito archeologico Maya di Palenque, particolarmente affascinante poichè circondato da una giungla lussureggiante. La prima impressione arrivati al sito è proprio quella di una natura selvaggia che ha voluto riconquistare i propri spazi, tentando di seppellire i resti di questa antica civiltà.
Il primo tempio, quello della Regina Rossa ci appare tra i cespugli e i fiori coloratissimi su cui volteggiano velocissimi colibrì. Il caldo si fa sentire, Fernando si sventola con la cartellina di foto e appunti ed inizia a raccontarci la storia di questo luogo. Si pensa che Palenque sia stata abitata per la prima volta intorno al 100 a.C, fu però a partire dal VII secolo d.C. che la città ebbe il massimo sviluppo, sotto il governo di Pakal il Grande. Durante il suo regno, tra il 615 e il 683 d.C., Pakal costruì molte delle strutture più imponenti di Palenque, spesso considerate tra le più importanti dell’architettura Maya. Nel 900 d.C. la città era però già stata abbandonata, gli spagnoli le dedicarono poca attenzione e solo negli anni Trenta del XIX secolo le rovine cominciarono ad essere prese in considerazione e a rivelare i propri tesori.






La “Regina Rossa”, probabilmente la moglie di Pakal, riposava in una camera segreta ritrovata in maniera un po’ fortunosa negli anni 90, indossava una maschera di giada, collane, cavigliere e gioielli di ossidiana. Ciò che ha dato il nome a questa piramide è però la polvere rossa di cinabro trovata sulla tomba e all’interno del sarcofago, una pratica frequente nelle sepolture Maya.
Ci arrampichiamo sugli alti gradoni della piramide per entrare a vedere da vicino la camera funeraria della regina. Il sarcofago di pietra ora però è vuoto, la regina infatti è stata spostata al museo di Palenque per preservarla dall’umidità della zona. Di fianco, sorge il Templo de las Inscripciones, la piramide più grande del sito: al suo interno si trovano iscrizioni che forniscono importanti informazioni riguardo alle vicende dell’antica cittadina, senza dimenticare poi che custodisce il misterioso sarcofago di Pakal, di cui si può vedere una copia presso il museo archeologico. Qui il discorso si fa interessante . Sulla pietra circolare posta sul sarcofago, si nota una figura umana in una posa che ricorda quella di un viaggiatore spaziale intento a pilotare un veicolo a razzo. L’uomo sembra impugnare i comandi di guida e nella parte posteriore del veicolo compare una struttura (un motore?) da cui fuoriescono quelle che appaiono fiamme. Altri dettagli suggeriscono la presenza di un sedile, di un apparato di respirazione e di una struttura esterna affusolata che ben si concilia con l’aspetto di un veicolo a razzo. Addirittura c’è chi vede anche cannoni che sparano ad un asteroide in arrivo!





L’immagine è stata portata all’attenzione del pubblico dallo scrittore Erich von Däniken, che l’ha interpretata come una testimonianza della visita all’umanità da parte di viaggiatori extraterrestri! Secondo le teorie dello scrittore, riprese ed ampliate anche in Italia da Peter Kolosimo, gli antichi contatti con civiltà aliene avrebbero lasciato traccia in alcuni manufatti, dei quali la pietra di Palenque costituirebbe uno degli esempi più convincenti. Nonostante l’aspetto della pietra tombale, in sé piuttosto sorprendente, von Däniken si ferma però all’interpretazione che deriva dalle prime sensazioni, tralasciando di approfondire gli aspetti più importanti. Nel contesto dell’arte Maya, tali figure rappresentano in realtà il “Mostro della Terra” (un guardiano degli inferi), scambiato per la parte inferiore dell’astronave, un oggetto a forma di croce (che probabilmente raffigura una pianta di mais), un uccello Quetzal (un simbolo solare ad indicare la sorgente della vita), un serpente piumato e altro ancora. Si suppone quindi che la scena sulla pietra ritragga in realtà il re raffigurato al momento della morte, durante il passaggio fra il mondo dei vivi e l’aldilà dove vivrà in eterno.
Non potremo tuttavia entrare nella piramide e vedere da vicino la pietra poiché in restauro da alcuni anni e ci avviciniamo allora a Fernando per vedere da vicino la fotografia che la ritrae. Attraversiamo la grande piazza centrale passando di fianco ad un albero con un gigantesco termitaio e al Palacio del Re dove Fernando ci fa notare una vasca di pietra che, ai tempi riempita d’acqua, serviva per osservare le stelle che vi si riflettevano. Una cosa simile l’avevo vista anche a Machu Picchu nel 2013.
In un’atmosfera tranquilla e rilassata, Fernando riprende le spiegazioni: vale la pena ricordare che tutto a Palenque è stato costruito senza strumenti metallici, animali da soma o ruote! Ogni struttura di Palenque è ornata e riccamente decorata, con iscrizioni che raccontano la storia della città. Prendiamo un sentiero in salita che anche Antonio di Roma decide coraggiosamente di percorrere, per arrivare ad altri 3 templi scenografici all’interno di una piazza più piccola: Il Tempio del Sole, della Croce e della Croce Fiorita. Saliamo sul primo sotto il sole cocente e dalla cima della piramide siamo ripagati da una vista superlativa sugli altri templi e su tutta l’area archeologica. Da quassù appare chiaro come solo il 10% del complesso sia stato portato alla luce, vediamo infatti spuntare qua e là edifici e piramidi semisommerse dalla vegetazione, è il momento di un’altra significativa foto di gruppo.




Un po’ più lontano si nota anche un palazzo con una torretta, un osservatorio astronomico, che ribadisce l’importanza dell’astronomia per le popolazioni mesoamericane. Rimaniamo un po’ in contemplazione poi è il momento di ritornare, abbiamo ancora molta strada da fare per arrivare a Campeche, la cittadina in cui pernotteremo, che si trova nella regione di Tabasco. Vediamo velocemente altri edifici in cui scorrazzano grosse iguane, poi risaliamo sul pulmino. Fernando durante il viaggio ci mostra sulla tv del nostro mezzo un interessante film in italiano sulla vita della pittrice messicana Frida Kahlo che dura giusto il tempo per arrivare a pranzo in un ristorante decisamente affollato, che mette a disposizione dei turisti alcuni grandi sombreri per foto pittoresche. Arriviamo in serata a Campeche, città fortificata chiusa da torri e muraglie, che conserva un forte sapore coloniale e al nostro hotel Francis Drake, dove salutiamo Fernando che purtroppo deve rientrare velocemente a casa poiché la moglie ha avuto un leggero infortunio.





Lo ringraziamo per la disponibilità e le spiegazioni e prima di lasciarci ci da qualche dritta per la cena, che effettuiamo in un ristorante in centro a base di camarones e altri frutti di mare, allietati dalla musica di due anziani Mariachi , molto bravi a dire il vero. Una passeggiata sul lungo mare, il Malecon, che costeggia il golfo del Messico in cui vediamo riflettersi uno spicchio di Luna e qualche stella come Sirio e Canopo, poi un rapido passaggio nella piazza centrale su cui si affaccia la Catedral de la Conception Imaculada, la grande cattedrale di Campeche e cala infine il sipario sulla lunga e impegnativa giornata.






14 Aprile



Dopo colazione, facciamo conoscenza con la nostra nuova guida Miguel, un omino gentile, basso e tarchiato, che ci conduce in pulmino alla nostra prima meta della giornata, il sito archeologico Maya di Uxmal, un complesso fondato e completato tra il 600 e il 950 d.C, ricco di templi, piramidi e splendidi palazzi con facciate decorate e meravigliosi fregi.
Miguel ci spiega che questo è anche uno dei siti meglio conservati. Il nome Uxmal ha un’etimologia controversa e, secondo la tesi più accreditata, significherebbe nella lingua maya, tre volte ricostruita ma anche regione di raccolti abbondanti. In seguito a un lungo periodo di siccità, venne però abbandonata intorno al 900 d.C. Si pensa che nel periodo di maggiore splendore la popolazione potesse superare i venticinquemila abitanti.


Proprio all’ingresso del sito, in un cielo limpidissimo, ci appare la “Piramide dell’Indovino”, l’unico tempio a base ellittica della civiltà maya, una costruzione dalla forma ovale alta 30 metri con una ripida scalinata con tre rampe che porta alla “casa dell’indovino” dove si trova la maschera della divinità Chaac, il dio della pioggia. Proprio la forte siccità di questa zona ha fatto sì che fiorisse qui il culto di Chaac, che i sacerdoti invocavano attraverso riti tradizionali. Le rare piogge venivano poi raccolte in cisterne, una delle quali ancora funzionante oggi. Miguel prosegue mentre giriamo attorno a questo grande tempio: alcune leggende raccontano che la sua costruzione sarebbe avvenuta in una notte per opera di un nano diventato poi il re.
Passeggiando tra le rovine in un’atmosfera mistica e ancestrale si arriva in un ampio spazio attorniato da una serie di edifici, il “Quadrilatero delle monache” , chiamato così perché assomiglia a un convento. In realtà questi edifici con piccole stanze ricoperte di intonaco erano usate come abitazione e si pensa che questo fosse un centro di studi astronomici. Passando accanto agli edifici si possono ammirare belle decorazioni con elementi geometrici, molti a forma di grata, sui quali spicca la divinità con le sembianze di serpente. A proposito di rettili, molte iguane prendono il sole tra le antiche pietre e ci guardano con attenzione.





Miguel ci porta poi al “campo della pelota”un quadrilatero erboso con le due tribune laterali, purtroppo parecchio danneggiate dal tempo, dove si vedono molto bene gli anelli in pietra nei quali facevano passare la palla durante il gioco e la scultura di un lungo serpente a sonagli. Miguel ci spiega che era un gioco particolarmente seguito e che si concludeva secondo alcuni archeologi con il sacrificio del capitano della squadra sconfitta. Per altri, al contrario, era il capitano dei vincitori ad avere l’immenso onore di offrirsi in sacrificio. Miguel ci fa poi sentire il caratteristico eco dovuto alla geometria del luogo battendo le mani e gridando qualche parola che viene ripetuta perfettamente.




Il caldo induce a riposarci un po’ sotto un grande albero di Kapok, sacro per i Maya, poi l’ultima tappa sulla cima di una gradinata, Il “Palazzo del Governatore”, una delle strutture più importanti del sito, mantenutasi in ottimo stato di conservazione. Poggia su un’ampia piattaforma piramidale alta 18 metri ed è composto da tre edifici collegati fra loro da due grandi archi con raffigurazioni della nascita del pianeta Venere. A poca distanza si trova anche la “Piattaforma dei Giaguari”, un altare cerimoniale che rappresenta due giaguari uniti per il torace, con le due teste orientate rispettivamente a nord e a sud.
Arriva anche oggi il momento del pranzo che effettuiamo in un bel ristorante con una scalinata piena di fiori. La nostra attenzione è però rivolta all’interno del locale a piccoli dinosauri appesi alle pareti che ci ricordano quanto siamo vicini al cratere di Chixculub, che ogni appassionato di astronomia conosce molto bene per essere il risultato dell’impatto che 66 milioni di anni fa ha portato all’estinzione dei dinosauri!
Il gruppo vuole saperne di più ed io Ferruccio e Davide, raccontiamo ai meno esperti che nel 1980, i ricercatori Luis e Walter Álvarez pubblicarono un articolo in cui ipotizzavano che l’estinzione della maggior parte dei dinosauri, avvenuta 66 milioni di anni fa era stata innescata dall’impatto di un asteroide. La genesi di questa ipotesi avvenne tra l’altro in Italia, presso la Gola del Bottaccione, vicino a Gubbio, dove i due ricercatori studiarono un piccolo strato scuro tra le rocce. Proprio lì, nel cosiddetto limite K-T ( Cretaceo- Terziario), scoprirono che questo sottile strato di roccia era molto ricco in iridio, un elemento chimico presente nei nuclei dei pianeti, ma molto raro sulla superficie terrestre. In effetti l’iridio è un elemento pesante che nel momento in cui un pianeta si forma, finisce verso l’interno, verso il nucleo, mentre i composti meno densi salgono negli strati più esterni. Se ne trova anche sotto forma di polvere cosmica nello spazio interplanetario. Tuttavia gli Álvarez misurarono una quantità di iridio estremamente elevata nel limite K-T: da 20 a 160 volte più elevata rispetto a quella che si avrebbe con la sola polvere cosmica.


Considerando poi che lo strato di argilla è molto sottile, e quindi si è depositato in breve tempo, la possibilità sembra essere una sola: quell’iridio è stato portato da un impatto planetario. Ma il cratere dov’era? Già dagli anni ’50, la compagnia petrolifera messicana, la Pemex (Petróleos Mexicanos), scandagliando l’oceano nei dintorni della penisola dello Yucatán alla ricerca di pozzi petroliferi, aveva rilevato le tracce di una strana struttura circolare di circa 200 chilometri di diametro in profondità. Inizialmente la comunità scientifica fu più propensa a ritenerlo un grande cratere di origine vulcanica ma poi, in uno studio del 1991 guidato da Alan R. Hildebrand, per la prima volta venne dimostrato che quello di Chicxulub poteva essere un cratere da impatto.
Il cratere non è quasi per nulla visibile senza l’ausilio di tecniche particolare (come lo studio delle anomalie gravitazionali ), ci sono però nei dintorni molte rocce vetrificate, fuse dall’energia dell’impatto e poi raffreddate rapidamente; ci sono le tectiti, rocce liquefatte e schizzate via durante l’impatto poi ri-solidificate a forma di goccia. C’è anche una linea di “cenotes” (quei profondi pozzi circolari meta di turismo in Messico) che segue proprio il bordo del cratere che si trova sulla penisola sulla terraferma: l’impatto avrebbe indebolito la roccia innescando la formazione di queste strutture. Oggi il cratere si estende per lo più in mare, sepolto sotto 600 metri di sedimenti. La parte esposta, sulla terraferma, è ricoperta da rocce calcaree, ma se ne percepisce ancora il profilo come una successione di rilievi dalla forma arcuata.


Chiediamo a questo punto a Miguel se è possibile portarci a vedere il bordo del cratere ed egli annuisce, proprio qui a una quindicina di km c’è un’altura da cui si può osservare in lontananza un largo anello di colline, proprio quello che stiamo cercando, un’occasione unica! Il pulmino si ferma presso una sorta di centro ricreativo/farm, con soprammobili e chincaglieria in vendita e che offre un punto panoramico, una sorta di piedistallo da cui possiamo ammirare in tutta la sua estensione il bordo del cratere sulla superficie.
Fa una certa impressione trovarsi così vicini al punto d’impatto dell’asteroide…proviamo ad immaginarci cosa devono aver visto i dinosauri proprio qui 66 milioni di anni fa… Facciamo un buon numero di foto e riprese per documentare lo storico luogo e riprendiamo le spiegazioni quasi a trovarci in una trasmissione di Piero o Alberto Angela ( quest’ultimo tra l’altro ho avuto l’occasione di incontrarlo a Ferrara in Febbraio mentre stava girando una puntata di Ulisse!). L’asteroide di Chicxulub dunque, doveva avere 10 chilometri di diametro, una dimensione sufficiente per innescare un cataclisma globale. L’impatto fu seguito da un enorme terremoto di magnitudo 10, accompagnato da uno tsunami con onde alte centinaia di metri che raggiunsero anche le coste della California e del Texas. Alcuni modelli ci dicono inoltre che l’asteroide potrebbe aver impattato con un angolo tra i 45 e i 60 gradi, quello peggiore per un impatto, perché causa l’estrazione di moltissimo materiale dalle rocce sotterranee.

L’asteroide avrebbe quindi sollevato moltissima polvere in grado di avvolgere l’intero pianeta per mesi, creando un raffreddamento globale e una riduzione della luce solare. Le piante, che su questa risorsa basano la loro sopravvivenza, sarebbero allora morte in larga parte e di conseguenza gli erbivori ed i carnivori che si cibavano di loro. Tutto ciò ci rammenta l’importanza dello studio e del monitoraggio degli asteroidi e delle strategie per deviarli da orbite pericolose.

Riprendiamo il nostro cammino fino ad affacciarci al Golfo del Messico al tramonto. La tabella di marcia ogni giorno è sempre piuttosto intensa e accogliamo con piacere l’arrivo a Merida, capitale dello stato dello Yucatan e nostra meta finale per oggi. Il pulmino compie un breve giro nel centro storico, un anello attorno alla piazza principale e Miguel prende il microfono per spiegarci che Merida è’ detta anche la città bianca, per i suoi edifici coloniali in stile francese, italiano e arabo, che testimoniano una ricchezza passata, dovuta al commercio delle fibre di agave. Molti degli edifici che si trovano qui, compresi quelli che si affacciano sulla Plaza Mayor, furono costruiti durante il periodo coloniale tra il XVIII e il XIX secolo, tra cui la Catedral de San Ildefonso, la più antica dell’intero continente.
Ma eccoci al nostro hotel la “Casa del Balam”, anche in questo caso con ampio giardino e camere confortevoli. Questa sera ceneremo qui, perché l’idea è quella di uscire più tardi per le osservazioni astronomiche.

Il cielo è limpido e abbiamo chiesto al nostro autista di portarci nientemeno che a Chicxulub, la località in cui è caduto l’asteroide, che dista una trentina di km da Merida! I partecipanti all’uscita serale saranno oltre al sottoscritto e Ferruccio, Esther, Andrea, Maria, Davide, Antonio, Arianna, Claudio e Antonio di Roma. Prepariamo la strumentazione, Dobson compreso, ma la cena è estremamente lenta e solo attorno alle 21.30 riusciamo a partire con il pulmino del nostro autista Abdias. Abbandonate le luci della città, prendiamo una strada che costeggia il Golfo arrivando nei pressi di una grande rotonda con uno scheletro di T.Rex al centro e una grande scritta “Chixculub”.
Ci siamo, l’emozione è forte! Di fianco c’è pure un parco tematico, il Sendero Giurasico, con modelli a grandezza naturale di svariati dinosauri. Ci sono però un po’ di luci, meglio allontanarsi per trovare una migliore postazione osservativa.
Una piccola stradina si avventura al buio passando in mezzo ad una vasta laguna, ecco uno spiazzo sufficientemente ampio a lato della strada, ci fermeremo qui. Mi guardo intorno, Il cielo non è eccezionale, un po’ velato e rischiarato dalla Luna al primo quarto, ma più che sufficiente per tentare qualche osservazione. Scarichiamo gli strumenti e punto il Dobson proprio verso la Luna, sempre meravigliosa con i suoi crateri, che riscuote un grande entusiasmo tra i partecipanti. Il nuovo specchio si sta comportando egregiamente, Davide Ferruccio e Andrea confermano la sua buona qualità.


Foto di Ferruccio Zanotti
Foto di Ferruccio Zanotti
Antonio fa una videochiamata a casa: “ Stiamo facendo osservazioni dal cratere di Chixculub, quello dell’estinzione dei dinosauri!” Rivela entusiasta. Effettivamente non so quanti astrofili abbiano mai osservato il cielo proprio da qui, da un luogo così iconico nell’immaginario collettivo. Punto la stella doppia Mizar e Alcor nell’Orsa Maggiore, utilizzate in antichità come misura della vista. Ma il telescopio oltre che mostrare chiaramente le 2 componenti, sdoppia ulteriormente Mizar, la compagna principale. C’è pure un’altra stella che compare nel campo dell’oculare, Sidus Ludovicianum tra Mizar ed Alcor, ma al contrario di queste non è legata fisicamente a loro.
Vista la latitudine del luogo sufficientemente bassa, osservo prima col binocolo e poi con il Dobson Omega Centauri, l’ammasso globulare più grande del cielo, che esplode nel campo dell’oculare col suo milione di stelle concentratissime, un bellissimo oggetto nonostante la scarsa altezza sull’orizzonte ed il cielo piuttosto chiaro. Il gruppo si mette in coda al telescopio per osservarlo, Esther, Ferruccio ed Antonio tentano anche foto in quella zona del cielo. Ogni tanto passa qualche auto ma la pace è pressoché assoluta, fa veramente impressione pensare al cataclisma avvenuto proprio qui 66 milioni di anni fa…! A quel punto mi viene in mente un altro oggetto da puntare, la galassia Centaurus A, nella costellazione del Centauro, anche questa ben visibile e praticamente impossibile alle nostre latitudini e la galassia Sombrero nella Vergine, che pur se piccola evidenzia al telescopio la sua caratteristica forma che ricorda il copricapo messicano. Non potevamo proprio mancare di osservarla!
Foto di Antonio Di Gennaro
Ragionando col gruppo di distanze cosmiche ricordo che questa galassia si trova a ben 30 milioni di anni luce da noi, ma nelle vicinanze di questo oggetto ci sono anche galassie distanti 70 o 100 milioni di anni luce. La loro immagine cioè, è partita quando i dinosauri scorrazzavano ancora sul nostro pianeta! Questi concetti disorientano sempre un po’, lo spazio-tempo non è un argomento così immediato ma l’universo funziona proprio in questo modo. Con Ferruccio procediamo poi con il riconoscimento col laser delle principali costellazioni in attesa che sorga la Croce del Sud, prontamente ripresa dai fotografi del gruppo. La serata si conclude infine con una storica foto presso la rotonda col T-Rex e la scritta Chixculub!



15 Aprile
Il mattino dopo, una colazione lenta e lunghissima ci impedisce di arrivare in un orario favorevole (non troppo caldo e con pochi turisti) a Chichen-Itza, il più grande ed importante sito archeologico della civiltà Maya. Siamo infatti all’ingresso di questo sito patrimonio dell’Umanità dell’Unesco solo a mezzogiorno, assieme ad una moltitudine di persone che qui accorrono per ammirare tra le varie la piramide di Kukulkan, annoverata tra una delle sette meraviglie del mondo moderno. ( Le altre per inciso sono la Grande Muraglia Cinese, Petra, il Cristo Redentore di Rio, Machu Picchu, il Colosseo e il Taj Mahal indiano ).


Attendiamo che Miguel faccia i biglietti e cerchiamo ristoro dal caldo intenso con qualche bottiglietta d’acqua seduti sulle poche panchine libere all’ombra. Il piccolo Miguel si sbraccia cercando di emergere dal fiume di turisti, è arrivato il momento di seguirlo. Questo è l’ultimo sito archeologico di questo viaggio ed è anche il più imponente. Le rovine Maya risalenti al 400 d.C si estendono su un’area di 3 chilometri quadrati e appartenevano ad una grande città che fu uno dei centri più importanti per questa civiltà fra il VI e il XI secolo. Comprende numerosi edifici, ognuno rappresentativo di un diverso stile architettonico. La più celebre è la piramide di Kukulkan, nota anche come El Castillo, ma a Chichén Itzá ci sono anche l’osservatorio astronomico Caracol, il tempio dei guerrieri e molti altri. Il sole è proprio a picco sulle nostre teste quando ci affacciamo alla grande spianata in cui campeggia El Castillo, visto tante volte sui libri e nei documentari ed ora lì di fronte a noi.


Anche in questo caso Miguel è prodigo di spiegazioni: “la piramide è alta 30 metri con nove livelli di terrazzamento e quattro scale, una per lato a simboleggiare i quattro punti cardinali. Le grandi teste di serpente ai piedi delle scale conducono alla piattaforma superiore su cui si erge il vero e proprio tempio di Kukulkán realizzato secondo lo stile architettonico Puuc. Anche qui ci sono precisi riferimenti astronomici, per esempio durante gli equinozi di primavera e autunno (21 marzo e 23 settembre) le ombre proiettate dal sole al tramonto sulla piramide creano l’immagine di un serpente che ondeggia lungo la scalinata Nord. Proprio una scultura di un serpente piumato nella parte superiore della piramide è poi il simbolo di Quetzalcóatl, una delle divinità principali dell’antico pantheon mesoamericano, nota a questa popolazione come Kukulcán.
Seguiamo stancamente Miguel fino al tempio dei Guerrieri ed entriamo come ad Uxmal nel campo del gioco delle Pelota, più grande del precedente. Anche qui ci invita a provare l’eco prima con un fischio e poi facendoci gridare: hola! Una foto di gruppo ripassando davanti al Castillo, veramente magnifico, poi abbiamo tempo libero per visitare il sito, ma solo Alberto e Marco, con una resistenza da veri sportivi troveranno la forza per arrivare all’osservatorio e al Sacro Cenote, uno dei più importanti siti di pellegrinaggio Maya, in cui pare venissero sacrificati fanciulle e bambini durante le cerimonie legate al mito della creazione.





Tornati al pulmino passiamo per Valladolid, una città piccola ancora una volta dal caratteristico aspetto coloniale con gli edifici colorati e i tetti arrotondati. Un rapido giro della piazza centrale, con il suo parco Francisco Canton Rosado e la chiesa di San Servacio e ci apprestiamo al pranzo presso il cenote sotterraneo di Hubiku che si trova a una quarantina di chilometri di distanza in una zona rurale. Il sito è molto caratteristico, di fianco al cenote è stato realizzato un book shop, un ristorante tipico a buffet ed un museo della tequila. Il cenote ha poi a disposizione per chi volesse immergersi, docce gratuite e spogliatoi. Pranziamo abbondantemente e solo alcuni trovano il coraggio di fare il bagno nelle acque gelide del cenote: Alberto, Marco, Donatella e Ferruccio, quest’ultimo particolarmente in forma.

Anche il resto del gruppo vuole però entrare nel cenote e scendendo una scalinata accediamo ad una vasta grotta con stalattiti calcaree e mammelloni sul soffitto. Da un foro centrale nella roccia entra anche un fascio di luce che illumina il fondo del pozzo creando una luminosità e un’atmosfera uniche. Ma cosa sono questi cenotes chiedono alcuni del gruppo? Da alcune rimembranze universitarie racconto che il cenote è una grotta naturale di acqua dolce formata in seguito al crollo del tetto calcareo. Le piogge cadute durante l’Era Glaciale, hanno eroso le rocce calcaree contribuendo a formare un sistema di cunicoli e caverne sotterranee. Con lo sciogliersi dei ghiacci, l’acqua, ha poi invaso queste grotte, allagandole completamente. E il tetto del terreno, ha infine ceduto, svelando la grotta nascosta riempita di acqua.




Miguel aggiunge qualcosa: Il nome deriva dalla lingua Maya e significa “pozzo sacro“. Per il popolo Maya rappresentavano infatti la principale fonte d’acqua tanto che i primi villaggi furono costruiti tutti in prossimità d i questi pozzi. Come ogni cosa legata al mondo Maya, anche i cenotes sono intrecciati alla religione e al mistero. Questi erano infatti considerati le porte d’ingresso per il mondo ultraterreno.




In quel momento i nostri compagni d’avventura si stanno immergendo nelle fredde acque color turchese profonde 27m e ci informano di vedere numerosi pesci gatti e sardine. Marco tenta poi un tuffo dall’alto appeso ad un manicotto con carrucola che lo lancia letteralmente nel vuoto, con l’acqua che spumeggia dopo il tonfo. “Un’esperienza magnifica !” ci grida da sotto e poco dopo viene imitato da Alberto e Donatella. Ho un po’ di rimorso a non fare questa esperienza ma con lo stomaco pieno preferisco rinunciare, non si sa mai… Intanto Ferruccio si sta preparando al tuffo, sale i gradini dell’alta scala che lo portano alla postazione di lancio della carrucola. Scendiamo tutti al bordo del cenote per documentare al meglio l’impresa e gli altri in acqua esortano il compare a gettarsi. “ Forza, buttati!”Ferruccio arrivato in cima guarda verso il basso, nel baratro, forse ha qualche ripensamento ma ormai la decisione è presa, non si torna più indietro…

Una leggera spinta e Ferruccio vola appeso al manicotto affidandosi al destino, la carrucola prende molta velocità, poi l’urlo di Alberto quando Ferruccio entra nel fascio di luce solare: “Adesso!” E’ il segnale di mollare la presa. Ferruccio lascia la carrucola che torna rapidamente indietro lungo il cavo e precipita nel vuoto fino all’impatto con l’acqua, una tremenda deflagrazione che fa tremare le pareti della caverna. Qualche secondo di apprensione poi il compare riemerge, tutto ok! Meglio così…
Ancora qualche istante a mollo, poi è il momento di tornare al pulmino e salutare Miguel, gli ultimi due giorni saremo da soli in completo relax al Villaggio turistico hotel Blue Bay Grand Esmeralda a Playa del Carmen, sul Mar dei Caraibi. Al nostro arrivo la procedura del check in alla reception è lunghissima e laboriosa, ancora di più il trasporto con i mezzi elettrici fino alle nostre camere molto distanti le une dalle altre. Le camere di Teresa ed Esther hanno poi dei problemi e devono essere cambiate… Nella nostra ( la mia e di Ferruccio) invece è tutto ok, abbiamo un ampio terrazzo con splendida vista sul mare e sulla spiaggia con palmeto, bevande a disposizione e riceviamo perfino una telefonata dal direttore del villaggio che si sincera che tutto sia di nostro gradimento. Perbacco!


Un po’ di riposo e tutto il gruppo si ritrova a cena in uno degli innumerevoli ristoranti del villaggio, che ad un primo impatto è piuttosto caotico, pieno zeppo di turisti, per lo più americani chiassosi. Tra i cespugli notiamo però strani animali per nulla spaventati e perfino confidenti con i turisti, si tratta di Coati ( con una t sola), Capibara e iguane, una fauna decisamente esotica! Dopo la cena qualche veloce ballo nella discoteca sulla spiaggia precede il giusto riposo e ci diamo appuntamento per l’indomani a colazione. Ma arrivati in camera Il cielo si libera da qualche nube di passaggio e ci appare in tutto il suo splendore, buio e limpido, si vede perfino la Via Lattea! Mi ricorda molto il cielo dell’isola di Antigua, non molto distante da qui, osservato nel corso del viaggio in occasione della mia prima eclisse totale di sole nel lontano 1998. Ferruccio non si lascia sfuggire l’opportunità di qualche foto a Canopo, Sirio la Croce del Sud, Alfa e beta Centauri sul mare, direttamente dal terrazzo, che risulteranno di buona qualità.


Foto di Ferruccio Zanotti
Foto di Ferruccio Zanotti
16 Aprile

La sala colazione è ampia e con ogni ben di Dio, all’ingresso una famiglia di Coati elemosina qualche frutto dai turisti. Mi sovviene a quel punto di fare uno scherzo nella chat di gruppo, avvisando dell’imminente escursione a caccia del raro Tapiro muschiato. Non tutti realizzano la burla e chiedono ulteriori e più circostanziate informazioni. In realtà la mattina è di tutto relax in piscina, una pausa che ci voleva proprio dopo le centinaia di km in pulmino e gli svariati voli, Esther prova anche un bagno in mare che si rivela però al di sotto delle aspettative, un po’torbido e grigiastro.




Teresa e Donatella sono appena state invece in una bella laguna verde che si raggiunge percorrendo a piedi la spiaggia per una quindicina di minuti, ci andremo tutti nel pomeriggio. E’ proprio un bel posto con una laguna dalle acque verdi e azzurre che sfocia nel mare, preceduta da un tunnel di mangrovie. Il luogo ideale per un ultimo bagno rinfrancante.





Ma non è finita qui, dopo la cena, Alberto propone un nuovo Karaoke sul bordo piscina, con balli e canti scatenati da parte del gruppo, soprattutto dello stesso Alberto e di Maria. Ma comincia ad affiorare un po’ di stanchezza, la maggior parte si ritira in stanza visto che l’indomani ci attende il lungo ritorno a casa, rimangono solo i più stoici per un’ultima foto di gruppo con la Croce del Sud che sorge dal mare. Una degna conclusione di un viaggio memorabile.
Foto di Antonio Di Gennaro
Foto di Ferruccio Zanotti
Foto di Antonio Di Gennaro

Foto di Antonio Di Gennaro
LE FOTO SONO DI: Andrea Battistella, Anna Bergonzini, Davide Borghi, Elena Ciccione, Esther Dembitzer, Antonio Di Gennaro, Massimiliano Di Giuseppe, Alberto Duches, Roberto Iorio, Antonio Melandri, Claudio Mola, Marco Nardon, Donatella Stucchi, Ferruccio Zanotti,








































